Policlic n.15
Il Messico è un paese vasto, un’entità federale che comprende trentuno Stati e un Distretto, abbastanza simili culturalmente, ma con livelli di criminalità diversi. Il paese nel 2014 ha tristemente vinto il terzo posto tra gli Stati con maggior numero di morti per omicidio, preceduto soltanto da Siria e Iraq.1
Dal 2006 il Messico si trova ad affrontare un nemico interno che si nutre della corruzione, dell’impunità e della povertà endemici nello Stato. L’impunità, in particolare, sembra essere uno dei maggiori problemi interni che portano a una mancanza di fiducia nel sistema giudiziario, da parte dei cittadini, in un Paese in cui il narcotraffico è protagonista e femminicidi e sparizioni2 sono all’ordine del giorno.
Narcotraffico, omicidi e impunità
Narcotraffico e autorità statali in Messico
I narcotrafficanti, dalla fine del grande cartello di Guadalajara (anni ’90) e quindi del monopolio di un solo attore criminale, si sono divisi il territorio e compiono atti di violenza interni al paese. Tali atti mettono i vari cartelli l’uno contro l’altro, nella lotta per l’egemonia sul traffico di droga e non solo. Controllano un mercato nel quale la concorrenza di imprese illegali usa la violenza per gestire problemi quali quantità delle merci, prezzi, estensione del mercato e tipi di prodotto. I cartelli spesso utilizzano reti di protezione di poliziotti e militari come garanzia di impunità. Nel 1997 il cartello di Juarez fu il primo a utilizzare questo modello organizzativo-operativo, il quale gli assicurava protezione da parte di ufficiali corrotti.3 La “Familia Michoacana” fu una delle prime che cominciarono a impossessarsi direttamente di posizioni di sindaco in piccoli comuni. Fino al 2011, anno in cui il gruppo si scompose, la Familia conquistò almeno il 70% dei municipi dello Stato di Michoacán.4 Alcuni di questi cartelli hanno costituito nel tempo dei veri e propri gruppi paramilitari che permettono loro di soddisfare mire espansionistiche territoriali e commerciali, dando vita a violenti conflitti interni. Cartelli importanti come quello di Sinaloa comprano la protezione delle forze dell’ordine.5
Dal 2007 il Presidente Felipe Calderón cominciò la cosiddetta “guerra al narco” con aumento del personale militare per operazioni contro i cartelli e aumento del budget riservato al settore. In contemporanea, ci fu una diminuzione del consumo di droga negli Stati Uniti.6 Nessuno dei due fattori favorì una stabilizzazione delle guerre interne, anzi questi accelerarono la frammentazione dei gruppi, quindi il numero degli attori criminali e inasprimento della concorrenza.7 Questo fenomeno ha portato i cartelli a diversificare le attività illecite per generare nuovi guadagni.
Gli omicidi molto spesso non vengono nascosti, anzi i cartelli li mostrano per intimidire la concorrenza. Ad Uruapan, stato di Michoacan, nell’estate del 2019, venti corpi di narcos appartenenti al gruppo “Los Viagras” sono stati torturati, mutilati, uccisi e infine appesi a un cavalcavia. L’azione è stata firmata dal cartello di Jalisco, avversario dei “Los Viagras”, che vuole controllare i corridoi della droga verso gli Stati Uniti. Dal gruppo di narcotrafficanti sono stati pubblicati anche video, uno di questi mostra un prigioniero al centro, circondato da uomini in divisa armati e con il logo della famiglia. Poche ore dopo è stata resa pubblica la foto della vittima appesa al ponte.9 Ci sono alcune aree del Messico dove lo Stato ha perso il monopolio della forza ed è coinvolto nella criminalità organizzata. Questo si somma alla consapevolezza della mancanza di giustizia e l’impunità, e rende il sistema giudiziario messicano debole.
