I cortometraggi della giornata
I Promossi, Rimandati e Bocciati di Guglielmo Vinci
Hold the Line (Irlanda, 2018) = Promosso
Ambientato in un call center, Hold the Line racconta la stressante giornata lavorativa della giovane Emily, che deve affrontare le chiamate esasperate e furibonde dei vari clienti dopo aver ricevuto una terribile notizia. In un momento di massimo stress, la chiamata di un’anziana signora, Patsy, riuscirà a far sorridere la giovane stagista.
Nella sua semplicità, il cortometraggio coinvolge gli spettatori ponendo l’accento, sebbene in modo garbato, su argomenti attuali come il burnout lavorativo. Un’idea semplice, dal significato profondo e ben eseguita.
Pigeons of Discontent (Irlanda, 2018) = Promosso
Dopo l’esordio nella prima giornata dell’IRISH FILM FESTA di The Swimmer, ecco Pigeons of Discontent, il secondo cortometraggio della categoria Documentary. Tratto da un articolo di una testata locale dublinese, Pigeons of Discontent racconta il problema che affligge gli abitanti del quartiere residenziale di Stoneybatter: i piccioni, per l’appunto. I cittadini esprimono i propri pensieri sull’argomento mentre scorrono le immagini del quartiere e degli stormi di piccioni in volo. Promosso per l’idea simpatica e per solidarietà nei confronti di chi odia i piccioni.
Under Growth (Irlanda, 2018) = Promosso
Under Growth è un viaggio di circa 12 minuti sul potere della fantasia e dell’immaginazione, più forti delle difficoltà, come quelle che vive la piccola Hayley in un contesto familiare reso difficile dalla separazione dei genitori. Il padre, trasferitosi in un fatiscente appartamento di periferia, demotivato e intristito, affoga nell’alcool il suo dolore ed è poco recettivo nei confronti della figlia. Un pretesto porta la bambina ad andare nel bosco e a non rientrare per lungo tempo. Preoccupato, il padre va a cercarla e si spaventa nel sentire delle urla, scoprendo però che la bambina sta giocando con la sua immaginazione tra gli alberi. Molto simpatica l’idea dell’albero vivente, collegato immediatamente agli Ent de Il Signore Degli Anelli.
Clean (Irlanda, 2018) = Bocciato
Quasi 5 minuti di cortometraggio che raccontano l’attesa di due persone in una lavanderia. Una storia banale con delle scene banali e una conclusione banale. A ripensarci mi domando per quale motivo siano stati sprecati cinque minuti per un qualcosa di banale… e banale è l’unico termine a cui riesco a pensare.
Inhale (Irlanda del Nord, 2017) = Bocciato
Il secondo cortometraggio documentaristico della giornata racconta la voglia di ricominciare a vivere di un uomo che ha perso da poco l’amata moglie, una forza che viene incanalata nella cura dei cavalli di sua proprietà. Non ha suscitato particolari emozioni.
Low Tide (Irlanda, 2018) = Promosso
Un interessante cortometraggio dell’orrore quello diretto da Ian Hunt Duffy, che combina il rapporto tra padre e figlio e un’ambientazione immersa nella natura, ma che si concentra anche sui riti di passaggio. Una battuta di pesca che vede coinvolti un padre e un figlio si arricchisce di risvolti oscuri quando il padre obbliga il figlio a buttarsi in mare dalla barca per affrontare un mostro, un incontro dal quale le cose prendono una piega macabra. Un’idea interessante in alcuni suoi sviluppi.
No Place (Irlanda, 2018) = Rimandato
L’idea di per sé non è negativa, ma probabilmente la durata ridotta (poco più di 8 minuti) non permette alla storia di sviluppare appieno il proprio potenziale. Il cortometraggio No Place racconta le difficoltà di una madre che, sfrattata con i suoi bambini dall’appartamento in cui abitavano, cerca con ogni mezzo di mantenere un’aura di normalità e dignità per il bene dei figli. L’opera di Laura Kavanagh perde il potenziale apprezzamento per la mancanza di uno sviluppo ulteriore della storia e/o dei personaggi; sarebbe stato meglio ampliare di qualche minuto la narrazione.
Recovery (Irlanda, 2018) = Promosso
Il cortometraggio Recovery racconta in otto minuti il processo di recupero della vita personale di tre donne vittime di stupro (due delle quali hanno voluto palesarsi, mentre la terza ha preferito conservare l’anonimato). La scelta della regista Siofra Quinn Gates di raccontare le loro storie tramite una eclettica combinazione di arte e narrativa (dalla danza al disegno alla ricostruzione recitata del racconto delle donne) è interessante e delicata. In un periodo storico come quello attuale, dove viene posta sempre più attenzione sulla drammatica questione della violenza sessuale, un cortometraggio del genere è sicuramente lodevole, ma occorre anche fare a attenzione a non portare il tutto alla sua estremizzazione.
