Come abbiamo potuto notare, grazie anche ai diversi approfondimenti rilasciati nei giorni scorsi, le elezioni politiche tedesche rappresentano la “cartina di tornasole” della politica Europea e Mondiale.
In questa quarta puntata verrà analizzato il voto relativo alla componente liberale dell’elettorato tedesco, ovvero la FDP (Freie Demokratische Partei). Ciò che rende necessario dedicare un focus a questo schieramento politico è la sua risurrezione, avvenuta proprio in occasione di quest’ultima tornata elettorale tedesca. Prima di addentrarci nel vivo della questione sarà necessario ricostruire, privilegiando gli avvenimenti più importanti, il percorso politico-culturale di questo partito.
Come ogni Partito fondato sull’ideologia del liberismo economico, il “Partito Democratico Libero” (FDP), muove i suoi passi puntando al ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia. Si arriva quindi a teorizzare lo “Stato Minimo”, ovvero uno stato che ha ragione di esistere solo in qualità di garante dei “bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli”. La sua presenza nello scenario politico internazionale è fatalmente legata a quella dei partiti di stampo Socialista. Le due realtà infatti, quella socialista e quella liberale, sono due risposte alternative ai bisogni sempre cangianti e contingenti degli stati.
Questo assunto ci aiuta a comprendere meglio i continui “Valzer” di queste due compagini nelle maggioranze di governo. Non potendo per necessità piantare troppo lontano le radici della nostra analisi, ci limiteremo a tenere in considerazione gli ultimi dodici anni della vita democratica tedesca. Come è noto gli anni in questione sono stati interamente monopolizzati dal dominio della CDU di Angela Merkel. Ciò che è doveroso mettere in evidenza, oltre la fiamma eterna della “cancelliera”, è la ciclica alternanza nella maggioranza di governo tra SDP e FDP. A seguito delle elezioni federali tenutesi nel 2005, l’allora leader dei liberali tedeschi, Guido Westerwelle (in foto), doveva osservare dai banchi dell’opposizione il formarsi del Governo Merkel I. Il 9,8% delle preferenze, infatti, non furono utili a raggiungere, nell’ottica di una coalizione con la CDU, una maggioranza assoluta, e quindi la formazione un governo cristiano-democratico-liberale. Ciò che vide la luce fu, invece, il primo esperimento di Groβe koalition: CDU-CSU/SPD.
Il 2009 sarà l’anno dell’alternanza. Le urne decretano la frattura tra l’elettorato socialdemocratico e il nuovo leader: Frank-Walter Steinmeier. Westerwelle può così, grazie al più importante riscontro elettorale della storia liberale tedesca (pari al 14,6% dei consensi), soccorrere Angela Merkel nella formazione del Governo Merkel II. In questi anni, lo stesso Westerwelle (prematuramente scomparso nel marzo 2016), ricoprirà la carica di ministro degli affari esteri, nonché quello di vice-cancelliere dello stato tedesco. Paradossalmente l’esperienza governativa al fianco della CDU darà il via alla progressiva frantumazione del partito e alla conseguente uscita di scena dalla politica tedesca. Il fallimento della dottrina liberale e Neo-Liberista basata sulla riduzione della pressione fiscale, la rottura con il mondo industriale, (sempre più attratto e rassicurato dalle politiche della CDU), uniti alla lotte intestine del partito, portarono alla deflagrazione dello stesso e, nel 2013, alla più umiliante sconfitta elettorale di tutti i tempi (4,8% di consensi).Il 2013 rappresenta l’anno zero per i liberali tedeschi. A seguito della defenestrazione di Westerwelle e dell’uscita dal bundestag, il FDP vive la più profonda crisi di identità della sua longeva storia politico-culturale. Costretto a osservare da lontano le consultazioni che di lì a breve avrebbero dato vita al Governo Merkel III, il partito fu costretto a rifondare la sua classe dirigente. Proprio da questa rifondazione partirà il lungo cammino della durata di quattro anni, alla fine del quale quello del Governo sarà un obiettivo palpabile, sarà realtà.
A questo punto della recentissima storia liberale tedesca entra con veemenza l’artefice della rinascita: Christian Lindner. Ritengo sia opportuno spendere qualche parola per delineare il profilo “socio-culturale” di questa nuova figura politica. Nel 2001, all’età di 21 anni, diviene il più giovane deputato della storia del Parlamento statale del Nord Reno-Vestfalia nel Landesparlament. Da questo momento in poi intraprenderà una carriera politica che lo porterà il 7 dicembre del 2013 alla guida federale del FDP. Chiamato a risollevare le sorti di un partito ormai in rovina, costruisce la propria “fortuna politica” in uno dei Land più industrializzati del Paese, il Nord-Reno Vestfalia, dove il partito liberale viveva una crisi ormai profonda e apparentemente irreversibile. Divenuto quindi, a soli 34 anni, il più giovane leader liberale della storia tedesca dichiarò un lutto per il vecchio organigramma e l’inizio di una nuova era.
