La pandemia di COVID-19 ha determinato uno shock senza precedenti per il mondo intero e ha aggravato molte problematiche preesistenti dal punto di vista socioeconomico. In un contesto di profonda crisi, i gruppi sociali più vulnerabili hanno visto peggiorare le proprie condizioni di vita e hanno sperimentato gli effetti più duri della pandemia: disoccupazione, malattia, precarietà abitativa e violenza domestica. Da questo punto di vista, a pagare le conseguenze più gravi dell’emergenza sanitaria sembrano essere state donne, ragazze e bambine.
Nel suo Global Gender Gap Report 2021, il World Economic Forum ha rilevato come la chiusura del divario di genere (vale a dire il tempo necessario per azzerare il gender gap) sia aumentato da 99,5 anni nel 2020 agli attuali 135,6. Un dato che più di ogni altro aiuta a comprendere le grandi difficoltà affrontate quotidianamente da donne, ragazze e bambine.
Per fare ulteriore chiarezza, abbiamo intervistato Claudia Guidarini, esperta di genere per i Programmi Internazionali di Save the Children España, rappresentanza spagnola di una delle ONG più importanti al mondo, da sempre in prima linea nella lotta alla disparità di genere.
In occasione dell’uscita del numero di Policlic dello scorso marzo, abbiamo voluto dedicare spazio all’approfondimento sulle tematiche di genere e, in alcuni articoli, abbiamo cercato di far emergere in maniera approfondita le disparità socioeconomiche che da secoli colpiscono organicamente donne e ragazze. Ci può spiegare quale significato assegna Save the Children alla definizione gender gap?
Il gender gap si riferisce alla differenza sostanziale che esiste tra donne e uomini, bambine e bambini, in termini di opportunità, condizioni di vita e sviluppo del pieno potenziale umano secondo le proprie ambizioni, necessità e aspettative. Queste differenze si manifestano in termini di protezione dalla violenza, opportunità educative, possibilità e qualità professionali, potere economico, decisionale e sanitario ed emancipazione politica. Il divario di genere è maggiore quanto più rigide sono le norme sociali discriminatorie e i ruoli socialmente – e non biologicamente – attribuiti nell’ambito dei vari sistemi sociali.
Il patriarcato, il sistema sociale dominante al mondo, basa le sue norme sociali sull’inferiorità fisica e intellettuale delle donne, giustificando la loro esclusione dalla vita sociale, politica, lavorativa, e relegandole a compiti di cura e assistenza dell’uomo, dei figli e delle persone vulnerabili. Le immagini stereotipate relative ai ruoli maschili e femminili cominciano a essere interiorizzate fin dall’infanzia attraverso la socializzazione di genere, che fa sì che le persone si conformino a queste caratteristiche, pena l’esclusione sociale. Ovviamente, il patriarcato non è un’istituzione o un meccanismo visibile; il patriarcato è la maniera in cui viviamo tutti i giorni della nostra vita, senza accorgerci delle limitazioni che esso impone sulle nostre esistenze, sia come donne che come uomini.
Save the Children considera l’uguaglianza di genere una componente essenziale di un approccio basato sui diritti dell’infanzia; non possiamo adempiere al nostro mandato organizzativo senza concentrarci sulle questioni di genere e sull’eliminazione delle barriere sociali che esse impongono alle bambine, adolescenti e donne di tutto il mondo. Questo principio è sostenuto dagli standard internazionali articolati nella Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC) e nella Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e le bambine (CEDAW).
Save The Children opera in più di 120 Paesi al mondo: a che punto è il processo di eguaglianza di genere nei diversi continenti?
La promozione dell’uguaglianza di genere è un processo molto complesso. Si tratta di mettere in gioco relazioni di potere che si sono affermate e rafforzate nel corso della storia, attraverso istituzioni politiche, religiose e sociali che hanno giustificato l’esistenza di diritti di prima e di seconda classe. Secondo l’ultimo rapporto del Global Gender Gap Index, dal 2006 il progresso verso l’uguaglianza di genere è avanzato a diversi livelli e velocità nelle otto regioni del mondo. Nonostante ciò, nessun Paese, ad oggi, ha ancora raggiunto la piena parità di genere. Medio Oriente e Nord Africa, seguite da Asia meridionale e Africa subsahariana, sono le regioni in cui il divario è più ampio.
Quest’anno il rapporto rileva che il progresso è stagnante, con l’aumento del divario di genere nel sottoindice “Empowerment a livello globale” che ha portato a un incremento del tempo stimato per chiudere il divario di genere globale a 135,6 anni. Inoltre, si stima che le disparità esistenti si siano ampliate nel corso della pandemia da COVID-19.