L’impunità: cause e dati
La violenza, soprattutto a causa dell’elevata presenza di famiglie di narcotrafficanti in lotta tra loro, è protagonista nella vita di molti messicani. Secondo la UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine), nel 2018, il Messico occupava il sesto posto tra i paesi considerati più violenti in base agli omicidi compiuti ogni 100mila abitanti, il 7,8% degli omicidi avvenuti nel mondo in quell’anno sono avvenuti in Messico.10
Durante il 2019, l’impunità nell’omicidio intenzionale è stimata all’89,6%. Questo significa che solo un caso di omicidio su dieci viene risolto.11 Secondo un’opinione comune, l’alto livello di impunità è dovuto alla mancata efficacia delle indagini.
Stando al Codice Nazionale di Procedura Penale (CNPP), la conduzione delle indagini è compito dell’Ufficio del Pubblico Ministero, che deve collaborare con la polizia e i servizi esperti per risolvere il crimine. 13 Tuttavia, come visto in precedenza, spesso la polizia risulta coinvolta nella criminalità organizzata, o addirittura collabora con essa. Non è difficile dunque immaginare perché molti crimini rimangano impuniti. Il CNPP riconosce la polizia come uno dei soggetti della procedura penale, che agisce sotto la direzione e il comando del Pubblico Ministero, e ha tra i suoi obblighi quello di compiere le diligenze e gli atti di indagine, conservare il luogo dei fatti o della scoperta, e compiere gli atti necessari per garantire l’integrità delle prove. Sono anche responsabili di intervistare le persone che potrebbero fornire informazioni o elementi per l’indagine, fornire attenzione alle vittime, rispettare gli ordini ministeriali e realizzare le azioni necessarie per garantire l’integrità delle prove.14
La ricerca dell’organizzazione Impunidad Cero riporta anche dati relativi al numero di pubblici ministeri presenti nel Paese. Quindici Stati risultano essere sotto la media nazionale (9,6) per numero di pubblici ministeri ogni 100.000 abitanti. Il basso numero di inquirenti in alcuni Stati dove il livello di crimini è alto rende difficile che ci sia un’adeguata investigazione sui crimini denunciati, a causa dell’elevato carico di lavoro delle procure, che non sempre hanno gli strumenti adatti per compiere a pieno le indagini, soprattutto se sono sovraccarichi di denunce e utilizzano metodi arretrati.15
Caso Ayotzinapa e ruolo dei giornalisti in Messico
Il tribunale permanete dei popoli nella sentenza “Libre comercio, violencia, impunidad y derechos de los pueblos en México (2011-2014)” del 2014, definisce il Messico come “reino de la impunidad” (regno dell’impunità), riferendosi a quanto accaduto ad Ayotzinapa (Iguala, Guerrero) il 26 Settembre 2014, quando 43 studenti, che viaggiavano in un autobus, sono scomparsi. La versione ufficiale della Procura Generale della Repubblica (PGR) indicava che il sindaco della città, per evitare che gli studenti partecipassero a una manifestazione tenutasi a Iguala, avesse dato ordine alla polizia municipale di sequestrarli per consegnarli a una banda di narcotrafficanti che operava nella regione. Questi li avrebbero uccisi, bruciati e dispersi nel fiume. Secondo questa visione, l’esercito messicano, la polizia statale di Guerrero e quella federale non appaiono coinvolte in quanto accaduto.16
Anabel Hernández, con la sua decennale esperienza come giornalista ha compiuto un’inchiesta autonoma sul caso dei 43 studenti, ormai diventato famoso a livello internazionale. Durante la sua inchiesta, la giornalista ha scoperto che, dopo aver requisito altri tre autobus nella stazione di Iguala, con un totale di cinque veicoli, gli studenti si stavano recando a imboccare l’autostrada per tornare ad Ayotzinapa. I veicoli servivano loro per recarsi a Città del Messico, con il fine di partecipare alla protesta che si tiene ogni anno per ricordare un precedente massacro studentesco, avvenuto il 2 ottobre 1968, a opera dell’esercito messicano. Quarantasei anni dopo il massacro di Tlatelolco, gli studenti di Ayotzinapa sono stati coinvolti in una sparatoria, attaccati da civili armati e poliziotti, con il risultato di 3 morti e 43 scomparsi. Anabel Hernández attraverso la sua indagine è riuscita ad accedere a documenti riservati del governo che riportavano il vero obiettivo dell’attacco: recuperare gli stupefacenti nascosti in due degli autobus. La droga apparteneva al capo del cartello di Beltrán Leyva, il quale, nella fattispecie, aveva avuto la capacità di ordinare all’esercito e alla polizia federale di assaltare gli autobus e compiere azioni violente contro gli studenti. Questo è un chiaro segno dei livelli di corruzione raggiunti dal cartello di Beltrán e il livello di infiltrazione del narcotraffico nello Stato messicano, in particolare nella polizia federale.17
