“Quando le persone intelligenti hanno idee stupide”

“Quando le persone intelligenti hanno idee stupide”

Una recensione del testo di Nadler e Shapiro

Il libro Quando persone intelligenti hanno idee stupide: Come la filosofia ci salva da noi stessi, edito da Raffaello Cortina Editore, è disponibile in versione cartacea e in versione Epub.

La testardaggine epistemica

La copertina del libro

La copertina del libro.

Prima di addentrarci nel testo in oggetto, occorre fare una puntualizzazione: sebbene il campo di indagine preso in considerazione dai due studiosi americani Steven Nadler e Lawrence Shapiro faccia riferimento alla realtà americana, nondimeno, il discorso può essere ampliato, visto che l’analisi che ne consegue permuta principi logici di carattere generale sempre validi nel complesso processo di costruzione del vero, nella fattispecie, inteso come argine alle sempre più diffuse interpretazioni dietrologiche che sviano da una corretta decifrazione della realtà fattuale.

Non a caso, rileviamo subito una affermazione dal carattere vagamente apodittico, “c’è troppa irrazionalità negli Stati Uniti e nel mondo”.  Con buona pace di Hegel, che vide nelle strutture del reale il razionale, i due docenti della Wisconsin-Madison University partono illustrando un sondaggio da cui estrapolare il dato certo, per così dire, funzionale alla costruzione dell’intero impianto speculativo di base.

Ci riferiamo all’indagine condotta da “PublicMind”, cui segue, da parte del notiziario online “Patch”, la pubblicazione del seguente articolo: Quanto è stupida l’America: 10 cose alle quali le persone credono veramente. Nell‘articolo si individua una percentuale sorprendentemente elevata di americani privi di capacità logico-analitiche, che mette in luce un “preoccupante scetticismo sul processo decisionale basato sull’evidenza” da parte di molti soggetti.

Giusto per chiarezza, illustriamo alcuni dati concreti: il 74% degli americani non è a conoscenza dei tre poteri del governo federale; dato ancor più sconcertante è quello che un terzo degli americani – parliamo di una cifra impressionante, circa 110 milioni di soggetti – crede che il sole orbiti attorno alla terra e non il contrario[1]; “eppur si muove” verrebbe da esclamare.

Rifuggendo dall’aggettivo “stupida”, gli autori introducono una categoria da loro coniata, la testardaggine epistemica; questa si configura ogni qual volta il soggetto rifiuti di modificare le proprie credenze, anche dinnanzi a prove schiaccianti sul fatto che esse siano palesemente false[2]. A riguardo, viene evidenziato come molti cittadini americani, sebbene istruiti, socialmente e lavorativamente ben locati, sostengano tesi senza alcuna evidenza logica o scientifica, mantenendo ostinatamente la loro posizione.

Ne consegue il titolo del testo: “quando persone intelligenti hanno idee stupide”.

Secondo i due studiosi americani, occorre “essere cittadini epistemicamente responsabili, quelli cioè che hanno a cuore la verità, che sanno distinguere tra prove buone e cattive, che riconoscono una credenza ingiustificata e persino ingiustificabile quando ne vedono una”.[3]

Fatte queste brevi premesse, comprendiamo meglio l’obiettivo del testo, ossia spiegare “perché a persone intelligenti capita di pensare male”, prendendo in esame “i motivi per cui tante persone finiscono per avere credenze così sbagliate e agire di conseguenza.”[4] Un numero crescente di americani sostiene idee insensate, idee folli[5], che, secondo Nadler e Shapiro, potrebbero portare a gravi conseguenze; il modo con cui alcuni soggetti arrivano a difendere queste opinioni è sbagliato, così come la loro comprensione degli esiti di natura morale che ne derivano.

Ogni credenza, per essere considerata vera, necessita di ragioni epistemiche a supporto della verità. In questa prospettiva, entra in gioco la filosofia e il concetto di “valore di verità”, che viene determinato prendendo in considerazione la totalità delle prove a sostegno di una credenza, siano esse a favore o contro l’attendibilità della credenza stessa, stabilendone i limiti stessi entro cui risiede il vero.

Il discorso sembra rimandare a Baruch Spinoza, peraltro citato come filosofo di riferimento. Spinosa sostiene una dottrina mirata all’autocomprensione spuria da credenze che scaturiscono da impulsi reconditi e da comportamenti illogici dettati da idee oscure e confuse, privilegiando così, posizioni razionali perseguibili tramite forme di conoscenza adeguate alla costruzione della verità oggettiva.