Mentre queste conclusioni sono tratte dal confronto diretto degli indici a livello regionale, l’analisi delle prestazioni dei Paesi all’interno di ogni regione porta alla luce una realtà più complessa, dove l’intersezionalità della discriminazione di genere con altri fattori di vulnerabilità e rischio – come il livello socioeconomico, quello scolastico, l’appartenenza a un gruppo etnico, religioso o anagrafico – contribuisce a mantenere bambine e donne in una condizione di maggior vulnerabilità, con minor accesso a opportunità, servizi, risorse, informazione e istanze decisionali in tutti i Paesi del mondo.
In Italia, la crisi scatenata dalla COVID-19 sembra aver frenato i progressi relativi all’uguaglianza di genere faticosamente raggiunti negli ultimi decenni. Quali sono state, da questo punto di vista, le conseguenze della pandemia nei Paesi africani e asiatici in cui Save the Children opera?
Nel suo nuovo rapporto Global Girlhood 2020: COVID-19 e il progresso in pericolo, Save the Children ha analizzato l’impatto della COVID-19 sulla parità di genere, rivelando i suoi effetti devastanti. La pandemia significa che sempre più famiglie sono spinte verso la povertà, costringendo molte bambine e adolescenti a lavorare per sostenere le loro famiglie, a rimanere senza cibo (giacché, quando le risorse scarseggiano, le ragazze sono le prime a dover rinunciare ai viveri), a diventare le principali responsabili delle cure dei membri familiari ammalati e ad abbandonare la scuola – con molte meno possibilità di ritornare in aula rispetto ai ragazzi.
Inoltre, il rischio crescente di violenza e sfruttamento sessuale, combinato con l‘insicurezza alimentare ed economica, determina anche che molti genitori sentano di avere poche alternative se non quella di costringere le proprie figlie adolescenti a sposare uomini, spesso molto più grandi di loro, che possano farsi carico del loro sostentamento economico. Questi matrimoni violano i diritti delle bambine e le espongono a un rischio maggiore di depressione, di violenza psicologica, fisica, sessuale, economica, di disabilità e persino di morte, anche a causa del parto precoce. Infatti, “ogni anno, circa 12 milioni di ragazze si sposano, due milioni prima del loro quindicesimo compleanno. Mezzo milione di ragazze in più sono ora a rischio […] – e queste sono solo quelle di cui siamo a conoscenza”.
Il rapporto mostra anche che 78,6 milioni di matrimoni infantili sono stati evitati negli ultimi venticinque anni ma, anche prima del coronavirus, i progressi per porre fine a questa pratica sono rallentati fino a fermarsi. Anche se i dati sono limitati, le bambine colpite da crisi umanitarie – come guerre, inondazioni, siccità, terremoti ed epidemie – affrontano i maggiori rischi di matrimonio infantile, precoce e forzato. Nove dei dieci Paesi con i più alti tassi di matrimonio infantile sono considerati Stati fragili.
La chiusura delle scuole a causa della COVID-19 ha interrotto l’istruzione per 1,6 miliardi di bambini e l’esperienza durante l’epidemia di ebola suggerisce che molte ragazze non torneranno più a causa della crescente pressione sul lavoro, del rischio di matrimonio infantile, del divieto, per le ragazze che sono rimaste incinte, di frequentare la scuola e della perdita di contatto con l’istruzione. I rischi sono particolarmente alti per le ragazze senza possibilità di accedere all’apprendimento a distanza.
La violenza di genere era una pandemia molto prima della COVID-19, e si stima che una ragazza su 10 a livello globale abbia subito uno stupro o una violenza sessuale da un fidanzato o un marito. Il coronavirus ha ora portato a un aumento delle segnalazioni di violenza di genere in tutto il mondo. L’ONU prevede che nei prossimi dieci anni, a causa della pandemia, si verificheranno altri due milioni di casi di mutilazioni genitali femminili (MGF), che colpiranno soprattutto ragazze sotto i 14 anni.
Prima della pandemia di COVID-19, quali strategie ha adottato Save the Children per sensibilizzare le popolazioni africane e asiatiche sulla questione della parità di genere?
Save the Children lavora sulle tematiche di genere basandosi sull’evidenza che l’uguaglianza è una precondizione per lo sviluppo sostenibile, ed è un approccio indispensabile per avere un impatto significativo in tutti gli interventi su salute e nutrizione, istruzione, povertà e protezione infantile. In questa visione, la teoria del cambiamento di Save the Children include un focus prioritario sull’empowerment, volto a fare in modo che bambine, adolescenti e donne abbiano più controllo sulle proprie vite, sui propri corpi e sul proprio futuro per sopravvivere, imparare ed essere protette, vivendo una vita priva di violenze.
