Se è vera l’affermazione dell’amico William De Carlo sulla morte della socialdemocrazia così come l’abbiamo conosciuta, la compagine più radicale della sinistra continua al contrario ad ingrossare le fila e ad accrescere consensi.
Sarà una coincidenza storica il fatto che a 100 anni dalla rivoluzione d’ottobre ci troviamo spesso di fronte a numerose compagini interne allo schieramento delle sinistre ma allo stesso tempo lontane dalle dinamiche socialdemocratiche (quasi a voler riproporre il dualismo socialisti-comunisti), quest’ultime sempre più distanti dalle esigenze della società.
In questo clima di disconnessione, chi si propone per guidare un paese con un programma di sinistra più radicale e con più accenti, spesso utopistici, riesce a strappare consensi, al contrario delle tradizionali socialdemocrazie che come degli equilibristi camminano su di un filo sottilissimo e cercano di non cadere barcollando fra destra e sinistra senza mai sbilanciarsi troppo.
Davanti a noi si apre tuttavia uno scenario altamente differenziato sia geograficamente che ideologicamente, anche se questa sinistra e radicale e multipolare ha numerosi aspetti comuni.
Tutti i principali paesi europei hanno visto l’ascesa di queste “nuove” sinistre, ad eccezione di Italia e Gran Bretagna.
Nel nostro paese il malcontento “antisistema” non è stato intercettato a dovere dalla sinistra, rinchiusasi in una dimensione dalle sembianze quasi elitarie, che stenta a decollare perché schiava di personalismi e divergenze ideologiche che appaiono lontane ed anacronistiche. Insieme a questo bisogna considerare che molti dei personaggi che la animano oltre a non essere nuovi sono già o già stati in parlamento e subiscono la percezione negativa dei cittadini per i cambiamenti e le politiche annunciati e non realizzati.
In gran Bretagna invece non è nato nessun partito in quest’orbita. Si è avuto invece un ritorno di fiamma, quel rinculo necessario che ha spinto il partito laburista all’indietro fino a fargli prendere una botta in testa e svegliarlo dal declino liberista al quale Blair lo aveva avviato. Corbyn è rientrato negli steccati della sinistra tradizionale, spaventando prima e rassicurando poi.
Tra tutte le nuove creature, che analizzeremo in altre pezzi, quella che ha avuto un buon risultato e che ci è cronologicamente vicina è quella di Jean-Luc Mélenchon, vale a dire La France Insoumise.
Fondato nel febbraio del 2016, il movimento di Mélenchon vuole ispirarsi allo spagnolo Podemos ed alla figura di Bernie Sanders, che correva alle primarie dei democratici per le presidenziali del novembre scorso.
Mélenchon si rifà si della sinistra più radicale, propone una nuova assemblea costituente con l’obiettivo di rifondare la Repubblica
proclamandone una sesta, con una sovranità più condivisa e la fine dell’eccesso di potere nelle mani del Presidente. Facilitare il diritto d’asilo e l’accesso alla nazionalità, porre l’istruzione al centro come strumento di lotta alle disuguaglianze sociali, pensione a 60 anni, più e ferie e orario di lavoro ridotto a 32 ore, aumento del salario minimo, un sussidio di autonomia per chi ha tra i 18 ed i 24 anni ed una denuclearizzazione parallela al progressivo incremento delle rinnovabili.
In politica estera assume posizioni più ambigue: contrario alla NATO ed al FMI ma favorevole all’ONU, auspicandone anzi un incremento di poteri e capacità d’azione. In merito all’UE invece appare spesso critico, considerando anche la possibilità di lasciarla a seguito di un eventuale referendum qualora non venga praticamente rimessa a nuovo, con la ridiscussione di tutti i trattati costitutivi.
La venatura euroscettica, anche se non rimarcata come nel caso dei partiti di destra di matrice xenofoba, ha sicuramente favorito l’ascesa di questa compagine politica, tanto che con il 19,58% La France Insoumise si è piazzata al quarto posto alle ultime elezioni presidenziali francesi, superando i socialisti con il loro candidato Benoit Hamon in caduta libera con un risultato pari al 6,36 %.
Questo racconto dell’estrema sinistra in Francia può sembrare superfluo e tardivo agli occhi dei lettori ma in realtà il tema trattato, considerando le tendenze degli altri stati europei, salterà fuori ancora nel futuro prossimo così come è saltato alle cronache il risultato di Die Linke (sinistra estrema presente nei territori dell’ex DDR) in Germana nelle ultime elezioni del 24 settembre. Vi è una tendenza che si fa sempre più forte, attiva ed importante dal punto di vista politico-sociale e pertanto non va ignorata o considerata di serie B rispetto a ciò che accade a destra. E le socialdemocrazie devono farsi carico di questo.
Da un punto di vista europeo infatti le caratteristiche di queste nuove sinistre e la visione spesso euroscettica di cui si fanno portatrici, soprattutto nei paesi fondatori della UE, mettono in seria difficoltà la sopravvivenza dell’istituzione comunitaria (se la consideriamo così com’è) perché si vanno a sommare a quei voti che i partiti tradizionali ed europeisti di centro destra hanno già perso a favore dei partiti xenofobi. Ora lo stesso fenomeno si sta verificando nella parte opposta, restringendo il campo dell’europeismo così come lo conosciamo oggi, costringendo spesso a coalizioni centriste insapore che a loro volta non fanno altro che aumentare i consensi degli estremismi.
Non è detto che questo sia un problema, ma può la già fragile istituzione europea, ponendo il caso che alcuni di questi partiti vincano, reggere un eventuale e tuttavia improbabile tentativo di riforma radicale comune? Fin quando sarà ostaggio degli Stati che la compongono e prigioniera di centrismi senza vie d’uscita, non ci sarà spazio per questi movimenti che si vedranno costretti a posizioni sempre più “exit”.
Nel prossimo articolo si affronterà il caso die Linke, sinistra tedesca nata da costole della SPD e dagli ex-comunisti della vecchia DDR.
Luca Di San Carlo