Il ragionamento valido, non valido e quello basato sull’osservazione

Se il ragionamento deduttivo fondato garantisce che una conclusione sia vera, non di meno, un ragionamento non valido è quel tipo di ragionamento che può portare a conclusioni vere contenendo premesse allo stesso modo vere. Si consideri il sillogismo basato su una proposizione condizionale:

  1. se Socrate è umano, allora Socrate è mortale;
  2. Socrate è mortale;
  3. Socrate è umano.

Il ragionamento, pur offrendo una conclusione vera, non può considerarsi formalmente valido; ciò che lo invalida è “l’errore di affermare il conseguente”. In questo caso, l’inesattezza che si commette a livello logico-formale è quella di non considerare che il fattore “allora Socrate è mortale”, detto conseguente, sia, per l’appunto, una conseguenza del fattore “Se Socrate è Umano”, detto antecedente, e che pertanto, a livello logico non può condurre alla verità “Socrate è umano”:

Questo appellativo [l’errore di affermare il conseguente] ha senso perché in una frase dalla forma, “se A allora B”, solitamente chiamata proposizione condizionale, la frase che sostituisce “A” è detta “antecedente” e quella che sostituisce “B” è la “conseguente”. Quindi quando si commette l’errore di affermare il conseguente, si commette l’errore di concludere che l’antecedente di una affermazione condizionale sia vero perché il conseguente è vero”[6].

Ciò detto, riformuliamo il sillogismo in modo valido a livello logico-formale, forma denominata modus ponens (metodo di affermazione):

  1. se Socrate è umano, allora Socrate è mortale;
  2. Socrate è umano;
  3. Socrate è mortale.

Si noti come adesso, al contrario del caso precedente, il sillogismo si basa sull’affermazione del fattore antecedente, concludendo che il conseguente sia vero, il che soddisfa il criterio di validità precedentemente disatteso.

Fin qui, sembrerebbe tutto lineare, se non fosse per il fatto che anche un ragionamento valido, nella forma appena esposta, potrebbe portare a una conclusione non vera. A riguardo, si consideri il sillogismo tratto direttamente dal testo:

  1. Se Venere è un pianeta, allora esistono gli unicorni;
  2. Venere è un pianeta;
  3. Quindi, gli unicorni esistono.

Sorprende notare come il ragionamento sia valido benché la sua soluzione sia innegabilmente falsa e le premesse palesemente non vere.

Alcune argomentazioni valide hanno premesse vere altre no. Quando un filosofo definisce un ragionamento “fondato”, fa una affermazione più forte rispetto a quando lo definisce valido. Un ragionamento “fondato”, nel senso tecnico del termine per il filosofo, è una argomentazione valida con premesse vere. Pertanto, un ragionamento fondato, a differenza dell’argomentazione valida dell’unicorno […] deve avere una conclusione vera. Quindi, quando si ragiona in modo deduttivo, i filosofi, anzi tutti, dovrebbero aspirare a formulare argomentazioni fondate.[7]

Dopo aver chiarito il processo deduttivo[8] facendo luce sugli aspetti che invalidano la fondatezza del ragionamento e i suoi paradossi, come quello rappresentato dall’esempio teste citato dell’unicorno, il testo prende in considerazione i modi di inferenza più comuni. Nella vita quotidiana, non sempre utilizziamo processi di ragionamento strettamente logico-formali, bensì forme deduttive basate sull’osservazione definite “induzione per enumerazione”, “abduzione” o “inferenza alla migliore spiegazione”.

Ci affidiamo al caso di deduzione induttiva quando, per giustificare una credenza, maggiore è il campione di elementi che osserviamo a conferma della nostra tesi, maggiore è la fiducia che poniamo sulla validità del ragionamento. In questo caso, il rischio è rappresentato dal fatto che non sempre siamo in grado di valutare in modo scientifico il campione preso in considerazione, di esaminare una serie di variabili di natura strettamente statistica, basilari per una lettura completa sia a livello quantitativo che qualitativo del fenomeno osservato.

Per quanto riguarda i restanti casi deduttivi, di natura abduttiva e inferenziale, consistono nel supportare le proprie credenze prendendo in considerazione solo gli elementi che confermano la nostra verità, tralasciando, volutamente o inconsciamente, quelli che potrebbero negarla. Come osserva Popper:

È errore caratteristico ed eterno dell’intelletto umano l’essere mosso e stimolato dalle affermazioni più che dalle negazioni, mentre, per correttezza e per metodo, dovrebbe mostrarsi imparziale verso entrambe; anzi, al contrario, nel costruire ogni assioma vero, la forza dell’istanza negativa è maggiore[9].