Le conclusioni dell’indagine sono state ritenute valide anche da tribunali in Messico e negli Stati Uniti.18 Molti detenuti per il caso della scomparsa degli studenti sono stati rilasciati, in primis per la dimostrazione delle torture subite e poi per l’incapacità della Procura Generale della Repubblica di presentare prove che li collegassero al crimine. Il governo di Peña Nieto ha coperto i responsabili e ha manipolato le prove affinché la verità restasse sepolta. Il fatto che siano i funzionari pubblici senza garanzie di indipendenza a occuparsi delle indagini rende debole la loro affidabilità, soprattutto quando si tratta di crimini commessi da esponenti delle forze di governo o laddove ci siano interessi dell’esecutivo a nascondere fatti all’opinione pubblica.19
Il caso della giornalista Anabel Hernández ci dimostra come spesso sia compito dei giornalisti far luce su casi che dovrebbero essere investigati dalle autorità competenti, le quali non compiono il loro dovere soprattutto per ragioni di interesse e corruzione. Questo fa del Messico uno dei paesi con il più alto tasso di giornalisti uccisi. Secondo “Articolo 19”, organizzazione che si occupa di denunciare violazioni della libertà di espressione e di stampa, in Messico dal 2000 al 2021 sono stati registrati 142 omicidi di giornalisti, in possibile relazione con il loro lavoro. Quarantasette omicidi sono registrati durante il governo di E. Peña Nieto e 22 durante il governo attuale di Andrés Manuel López Obrador. Solo nello stato di Veracruz sono stati assassinati 30 giornalisti, sembra essere il più pericoloso tra gli stati federati.20
La paura dei giornalisti, frutto della violenza e delle intimidazioni, causa l’autocensura e il silenzio, al punto che molti di loro non riescono a fare il proprio mestiere e questo porta alla violazione del diritto all’informazione di tutti i cittadini. Molti sono i giornalisti che hanno cominciato a firmare in anonimo o hanno smesso di raccontare, come nel caso di Tamaulipas, dove, in seguito all’attacco armato contro la sede del giornale “El Mañana” con raffiche di proiettili da parte di narcotrafficanti, molti giornalisti hanno paura di fare il loro lavoro. La Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha definito lo Stato in questione e una parte di quello di Veracruz “zona silenciada” (zona silenziata).21 Alcuni reporter vengono condannati, incarcerati e addirittura torturati dalle stesse autorità pubbliche a seguito di denunce per diffamazione e calunnia, come nel caso di Lidya Cacho, dopo la pubblicazione del suo libro I demoni dell’Eden: il potere che protegge la pornografia infantile.22 L’impressione è che sia troppo facile nascondere la verità in Messico, eliminando chi vuole far luce sui fatti, controllando le indagini e proteggendo i colpevoli.
Donne e famiglie in cerca di giustizia
Dal 2007, in diversi paesi dell’America Latina c’è stato un processo di codificazione dei crimini legati al genere sotto la definizione di “femminicidio”, il quale è causato da idee diffuse nella società quale la misoginia, la superiorità dell’uomo sulla donna e la possessione della donna da parte dell’uomo. Per “femminicidio” si intende l’omicidio di donne in quanto donne, sia esso commesso all’interno della famiglia, di una o qualsiasi altra relazione interpersonale, da chiunque nella comunità, o se è perpetrato o tollerato dallo Stato o dai suoi agenti.23 A coniare il termine “femminicidio” e a dare a questo un carattere politico è stata la ricercatrice messicana Marcela Lagarde, la quale ha evidenziato la responsabilità dello Stato nel caso in cui non sia fatto abbastanza per indagare e punire l’omicidio perpetrato contro una donna in quanto tale.24 In Messico la scarsa qualità delle indagini, insieme con altri fattori, causano impunità e mancanza di giustizia anche in questi casi.