“Denken wir neu” che tradotto letteralmente significa “noi pensiamo nuovo” è stato lo slogan della sua lunga campagna elettorale. Fermandosi a riflettere sul significato dello slogan, in relazione alla natura ideologica del partito, appare subito chiara l’antinomìa tra i termini “liberale” e “nuovo”. Ciò ci permette di approfondire due questioni di difficile comprensione: 1) come può un partito liberale, importante per longevità e per la sua lunga tradizione storica, rappresentare il futuro pur mantenendo vivi i dogmi del neo-liberismo? 2) come un partito liberale può non accorgersi che la tendenza delle politiche nazionali guarda in maniera consistente alla dottrina liberista, e quindi “pensare nuovo” significherebbe allontanarsi sostanzialmente dal liberismo? 3) Come possono la richiesta di uno snellimento dell’apparato burocratico-amministrativo e una semplificazione delle normative finalizzati agli investimenti economici risultare proposte innovative?
Non considerando l’aspetto squisitamente economico, vi sono altre questioni sulle quali il partito ha posto attenzione. Il testo programmatico è articolato e lungo. Consta di 158 pagine e ha una versione ridotta ben strutturata. La punta di diamante del programma è la questione relativa al processo di “digitalizzazione”. Attraverso la creazione di un ministero ad Hoc, ovvero il “ministero per la digitalizzazione”, l’entourage di Lindner è convinto di poter migliorare tutti i settori della vita quotidiana in cui la politica è chiamata a “legiferare”, intaccando, peraltro, anche il settore giuridico. Nelle utilità di un ipotetico ministero siffatto, infatti, è previsto uno snellimento del lavoro delle procure.Per ciò che concerne la sicurezza, il programma utilizza l’ormai celebre slogan “Datenschutz, Datentransparenz und Datensouveränität sind Freiheitsgaranten des 21. Jahrhunderts”, che tradotto letteralmente altro non è che un inno sulla protezione dei dati personali: “la protezione, trasparenza e sovranità dei dati personali sono garanti della libertà del 21esimo secolo”. In ottemperanza a quanto sopra riportato, quindi, appare giustificata la strenua opposizione alla crescente videosorveglianza degli individui utilizzata in funzione “giuridico/penale”.
Infine ci si scaglia contro i soliti e vetusti sistemi di produzione. Si prospetta un “aggiornamento” nei settori industriali, si promettono ingenti investimenti per stimolare la costruzione di reti start-up e si stilano nuovi piani per le infrastrutture. Tutto ciò condito da un imponente sgravio normativo finalizzato allo slancio dell’economia attraverso l’intermediazione dell’imprese.
Come si può facilmente notare le “innovazioni” riportate nel programma dei liberali “suonano” principalmente come “innovazioni di contorno”. Nelle politiche economiche neo-liberiste, presentate come novità assolute, si riverberano le direttive che da sempre hanno caratterizzato l’azione dei partiti liberali. Questo “nuovo” progetto, infatti, più che portare una ventata di novità sul piano fiscale e sociale, potrebbe inscriversi nel più ampio e diffuso movimento di “rottamazione” promosso da diversi leaders europei. Rottamazione che andrebbe a tagliare fuori dal palcoscenico politico non le vecchie idee, ma i veterani dei diversi partiti ormai invisi agli elettori, lasciando sopravvivere, così, le direttive di partito.
Ciò che non si può sottovalutare, al fine di esaminare esaustivamente la campagna elettorale vincente condotta dal FDP, è la cura maniacale dell’immagine del leader. In questo settore, il partito ha saputo dimostrare quella ventata di novità non percepibile nei settori più rilevanti.
Qual è il destino che attende il Freie Demokratische Partei?