L’agente morale

A questo punto si conclude la parte puramente teorica, dedicata al ragionamento e ai suoi meccanismi deduttivi. I due studiosi americani, quasi a richiamare il celebre schema kantiano[10], adesso passano a considerare le ragioni pratiche e le implicazioni che derivano all’agire umano. Il testo non sembra distanziarsi molto da quanto abbiamo già appreso sull’argomento etico e morale dalla filosofia classica. In sintesi, prendendo spunto da Aristotele, che definisce “ragionamento pratico” il pensiero che guida le azioni del soggetto in qualità di agente morale, Nadler e Shapiro osservano come quella esplicitata dallo Stagirita sia da considerarsi, a tutti gli effetti, una forma di ragionamento molto simile a quella deduttiva, “in quanto, quando un agente delibera su come agire, il suo pensiero parte da determinate premesse e arriva a una conclusione riguardo all’azione”[11]. Pertanto, è anch’essa formalmente soggetta a tutte le incongruenze invalidanti riscontrate nello studio logico-deduttivo brevemente illustrato nel paragrafo precedente.

In questo caso, l’errore di ragionamento non è più di carattere strettamente deduttivo, bensì induttivo, nel senso che il giudizio del soggetto finisce per impattare concretamente sulla sua condotta morale.

A volte capita anche che il soggetto agente, pur sapendo perfettamente come comportarsi, per qualche strana ragione non riesce a seguire fino in fondo quella consapevolezza. Questo dilemma morale è riassunto dal concetto classico di Akrasia. L’Akrasia, letteralmente “mancanza di forza”,è la condizione di un agente che agisce consapevolmente e volontariamente in modo contrario al suo miglior giudizio”[12].

In contrapposizione all’Akrasia, rileviamo la nozione di Phronesis, il buon giudizio che determina positivamente il comportamento,

Il suo obiettivo è l’azione giusta che mira a un buon fine. La persona intelligente percepisce con assoluta certezza l’azione migliore da compiere. Lo fa traendo conclusioni in modo valido – non conclusioni teoriche o speculative ma pratiche, imperativi o ordini di azione – da premesse vere e poi, se tutto va bene, agisce sulla base della sua conoscenza di ciò che è buono o cattivo[13].

Conclusioni

Per Nadler e Shapiro, occorre recuperare il concetto di sapienza nel senso completo del termine:

Noi attribuiamo la sapienza nelle arti a coloro che raggiungono la più alta maestria nelle loro arti […] indicando sapienza nient’altro che l’eccellenza in un’arte. M noi pensiamo che siamo degli uomini sapienti in senso onnicomprensivo e non sapienti solo in un campo particolare[14].

Oggi più che mai, nel mondo governato dalla tecnica, le forme di conoscenza tendono a divenire sempre più settoriali e specialistiche; l’uomo contemporaneo, sembra aver perso in modo irrimediabile la capacità di produrre una visione di insieme, di riflessione sui significati più profondi dell’esistenza umana. In sostanza, serve recuperare un approccio filosofico alla vita, attraverso la ripresa della nozione di logos, quella peculiare sintesi tra ragione e parola, una “teoria completa” e unificante di tutte le cose, che ci consente una rappresentazione più ragionevole del mondo stesso: “lo scopo della filosofia, intesa in senso astratto, è capire come le cose nel senso più ampio del termine stanno insieme nel senso più ampio del termine”[15].

Ogni parere è lecito e la libertà di opinione deve essere garantita. Tuttavia, provare a comprendere i sottili meccanismi alla base di un ragionamento stimola un atteggiamento più riflessivo e critico, che conduce alla ragionevolezza. Quello su cui si vuole porre l’attenzione è il fatto che uno stile di ragionamento, a maggior ragione non valido, possa garantire la verità o la non verità, e ciò lo rende un mezzo molto potente per giustificare una credenza, nonché uno strumento di edificazione del vero a livello sistemico-funzionale: molti convincimenti, argomentati attraverso un processo logico-deduttivo, sia pure non valido (spesso l’elemento della non validità si insinua subdolamente nella struttura del ragionamento), a volte finiscono per alimentare argomentazioni infondate a priori, in seno al dibattito pubblico, che non giovano alla condivisione della verità oggettiva.

Occorre osservare come il testo, seppure suggerisca conclusioni condivisibilissime, lo fa attraverso una argomentazione di carattere generale, a tratti scontata, andando paradossalmente in contraddizione con la tesi che anima tutta la sua linea argomentativa, ossia la necessità di pervenire a un “valore di verità” comprovato da una attenta analisi di tutti gli elementi che concorrono alla sua quantificazione. Se è vero che il volume non si rivolge a un pubblico di specialisti e per questo sia comprensibilmente lontano dall’entrare in complesse argomentazioni che riguardano la scienza della logica, non possiamo non osservare come i sottili meccanismi che soggiacciono il ragionamento, seppur esemplificabili attraverso l’illustrazione di un semplice sillogismo, siano molto più complessi ed esigano una trattazione più completa a livello sistematico.