In Messico, secondo l’inchiesta compiuta da Impunidad Cero nel 2019, il 51,4% dei femminicidi rimane impunito, ma questa cifra non comprende l’elevata quantità di morti di donne che non è considerata come femminicidio. Infatti, la media nazionale di donne il cui caso di morte violenta è stato considerato come femminicidio è del 26,4%, una percentuale relativamente bassa. Solo nel 2020, secondo Amnesty International 3723 uccisioni di donne sono state registrate in Messico, di cui solo 940 investigati come femminicidi.25
Riconoscere un delitto come femminicidio è il primo step necessario per portare a termine un’indagine gender-based, che prevede determinate strategie, indicatori e tecniche investigative che si applicano solo per delitti di questo tipo. In tal modo si ha maggiore possibilità di individuare e punire i colpevoli ottenendo giustizia per le vittime e per i familiari. Secondo il rapporto di Amnesty International “Justice on trial: Failures in criminal investigations of feminicides preceded by disappearance in the State of Mexico”26, le indagini sui femminicidi preceduti da sparizione nello stato del Messico stanno fallendo, perché le prove vengono perse, il livello di indagine è inadeguato e la prospettiva di genere non viene applicata correttamente. Inoltre, le famiglie sono vittime a loro volta re-victimized, perché devono spendere tempo e denaro per indagare autonomamente sui casi o fare pressione sulle autorità che hanno il dovere di indagare. Le famiglie sono ulteriormente vittime delle frequenti minacce e molestie che affrontano da parte dei perpetratori e a volte anche da parte delle autorità. Inoltre, il rapporto evidenzia come la scarsa qualità delle indagini e l’incompetenza delle autorità rendono l’impunità un problema anche per quanto riguarda i femminicidi.27
A tal riguardo, un caso emblematico è quello di Ciudad Juarez, nello stato di Chihuahua al confine con gli Stati Uniti, dove centinaia di ragazze si trasferiscono ogni anno per lavorare nelle maquiladoras, industrie di montaggio dove imprese soprattutto statunitensi sfruttano manodopera a basso costo, costituita spesso da ragazze tra i quindici e i venticinque anni, poco coscienti dei propri diritti. Sono proprio loro a essere le protagoniste della spudorata violenza di genere che ha luogo a Ciudad Juarez.28 Solo tra il 1993 e il 2010 sono state 460 le donne assassinate e più di 600 quelle scomparse.29 Molti sono i casi riposti nel dimenticatoio e le famiglie che cercano giustizia autonomamente. È questo il femminicidio di cui parla Marcela Lagarde, quello in cui non è il solo perpetratore a essere colpevole, ma lo stesso Stato che lascia impunite e nell’ombra le morti delle donne.
Conclusioni
R. Kleinfeld nel suo libro Avancing the rule of law abroad individua due fasi nella creazione di uno stato di diritto in cui funzioni la giustizia. Kleinfeld si riferisce a processi di state building iniziati da attori esterni in Stati che non hanno avuto un processo spontaneo e autonomo di creazione dello stato di diritto. Anche se il Messico non corrisponde totalmente a questa descrizione, l’analisi dell’autore è interessante per comprendere il problema che è alla radice della mancanza di giustizia nel Paese. La prima fase individuata da Kleinfeld corrisponde alla creazione di strutture che permettono il funzionamento della Repubblica e assicurano la democrazia (parlamento, tribunali, organizzazione del potere esecutivo, ecc.). Le istituzioni funzionano grazie a persone che dovrebbero lavorare seguendo principi e valori, quali la reale indipendenza del potere giudiziario, che sono alla base delle democrazie moderne. Questo cambiamento a livello di coscienza civica e morale, secondo Kleinfeld, rappresenta la seconda fase di state building. Sviluppare una mentalità che lasci prevalere il bene pubblico su quello personale e politico è necessaria, soprattutto tra i componenti del potere giudiziario e i membri della polizia, affinché la struttura menzionata precedentemente funzioni in una maniera equa e giusta nei confronti di tutti i cittadini.
