Il caso Urgenda: un precedente stimolante per la lotta ai cambiamenti climatici

Il caso Urgenda: un precedente stimolante per la lotta ai cambiamenti climatici

PREMESSA

Il 24 giugno 2015 la Corte Distrettuale dell’Aja ha sentenziato nei confronti dei Paesi Bassi un obbligo di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2020, con riferimento ai livelli registrati nel 1990, ulteriore rispetto a quello preventivato dalle politiche climatiche europee nel “Pacchetto 20-20-20”. La decisione si fonda sulle recenti scoperte scientifiche dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC – Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) e sull’applicazione del dovere di protezione, “duty of care“, che il governo olandese ha nei confronti dei propri cittadini. Questi, infatti, vivono in una regione caratterizzata da un eccessiva pressione dell’antroposfera sulla biosfera causata dall’alta densità abitativa, che vede 16,5 milioni di cittadini in soli 41.000 km², e dalla particolare morfologia geografica del territorio, in larga parte al di sotto del livello del mare, che espone i suoi abitanti alle minacce del riscaldamento globale ed alla potenziale inondazione conseguente all’innalzamento del livello degli oceani.

L’azione in questione è stata promossa da Urgenda (nome derivante dall’unione delle parole urgent agenda), fondazione privata volta alla lotta ai cambiamenti climatici, composta da 886 cittadini secondo i quali il governo olandese non ha condotto politiche di riduzione delle emissioni sufficienti a garantire la sicurezza e la protezione della popolazione.

IL CONTESTATO PACCHETTO CLIMA-ENERGIA 20-20-20

Con il Pacchetto Clima-Energia 20-20-20, approvato dall’Unione Europea nel giugno 2009,  si è deciso di attuare, per il periodo 2013-2020, un ambiziosa riforma finalizzata ad una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra in atmosfera, ad un aumento del 20% della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, ed a un aumento del 20% dell’efficienza energetica, il tutto rispetto ai livelli del 1990.

I prefissati obiettivi si differenziano da Stato a Stato: le Nazioni che necessitano di maggiore sviluppo sono autorizzate ad aumentare le proprie emissioni (è il caso di Bulgaria, Polonia e Romania); al polo opposto, quelle più sviluppate, come Lussemburgo, Danimarca, Germania e Paesi Bassi, sono obbligate ad una riduzione del 20%, a meno che il singolo membro non voglia autoimporsi limiti più stringenti.

Appare dunque chiaro che l’obiettivo comune sia frutto di un compromesso fra le diverse esigenze degli Stati. Da un lato c’è chi osteggia i limiti alle emissioni sempre più stringenti, sostenendo che potrebbero minare la situazione economica intaccando la competitività per proprio paese, in una contesto, per giunta, di crisi economica; dall’altro vi sono i sostenitori di tagli sempre più importanti alle emissioni, i quali vedono questa come un’opportunità di rilancio economico e conversione energetica oltre che di prevenzione necessaria dei rischi scaturiti dalle emissioni.

Immagine da radarplus.nl

 

 

LA SENTENZA DELLA CORTE DISTRETTUALE DELL’AJA

La sentenza della Corte Distrettuale dell’Aja ha reputato gli obiettivi di riduzione delle emissioni imposti allo Stato olandese dal Pacchetto Clima-Energia 20-20-20 come insufficienti a garantire il successo delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. Inoltre, le azioni intraprese dai Paesi Bassi garantivano solamente una riduzione del 14%-17% delle emissioni, quindi minori sia riguardo agli obiettivi europei che puntavano al -20% rispetto agli anni ’90, sia agli obiettivi del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici ( IPCC ), che nel 5° rapporto del 27 settembre 2013 indica una riduzione compresa tra il 25% e il 40% come unica via per contribuire in modo efficace ad evitare un aumento della temperatura terrestre oltre i 2°c, rispetto all’era pre-industriale, entro il 2100. La comunità scientifica internazionale sostiene, infatti, che il limite massimo  di riscaldamento globale tollerabile non debba superare i 2°c, livello che rischia, con gli accordi in questione, di essere superato portando ad un aumento delle temperature di 3°c nel 2100, ossia di 1°c superiore all’auspicabile.

I giudici dell’Aja hanno dunque ritenuto l’obiettivo insoddisfacente soprattutto se si considera che le emissioni pro-capite dei cittadini olandesi sono fra le più alte al mondo e che sullo Stato, essendo tra i più industrializzati del pianeta, e quindi uno dei maggiori sfruttatori delle risorse fossili, grava una grande responsabilità dei cambiamenti in negativo del clima.

La sentenza della Corte Distrettuale dell’Aja indica dunque una limitazione del margine di discrezionalità di cui gode lo Stato nell’attuare la propria politica climatica. La stessa (Corte, ndr), però, tiene a sottolineare che i suoi pronunciamenti non devono essere interpretati come ingerenza nei confronti del potere statale perché i giudici hanno agito rispettando il loro obbligo di garantire protezione giuridica ai cittadini anche nei confronti delle azioni governative. Questa è la ragione per cui la Corte ha deciso d’imporre l’obbligo di riduzione delle emissioni del 25% entro il 2020 al fine di raggiungere l’obiettivo di non superamento del riscaldamento climatico oltre i 2°c nel 2100.