Quando il soggetto elabora una inferenza, entrano in gioco innumerevoli fattori, riconducibili non solo alla sfera dei valori e delle credenze ma anche al campo esperienziale, il vissuto, che in qualche modo condiziona la mente e di conseguenza il suo agire. Tutto questo rappresenta un importante e complesso ambito di studio, per discipline come la psicologia e la sociologia che, seppure perfettamente integrate nella materia filosofica, spesso si pongono in contrapposizione con la logica che studia esclusivamente le leggi formali del ragionamento. Hegel, in La scienza della logica, osserva come:

Se il pensiero fosse semplicemente un’attività soggettiva, e come tale fosse oggetto della logica, questa scienza avrebbe un suo oggetto determinato come le altre scienze. Potrebbe allora sembrare arbitrario fare oggetto d’una scienza particolare il pensiero […][16].

La riflessione di Hegel sembra già suggerire un orientamento multisistemico allo studio della scienza del ragionamento.

Non sempre il punto di vista logico rappresenta la migliore soluzione al problema; a volte, la rottura di uno schema mentale che può sottostare a un rigoroso ragionamento può portare, nondimeno, a risultati e soluzioni inaspettate a cui probabilmente non saremmo mai arrivati attraverso un processo esclusivamente deduttivo.

Arthur Shophenhauer, nel suo studio sul rapporto tra la conoscenza intuitiva e la conoscenza astratta, radicalizza il concetto appena esposto:

Una comprensione veramente profonda delle cose e delle loro relazioni, la si ha solo in quanto si sia capaci di rappresentarsele soltanto con chiare intuizioni senza l’ausilio delle parole. Spiegare parole con parole, paragonare concetti a concetti nel che consiste la maggior parte del filosofare, è in fondo uno spostare in qua e là come per gioco le sfere concettuali per vedere quali rientri nell’altra e quale no. Nel caso più fortunato si giungerà in tal modo ai sillogismi; ma neanche i sillogismi danno una conoscenza affatto nuova, solo ci mostrano che cosa mai ci fosse in quella già esistente e che cosa di essa sia magari applicabile ogni volta al caso specifico. Invece intuire, lasciare che le cose stesse ci parlino, cogliere nuovi rapporti e solo dopo depositare fissare tutto ciò in concetti per possederlo con sicurezza: questo da conoscenze nuove.[17]

[1] Cfr. S. Nadler e L. Shapiro, Quando persone itelligenti hanno idee stupide. Come la filosofia ci salva da noi stessi, Raffaello Cortina editore, Milano 2022,  p. 23.

[2] Cfr. S. Nadler e L. Shapiro, op. cit., p. 14.

[3] Ivi, p. 19.

[4] Ivi, p. 12.

[5] Un numero crescende di persone crede che il cambiamento climatico sia una bufala o che la diffusione del Covid 19 sia imputabile alla rete 5G.

[6] Ivi, p. 81.

[7] Ivi, p. 83.

[8] Il testo riporta diversi esempi di ragionamento ai quali si rimanda il lettore per una trattazione completa dell’argomento.

[9] K. Popper, La logica della scoperta scientifica, Mondadori, Milano 2010, in S. Nadler e L. Shapiro, op. cit., p. 105.

[10] Facciamo riferimento alla divisione in tre opere della critica kantiana.

[11] S. Nadler e L. Shapiro, op. cit., p. 139.

[12] Ivi, pag. 137.

[13] Ivi, pag. 140.

[14] Aristotele, Etica nicomachea, in S. Nadler e L. Shapiro, op. cit., p. 163.

[15] W. Sellars, Philosophy and the scientific image of the man, in R. Colody (a cura di), Frontiers of science and Philosophy, University of Pittsburg Press, pp. 35-78, in S. Nadler e L. Shapiro, op. cit., p. 169.

[16] G. W. F. Hegel, La scienza della logica, UTET, Torino 1981, cit. in Hegel, L’inizio della filosofia e i limiti della logica tradizionale, in “Filosofico.net”, link: www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaH/HEGEL_%20L%20INIZIO%20DELLA%20FILOSOFIA%20.htm.

[17] A. Schopenhauer, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, Bur, Milano 2009, Vol. II, p. 105.

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