Il fatto che la polizia in alcuni Stati federati del Messico presenti alti livelli di corruzione e infiltrazione da parte di narcotrafficanti e che il sistema di giustizia non punisca una sostanziosa parte di crimini denunciati, dimostra che la struttura esiste ma non ovunque è cambiata la mentalità che permette a questa di funzionare secondo gli standard di equità e indipendenza. Livelli d’impunità così alti diminuiscono la fiducia della popolazione nel sistema giudiziario. L’idea è che si possono compiere delitti senza essere perseguiti e che in alcuni casi sia inutile denunciare perché non si otterrà giustizia. In stati come Oaxaca, dove l’impunità per omicidio è del 97% o Guerrero dove raggiunge il 95%30 molti cittadini decideranno di non denunciare o di cercare giustizia autonomamente. A rendere così debole il sistema giudiziario messicano è la reale mancanza dell’indipendenza di questo dal potere esecutivo e da forme interne di criminalità organizzata.
Francesca Cerocchi per www.policlic.it
Note e riferimenti bibliografici
1 “México, tercer país con más muertos por conflictos armados en el mundo en 2014: estudio británico”, aristeguinoticias.com, 26 maggio 2015, https://aristeguinoticias.com/2605/mexico/mexico-tercer-pais-con-mas-muertos-por-conflictos-armados-en-el-mundo-en-2014-estudio-britanico/, ultimo accesso 7 settembre 2021.
2 Secondo i dati presentati dalla Commissione Nazionale per la Ricerca delle Persone Scomparse, al 30 luglio 2020, in Messico sono state segnalate 177.486 persone scomparse o irreperibili, di cui 105.011 sono state localizzate, pari al 59,2%. Da G. R. Zepeda Lecuona, “Impunidad en homicidio doloso y feminicidio en México: reporte 2020”, Impunidad Cero, 2020.
3 T. Aureliani, La criminalità organizzata in Messico e le forme della resistenza civile, Osservatorio sulla criminalità organizzata, Università degli studi di Milano, 2015.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Secondo dati riportati da UNODC, negli Stati Uniti nel 1982 erano 10.5 milioni le persone che avevano fatto uso di cocaina negli anni precedenti, lo stesso dato era di 5.3 milioni di persone nel 2008. L’agenzia delle Nazioni Unite afferma che la causa della diminuzione del consumo è attribuibile a diversi fattori, quali l’aumento di politiche prevenzione, servizi più accurati per la disintossicazione e per l’educazione nelle scuole. Questo declino a lungo termine della domanda è stato accompagnato da una diminuzione dell’offerta causata principalmente dal calo della produzione in Colombia dal 2006 (il 90% della cocaina presente negli Stati Uniti proviene dalla Colombia e arriva negli USA attraverso il Messico) e dalla concorrenza spietata dei narcos messicani che ha sabotato alcune vie di transito. Una delle conseguenze è stato anche l’aumento del prezzo che, coincidendo con la crisi economica del 2008, ha portato a un calo del consumo. Dal World Drug Report dell‘UNODC, “The global cocaine market”, 2010.
7 Ibidem.
8 In uno studio comparato di 107 paesi, Edgardo Buscaglia (ricercatore della Columbia University e presidente dell’Instituto de Accion Ciudadana) ha evidenziato come i gruppi messicani estendano i propri tentacoli su ventidue attività legate alla criminalità organizzata su un totale di ventitre. Secondo lo studioso, l’unica attività in cui la criminalità organizzata messicana non è presente riguarda il traffico di materiale radioattivo. La maggior parte delle attività economico e anche politiche sono infiltrate da famiglie di narcotrafficanti.