La sentenza ha visto i giudici pronunciarsi:

  • con riferimento alle disposizioni delle Nazioni Unite, riprendendo:

–        il principio “no harm rule” (non nuocere), enunciato nel Protocollo di Kyoto (trattato internazionale del 1997 in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale da cui nasce nel 2005 la CQCC – vedi infra – ed i diversi protocolli), secondo il quale uno Stato è tenuto a prevenire, ridurre e controllare il rischio di danno ambientale facendo si che le sua azioni non danneggino altri Stati;

–        il principio “sic utere tuo ut alienum non laedas” (utilizzo del proprio senza danneggiare l’altrui) enunciato dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (CQCC);

–        i rapporti del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) i quali hanno accertato sin dal 1992 (data della prima pubblicazione) i pericoli del surriscaldamento globale, diffondendo i documenti di cui, quindi, lo Stato olandese era ed è a perfetta conoscenza, e che in base ai quali poteva e doveva adottare condotte ambientali adeguate per scongiurare il superamento della soglia dei +2°c entro il 2100;

  • con riferimento alle fonti del diritto dell’Unione Europea, riprendendo :

–        l’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che stabilisce come essa debba mirare ad un alto livello di protezione ambientale promuovendo misure di mitigazione dei cambiamenti climatici sulla base delle informazioni e dei progressi tecnico-scientifici, tenuto conto anche dei costi benefici delle politiche da intraprendere, che risultano, secondo Urgenda e la Corte, maggiormente convenienti se concretizzati in interventi preventivi più che correttivi, e considerata, tra l’altro, l’assenza di sostanziali ostacoli economici o tecnici ad un aumento degli obiettivi di riduzione delle emissioni;

–        l’art. 2 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (CEDU), che tutela il diritto alla vita di ogni persona;

–        art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (CEDU), che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare;

  • con riferimento alle fonti del diritto interno olandese, riprendendo:

–        il principio di “duty of care” (dovere di prendersi cura) che lo Stato ha nei confronti dei cittadini presenti e futuri ai quali deve essere garantita protezione e sicurezza tramite il mantenimento dell’abitabilità del territorio;

–         l’art. 21 della Costituzione olandese, introdotto tra i diritti fondamentali durante la riforma del 1983, che attribuisce alle autorità stati il dovere di mantenere il Paese in condizioni di abitabilità proteggendo e migliorando l’ambiente;

–         l’Environmental Management Act (EMA – Atto di Gestione Ambientale ), legge ordinaria dello Stato entrata in vigore l’1 ottobre 2010 al fine di gestire e pianificare le politiche ambientali, che si basa su principi come: sviluppo sostenibile, equilibrio, precauzione, prevenzione, bilanciamento, chi inquina paga, ed il principio di ALARA, ossia di minimizzazione del rischio. Importante è anche l’introduzione del dovere di ogni cittadino di prendersi cura dell’ambiente.

Dunque, tutte le fonti di diritto fin ora citate vincolano lo Stato olandese. Perciò, la Corte ha ritenuto legittimo impugnare le disposizioni internazionali di cui sopra per interpretare ed applicare il diritto interno olandese, riferendosi nello specifico al principio di “duty of care“ (dovere di prendersi cura) che lo Stato ha nei confronti dei propri cittadini e che limita la discrezionalità del governo, oltre che agli obblighi internazionali assunti, il tutto in riferimento ai dati oggettivi forniti dalla Comunità scientifica internazionale.

Alla luce di tutto il sin ora detto, la Corte Distrettuale dell’Aja si è pronunciata a favore della tesi di Urgenda ritenendo insufficienti gli obiettivi di riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020, ed ha conseguentemente aumentato tale obiettivo al 25%, soglia minima grazie alla quale i Paesi Bassi possono effettivamente contribuire a mitigare i rischi collegati ai cambiamenti climatici .

CONCLUSIONI

Oggi l’approccio ecologico si mostra più che mai come l’unica via percorribile. E’ necessità imminente prendere coscienza dell’ecosistema come insieme olistico ed auspicabile superare la distorsione concettuale di un uomo non dipendente dalla natura.

L’antropocentrismo di matrice occidentale ed il suo modello di sviluppo economico ricardiano hanno sfidato le leggi ecosistemiche deturpando la Terra tramite un avido processo di commodification che ha condotto il nostro pianeta a diminuire del 77% la sua biocapacità, facendoci avvicinare ogni anno prima al giorno del sorpasso della soglia limite.

Per invertire la rotta occorre un’immediata svolta da parte delle istituzioni e di ogni singolo individuo, ciascuno dei quali deve prendere coscienza della propria impronta ecologica in modo da affrontare la questione ambientale consapevolmente e responsabilmente.

E’ dunque assodato che i fenomeni di degradazione ambientale provocati dall’uomo pongono in seria discussione il modello di sviluppo economico capitalistico contemporaneo, le cui conseguenze sociali e politiche, quali l’esasperazione della povertà, lo scoppio dei conflitti e l’intensificazione dei flussi migratori, fanno riflettere.

La sentenza sul caso Urgenda capita al momento giusto, proprio mentre i governi di tutto il mondo si preparano a COP21, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi nel novembre 2015 che è riuscita a concludere un accordo che pone un ambizioso ed universale obiettivo di riduzione dei cambiamenti climatici attraverso una limitazione dell’incremento del riscaldamento globale a 2°c rispetto ai livelli pre-industriali entro il 2100, puntando ad un livello pari a 0 di emissioni di gas serra entro il 2050, in occasione della quale Urgenda ha organizzato una marcia dall’1 al 28 novembre da Utrecht a Parigi finalizzata a sensibilizzare sia l’opinione pubblica e che gli addetti ai lavori sul non più trascurabile problema dell’aumento della temperatura terrestre.

In definitiva, possiamo tranquillamente inquadrare la sentenza della Corte Distrettuale dell’Aja come un importante e stimolante precedente per le azioni legali future relative alle politiche ambientali, soprattutto nel settore del contrasto al cambiamento climatico.

Carmelo Miccoli per www.policlic.it

 

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