Un uomo contro tutti – “The Lonely Battle of Thomas Reid”
A cura di Guglielmo Vinci
Conclusa la proiezione del primo gruppo di cortometraggi in concorso all’IRISH FILM FESTA, si passa al mediometraggio documentaristico The Lonely Battle of Thomas Reid (2018) che presenta la storia vera di un anziano pastore di Leixlip (Contea di Kildare) e della lunga, estenuante e faticosa battaglia legale da questi intrapresa per la difesa della propria casa e della propria terra contro la multinazionale statunitense Intel e le autorità irlandesi. Per decenni Reid ha vissuto in semplicità e solitudine nella casa di famiglia, dedicandosi ai propri capi di bestiame. La multinazionale Intel (che nella felice Irlanda, terra di grandi e massicci investimenti stranieri, ha effettuato importanti investimenti nelle proprie infrastrutture) vuole imporsi nell’acquisto dei terreni di Reid, con il benestare di Dublino, senza avere la sua autorizzazione. Ha così inizio lo scontro tra un “Davide” che si rifiuta di abbandonare ciò che appartiene alla sua famiglia da generazioni e un mastodontico “Golia” dal fatturato globale di oltre 70 miliardi di dollari.
Diretto da Fearghal Ward, il documentario ripercorre i passaggi della battaglia solitaria dell’anziano Reid grazie a una ricca documentazione composta non solo da estratti di inchieste televisive e radiofoniche, ma anche dalle carte custodite gelosamente da Reid e dagli incartamenti processuali dello stesso contenzioso. Questi vengono utilizzati dal regista per ricostruire in modo fedele ma anche molto suggestivo (gli avvocati e i giudici in seduta tra le balle di fieno e le distese verdi delle campagne irlandesi) i dibattimenti che ebbero luogo tra il 2011 e il 2015 tra i due contendenti. Ma rappresenta anche il lato intimo di un uomo provato nell’animo, che vive una vita frugale e ben lontana dall’avanzare galoppante del “progresso”. La sua casa è consumata dal tempo, piena di polvere, sporcizia e montagne caotiche di oggetti oramai da considerarsi “d’antiquariato” (come le videocassette delle stagioni registrate di Dallas, una vecchia macchina fotografica modello Polaroid o una radio a transistor), dai quali Reid non è in grado di separarsi.
La pellicola racconta uno spaccato dell’Irlanda rurale, di quell’Irlanda ancora legata ad un modo di vivere semplice, in cui la giornata viene scandita dalla cura dei propri animali e del proprio raccolto. Un’Irlanda che lentamente e inesorabilmente scompare con l’arrivo di grandi fabbriche portatrici di sviluppo, opportunità lavorative, “benessere” e profitti, ma anche di inquinamento massiccio, avvelenamento delle falde acquifere e dei terreni e in alcuni casi di un deterioramento della qualità della vita.
Non sono argomenti “nuovi”, non sono da circoscrivere al solo caso citato avvenuto in Irlanda, ma si possono associare alle storie di tanti altri Thomas Reid sparsi nel mondo. Negli Stati Uniti, per fare soltanto un esempio, si potrebbero scrivere dei veri e propri manuali, magari cominciando dalla Monsanto-Bayer e dalle recenti sentenze statali che hanno stabilito il legame tra il diserbante agricolo Roundup e l’incombenza di patologie tumorali. Sono storie che rappresentano le degenerazioni del modello capitalista, in cui vale la legge del più forte, a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Dove “il bene comune prevale sul diritto di proprietà di un individuo”, parafrasando un passaggio delle motivazioni della prima sentenza della Corte Suprema a favore di Intel e IDA Ireland (l’autorità che attrae gli investimenti esteri nel Paese) del 2013. Degenerazioni contro le quali, però, può capitare che per una volta possa vincere anche il piccolo Davide. Come nel caso di Thomas Reid, che infine riesce a dimostrare come l’esproprio della sua terra costituisca una violazione delle sue libertà e dei suoi diritti costituzionali. Vittorie per le quali si può urlare a squarciagola:
We’re not gonna take it, no we ain’t gonna take it.
Oh we’re not gonna take it anymore!
(Twisted Sister – We’re not gonna take it)
L’orrore (doppio) di un’ingiustizia – “Murdair Mhám Trasna”
A cura di Giuseppe Bertini
La pellicola conclusiva della serata Murdair Mhám Trasna (in inglese The Mam Trasna Murders), è un docufilm televisivo in lingua gaelica e inglese prodotto lo scorso anno per la TG4 (canale televisivo dedicato alla lingua gaelica) che racconta e analizza uno scabroso evento di cronaca nera nella storia d’Irlanda le cui successive ripercussioni avrebbero però superato in brutalità ed efferatezza lo stesso fatto.