Inoltre, la nostra organizzazione riconosce che un vero cambiamento richiede un ambiente adatto a far progredire l’uguaglianza di genere in modo sostenibile, fondato su famiglie e comunità solidali, quadri giuridici incentrati sull’uguaglianza e spazi più sicuri e accessibili. Questi fattori (individuo, famiglia, comunità e società) si vincolano tra di loro in modo strutturato nei nostri programmi, permettendoci di promuovere strategie integrate su diversi livelli. La sensibilizzazione sulle tematiche di genere è quindi trasversale: parte dalle bambine stesse (affinché possano prendere coscienza delle cause profonde della loro condizione e del loro status nelle società in cui vivono, ma anche dei loro diritti, di come reclamarli e di come realizzarli); coinvolge i genitori e i familiari (per la promozione di una differente concezione della mascolinità, delle relazioni non violente, dell’equa condivisione dei lavori domestici e di cura, dell’accesso a risorse e servizi) e le comunità (per la trasformazione di norme, pratiche e comportamenti discriminatori di genere, con il coinvolgimento di uomini, ragazzi, leader comunitari e religiosi come alleati); infine, a livello sociale, diamo molta importanza alle attività di advocacy per la promozione di politiche sensibili alla parità di genere.
Quali attività progettuali l’organizzazione ha implementato per migliorare il ruolo della donna nel complesso delle attività socioeconomiche in questi due continenti?
Save the Children implementa attività che mirano al miglioramento delle condizioni di vita di bambine, adolescenti e donne attraverso la promozione dell’accesso scolastico e professionale, del miglioramento dei sistemi comunitari e istituzionali di protezione dalla violenza (in particolare quella di genere), il rafforzamento dell’accesso a servizi di salute sessuale, riproduttiva, materna e infantile e l’erogazione di servizi a bambine e bambini “in movimento” lungo le principali rotte migratorie. Inoltre, una delle tematiche su cui Save the Children si è particolarmente concentrata negli ultimi anni è quella relativa alla prevenzione dei matrimoni infantili, precoci e forzati.
Il matrimonio infantile è un’unione formale o informale che avviene prima dei 18 anni; è una violazione dei diritti umani delle bambine e una forma di violenza di genere che interrompe l’educazione e rende le bambine più vulnerabili alla violenza, alla discriminazione e agli abusi. Il matrimonio infantile ha conseguenze devastanti per la vita di una bambina che è costretta a diventare adulta prima di essere fisicamente e mentalmente pronta. Le spose bambine sono spesso private dei loro diritti alla salute, all’istruzione, alla sicurezza e alla partecipazione. Inoltre, un matrimonio combinato spesso significa che una bambina è costretta a sposare un uomo con molti più anni di lei. Le spose bambine hanno molte meno probabilità di rimanere a scuola, con conseguenze economiche e sociali che durano tutta la vita. Sono spesso isolate, con la loro libertà fortemente limitata, e più esposte alla violenza fisica e sessuale. Sono anche soggette a un più alto rischio di complicanze pericolose durante la gravidanza e il parto. Queste rappresentano la principale causa di morte delle ragazze tra i 15 e i 19 anni in tutto il mondo. Oltre a ciò, le spose bambine rischiano di contrarre l’HIV/AIDS e di subire violenza domestica con percentuali drammaticamente superiori rispetto alla media.
Il matrimonio infantile è una pratica diffusa in tutto il mondo ed è un problema globale basato sulla disuguaglianza di genere e su ciò che la società si aspetta da una futura donna, vale a dire essere madre e moglie a prescindere delle proprie necessità, ambizioni e visione del futuro; un problema, questo, notevolmente aggravato dalla povertà.
Quali iniziative sono state introdotte, nei Paesi più a rischio, per promuovere una riflessione sull’importanza dell’empowerment femminile?
Un’iniziativa molto rilevante riguarda la programmazione relativa alla creazione di spazi sicuri per le bambine, le adolescenti e le giovani donne, specialmente nei contesti emergenziali. Attraverso questa programmazione vengono creati ambienti sicuri in cui le bambine sono libere di esprimere se stesse e di partecipare a sessioni di apprendimento personalizzate a seconda delle loro esigenze (fascia d’età, esperienza e condizione sociale). Le sessioni di apprendimento aiutano a rafforzare la capacità delle bambine di apprendere nuove competenze chiave per prevenire, mitigare e rispondere alla violenza di genere. Attorno a questa attività centrale, la programmazione degli spazi sicuri prevede il coinvolgimento dei genitori per far sì che le bambine possano essere accompagnate in questo processo di empowerment e che le conoscenze acquisite possano essere rafforzate anche tra le mura domestiche.