9 G. Olimpio, Messico, 20 corpi appesi a un ponte: l’ultimo massacro dei narcos, “Corriere della Sera”, 9 Agosto 2019, link: https://www.corriere.it/esteri/19_agosto_09/messico-l-offensiva-cartello-jalisco-nuova-generacion-massacri-video-stile-isis-365c5fc2-ba87-11e9-9682-c74c9096c983.shtml.
10 Ibidem
11 Ibidem.
12 N. Rossi (Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma), Riflessioni sul caso Messico, “ Questione Giustizia”, 13 Gennaio 2015, link: https://www.questionegiustizia.it/articolo/riflessioni-sul-caso-messico_13-01-2015.php.
13 G. R. Zepeda Lecouna, op. cit.
14 G. R. Zepeda Lecouna, op.cit.
15 Ibidem.
16 A. Hernández, 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa. Sei anni di attesa, sei anni di impunità, “Libera”, 2018, link: https://www.libera.it/schede-1492-43_studenti_desaparecidos_di_ayotzinapa_sei_anni_di_attesa_sei_anni_di_impunita
17 A. Hernández, op. cit
18 Nel 2020, nell’ambito di un procedimento per l’ottenimento dell’asilo politico tenutosi in un tribunale dell’Arizona, il giudice Molly S. Frazer ha emesso una sentenza storica: “La Corte concorda con la conclusione dell’esperto, signora Hernández, che la verità storica ufficiale, creata dal governo del Messico è stata confutata, che numerosi testimoni sono stati torturati dal governo del Messico e che le prove sono state fabbricate o depositate sulla scena del crimine dal governo del Messico per sostenere una falsa verità storica”. Da A. Hernández, op. cit.
19 N. Rossi, op. cit.
20 Link: https://articulo19.org/periodistasasesinados/, ultimo accesso 7 settembre 2021.
21 BBC News Mundo, Tamaulipas: qué es la “zona silenciada” de México y por qué la ONU exige la atención del gobierno, 2 giugno 2018, link: https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-44338586.
22 C. Mastrandrea, Messico: record di giornalisti uccisi e minacciati sotto la presidenza Nieto, “Osservatorio Diritti”, 29 aprile 2019, link: https://www.osservatoriodiritti.it/2019/04/29/messico-giornalisti-uccisi-morti/.
23 “Latin American Model Protocol for the investigation of gender-related killings of women”, OHCHR and UN Women, 2013.
24 Ibidem.
25 Report di Amnesty International sulla violazione dei diritti umani in Messico del 2020, disponibile su https://www.amnesty.org/en/location/americas/north-america/mexico/report-mexico/, ultimo accesso 7 settembre 2021.
26 https://www.amnesty.org/en/wp-content/uploads/2021/09/AMR4145562021ENGLISH.pdf, ultimo accesso 7 settembre 2021.
27 https://www.amnesty.org/en/latest/press-release/2021/09/mexico-failings-investigations-feminicides-state-mexico-violate-womens-rights-life-physical-safety-access-justice/, ultimo accesso 7 settembre 2021.
28 I. Biancacci, La città che uccide le donne, “Limes”, 26 luglio 2010, link: https://www.limesonline.com/la-citta-che-uccide-le-donne/13587.
29 “Il corpo di Marcela Viviana Rayas fu scoperto il 28 maggio del 2003 in una zona disabitata e periferica della città di Chihuahua. Secondo le informazioni raccolte, la ragazza fu vista per l’ultima volta il 16 marzo dello stesso anno in città. I familiari la cercarono, senza successo, fin dal primo giorno. Presentarono un ricorso alla Procura Generale della Giustizia dello Stato di Chihuahua denunciando il caso come un sequestro. Per le autorità non c’erano prove di un effettivo rapimento della ragazza e abbandonarono il caso. La famiglia chiese spiegazioni allo stato ma non ottenne nessun chiarimento e nessun’informazione al riguardo. Quasi tre mesi dopo Marcela fu trovata morta” da I. Biancacci, La città che uccide le donne, “Limes”, 26 luglio 2010, link: https://www.limesonline.com/la-citta-che-uccide-le-donne/13587.
30 G. R. Zepeda Lecuona, op.cit.