Diretto da Colm Bairéad, Murdair Mhám Trasna riporta le lancette dell’orologio indietro di oltre cento anni fino alla fine del XIX secolo, quando l’Irlanda era parte integrante del territorio, o meglio dire dominio, dell’Impero britannico guidato dalla longeva regina Vittoria. Nel profondo Ovest dell’Irlanda, al confine tra le Contee di Galway e Mayo, era situata Mhám Trasna, una cittadina di poche migliaia di abitanti, impegnati principalmente nel lavoro dei campi e nell’allevamento, che rappresentava perfettamente quell’Irlanda sconosciuta ai grandi centri politici inglesi e ancorata con orgoglio alle tradizioni gaeliche. Il 17 agosto 1882 Mhám Trasna salì purtroppo agli onori della cronaca per il brutale ed efferato omicidio di cinque membri della famiglia Joyce, una vera e propria strage premeditata fin nel minimo dettaglio. L’episodio di per sé non creò molto clamore nella cittadina, legata da patti di sangue fin troppo stretti tra le sue famiglie e da uno spirito d’omertà latente, quanto piuttosto nei palazzi istituzionali. In particolar modo Londra, già provata dal duro scontro con le prime associazioni segrete irlandesi che solo qualche mese prima avevano ucciso a sangue freddo due funzionari inglesi presso il Phoenix Park di Dublino, era decisa e risoluta nel voler affermare la sua autorità per evitare che questa tragedia potesse dare il via a una nuova spirale di violenza.
L’infuocato rapporto politico-sociale tra l’Inghilterra e il suo dominio irlandese fu determinante nell’influenzare negativamente l’intera attività giudiziaria, condotta in modo del tutto superficiale e parziale. La prima fase delle indagini si concluse con l’arresto di otto uomini della comunità di Mhám Trasna da parte delle autorità anglo-irlandesi, riconosciuti da tre “testimoni oculari” come gli esecutori e mandanti del meticoloso piano omicida. Il processo, svoltosi successivamente a Dublino, non brillò in alcun modo per imparzialità, trasparenza e rispetto del contradditorio: non venne presa in considerazione la testimonianza dell’unico superstite alla mattanza che sarebbe risultata decisiva ai fini processuali; non venne riconosciuta agli imputati la possibilità di conferire con il loro legale nella fase antecedente all’inizio delle attività processuali; e infine, elemento fondamentale, non venne considerata la scarsa conoscenza della lingua inglese da parte degli imputati come elemento penalizzante del procedimento. Degli otto, soltanto due conoscevano l’inglese, perché avevano avuto modo di lavorare in Inghilterra. Si videro assegnare come interprete un secondino presente in aula che, terribilmente in soggezione di fronte alla figura del giudice e dei giurati, avrebbe svolto solo in parte il proprio compito. La stessa giuria non si dimostrò imparziale: i giurati infatti appartenevano in maggioranza alla media borghesia dublinese e il loro giudizio venne influenzato dall’astio e dal classismo verso quel mondo rurale che appariva ai loro occhi gretto, selvaggio e portatore di insicurezza.
Al termine di una camera di consiglio di appena otto minuti, la giuria emise il verdetto di colpevolezza per i primi tre arrestati, condannati alla pena capitale da eseguire mediante impiccagione nel carcere di Galway. I restanti cinque accusati, non senza difficoltà e resistenze, vennero convinti dal loro legale ad accettare una “transazione” proposta dalla Corte inglese, interessata per vari motivi a una immediata conclusione del processo: la condanna all’ergastolo invece di una morte certa in cambio di un’ammissione di colpevolezza.
A nulla sarebbe servito l’appello al Lord Luogotenente d’Irlanda John Spencer, da parte della moglie di uno dei tre condannati: il 15 dicembre 1882 Pat Casey, Pat Joyce e Myles Joyce (interpretato nel docufilm dall’attore irlandese Dara Devaney, presente alla proiezione – a destra,nda) vennero impiccati nella prigione di Galway. Quest’ultimo poi morì invocando il perdono di Dio per chi lo aveva ingiustamente accusato e per il sistema che lo aveva indegnamente condotto al patibolo.
Soltanto la caparbietà del deputato inglese Timothy Harrington sarebbe risultata decisiva nell’affermazione della verità e della giustizia: le indagini personali condotte da quest’ultimo, infatti, lo avrebbero portato a individuare i reali colpevoli e coloro i quali, dietro pagamento di una cifra oggi calcolabile in 126.000 euro, avevano testimoniato il falso. In seguito avrebbe fatto pressioni per l’apertura di un’inchiesta pubblica sulle modalità di svolgimento del processo, ottenendo tuttavia in cambio un nuovo giudizio da parte di un diverso magistrato.
Due sono le date principali a cui possiamo connettere l’accertamento della verità e la definitiva conclusione di questa tragica storia: il 1902, anno in cui i tre superstiti vennero rilasciati e fecero ritorno alla loro cittadina (gli altri due erano morti per cause naturali nelle galere irlandesi), e il 4 aprile 2018, quando il Presidente irlandese Michael D. Higgins riconobbe e concesse la grazia postuma per Myles Joyce. Un atto che può sembrare di poco conto, ma che è servito a chiudere definitivamente una tragedia sulla quale hanno avuto una grandissima responsabilità il disprezzo e le politiche aggressive inglesi nei confronti del popolo irlandese.
Guglielmo Vinci e Giuseppe Bertini per www.policlic.it