Inoltre, un lavoro costante di sensibilizzazione e coinvolgimento della comunità nelle attività programmatiche risulta essenziale per assicurare che le partecipanti siano al sicuro nel lungo periodo. Infine, attraverso questa programmazione, i nostri operatori collaborano strettamente con le istituzioni che offrono servizi di protezione, salute ed educazione per rafforzare le loro capacità in materia di identificazione, prevenzione, risposta alla violenza di genere e promozione di servizi, coerentemente con le diverse necessità di genere ed età.
Un’ultima domanda a conclusione di questa intervista: dal suo punto di vista, una volta superata la crisi sanitaria, quali strategie dovrà mettere in campo la comunità internazionale per contrastare la disuguaglianza di genere a livello globale?
L’evidenza dimostra che dall’arrivo della COVID-19 le violenze di genere contro donne e ragazze sono aumentate nei Paesi in cui è stato introdotto il lockdown per contenere la diffusione del virus. Le difficili condizioni abitative e le tensioni familiari stanno esacerbando le esperienze di violenza di genere, che già costituivano un serio problema sociale e di salute pubblica ben prima della pandemia e che sono peggiorate a causa dell’accesso limitato a servizi di supporto e rifugi sicuri durante la crisi. Il passaggio a una maggiore comunicazione online è stato accompagnato da un significativo aumento della violenza sul web, evidenziando la necessità di maggiori investimenti in strategie di prevenzione e servizi per bambine, ragazze e donne sopravvissute alla violenza di genere online.
La pandemia di COVID-19 sta rendendo sempre più visibile la vulnerabilità dei sistemi sociali, politici ed economici a livello globale, rendendo lampante come molte economie del mondo si fondino sul lavoro invisibile e non retribuito di donne e ragazze. Queste ultime, oltretutto, occupano la maggior parte dei posti di lavoro dei settori economici più colpiti dalla pandemia, oltre a essere tra le più attive nel settore sanitario e assistenziale, quindi più esposte al rischio di contrarre la malattia.
La COVID 19 sta peggiorando le disuguaglianze nel raggiungimento dei diritti e della salute sessuale e riproduttiva. La chiusura delle scuole e la precarietà economica rendono le ragazze adolescenti più vulnerabili all’abuso sessuale, al matrimonio infantile e alla gravidanza precoce. Ma la pandemia è solo uno dei fenomeni che si prevede peggioreranno le condizioni delle bambine e delle ragazze nei prossimi anni; basti pensare all’impatto che potrebbe avere il cambiamento climatico sui gruppi più vulnerabili, in primis donne e bambine delle comunità presenti nelle aree ad alto rischio ambientale.
Con la stabilizzazione dei piani di risposta alla COVID-19 si aprirà una finestra di opportunità per rimodellare i programmi di empowerment per le ragazze adolescenti, ancorandoli allo sviluppo della capacità di leadership, alle ambizioni delle giovani e a finanziamenti sostenibili. È importante che questi programmi contribuiscano alla lotta contro le disparità di genere, alla creazione di servizi accessibili per le vittime della violenza di genere e a creare un ambiente sociopolitico favorevole al coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro per ridurre il numero di donne lavoratrici che vivono in povertà e che non hanno accesso alle risorse produttive. Sarà inoltre fondamentale ridurre il divario di genere relativo alle competenze digitali, accelerando il processo di alfabetizzazione digitale universale tramite investimenti in ambito tecnologico volti a sostenere la leadership delle donne e a rispondere meglio ai loro bisogni più urgenti (come, per esempio, la promozione di soluzioni contro la violenza di genere e le discriminazioni sul web).
È inoltre importante promuovere la partecipazione e il potere decisionale di ragazze, donne e appartenenti alla comunità LGBTQ+, attraverso risorse finanziarie, tecniche e sociali che possano intercettare realmente i bisogni delle adolescenti e dei movimenti di cui fanno parte, al fine di creare spazi sicuri e inclusivi in cui crescere. In tal modo, le ragazze avrebbero gli strumenti per poter partecipare attivamente ai processi decisionali relativi a questioni chiave come il cambiamento climatico, rafforzandone al contempo la resilienza dinanzi alle catastrofi naturali, con approcci sensibili e favorevoli alle questioni di genere.
Alessandro Lugli per www.policlic.it