La ciclicità della recente storia tedesca, la crisi della socialdemocrazia, la “claudicanza” dello stato nazionale in materia economica, uniti all’ottima campagna mediatica portata avanti dai liberali, proiettano il partito nelle file della maggioranza di Governo. Come abbiamo sottolineato nelle analisi che precedono la seguente, siamo stati testimoni del tramonto della Groβe Koalition. Quest’evento ha ridisegnato la “direttrice della stabilità” tracciata con non poca difficoltà da Angela Merkel a seguito delle elezioni del 2013. Il diniego alla grande coalizione, posto da Martin Schulz, infatti, consegnerà la poltrona di ministro per gli affari esteri al leader della minoranza della nuova coalizione che va profilandosi (ciò avverrà seguendo la prassi utilizzata in tutti i governi di coalizione formatisi in Germania). Per uscire dallo stallo e sopperire al vuoto lasciato dalla SPD, la CDU della Cancelliera Merkel è già all’opera per costruire la nuova maggioranza di governo. Si apre così la via una inedita coalizione governativa (esperimento già avviato in alcuni land) che vede la CDU/CSU sostenuta dal FDP e dai Verdi. Questa colazione prende il nome di Jamaica Koalition, dall’unione cromatografica dei colori simbolo dei tre partiti che la formeranno: il nero dei cristiano- democratici, il giallo dei liberali e il verde dei verdi.
La formazione del nuovo governo richiederà delle trattative ardue per la Cancelliera. La nuova creatura governativa, infatti, sarà caratterizzata da una forte eterogenrità ideologica, quindi i carichi da novanta della politica nazionale e internazionale verranno introiettati dai partiti con una differenza di vedute proibitiva. Il primo nodo da sciogliere sarà quello relativo alla poltrona lasciata vacante da Wolfgang Schäuble, ovvero il ministero delle finanze. Quest’ultimo, designato come futuro presidente del Bundestag, lascia dietro di sé una scia di pretendenti non “ortodossi” e genera apprensione sia dentro che fuori i confini nazionali. Abbiamo ragione di pensare che, memore dell’errore che fu del suo omologo Westerwelle nel 2009 (non rivendicare il ministero delle finanze all’interno della coalizione CDU/CSU e appiattirsi sulle politiche economiche di stampo democratico-cristiano), il giovane Lindner venderà cara la pelle e pretenderà il suddetto ministero. I nomi che circolano all’interno degli ambienti liberali, relativi alla nomina di ministro delle finanze, sono sostanzialmente tre: Werner Hoyer, già presidente della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), è il nome più caldo e quello più qualificato per ricoprire il ruolo; Wolfgang Kubicki, secondo nella gerarchia del partito liberale; infine lo stesso Christian Lindner. Quest’ultima pare una prospettiva inverosimile, dato che secondo la prassi a questo spetterebbe il ruolo di Ministro per gli affari esteri. Ad ogni modo, indipendentemente dalla figura chiamata a ricoprire il ruolo, la linea del partito appare chiara: meno tasse, più liberalizzazioni, investimenti per la digitalizzazione e l’abbandono definitivo della politica dell’austerity perpetrata dalla Cancelliera in questi ultimi dodici anni di Governo. Infine, uno dei punti cardine della campagna elettorale è stato quello relativo ai prestiti ai paesi dell’eurozona che vertono in situazioni di crisi perenne. Sono infatti favorevoli alla conservazione della ricchezza all’interno dei confini nazionali e strenui oppositori al sistema finanziario partorito dall’Unione Europea e sostenuto principalmente dall’asse Macron-Merkel.
Altro punto di contrasto ideologico e procedurale è quello relativo all’accoglienza. Le politiche attuate finora dai governi Merkel non garbano i vertici del partito liberale, che son pronti a dare battaglia alle politiche d’asilo implementate negli ultimi anni. “Distinguere tra rifugiati che torneranno a casa una volta risolte le crisi nei loro Paesi e la manodopera qualificata da invitare”. Non c’è posto, quindi, per immigrati che non rientrino in quella categoria. Questi ultimi sono destinati ai “campi del Nord Africa” seguendo la linea di pensiero così concretizzato in uno dei tanti slogan generati in campagna elettorale: “la sicurezza deve essere più organizzata del crimine”.
L’ultimo grande step da superare per Angela Merkel sarà proprio quello di far coesistere la reticenza del partito liberale all’europeismo economico siffatto, e le politiche sovranazionali prospettate da Jean Claude Junker ed Emmanuel Macron. Proprio quest’ultimo, “immaginando” un “bilancio comune della zona euro” lascia intendere che la Germania debba privarsi di punti percentuali del suo PIL per “la spesa pubblica francese o per la riparazione dei danni procurati all’Italia da Silvio Berlusconi”.Lindner e compagni lasciano intendere che, se necessario, sarà muro contro muro.
“Italienische Pizza, französische Mode und irisches Bier sind seine besten Argumente”. Tradotto letteralmente: “la pizza italiana, la moda francese e la birra irlandese sono i suoi migliori argomenti”. Per i Liberali tedeschi, Lindner in testa, quella racchiusa nello slogan sopra citato è l’unica Europa possibile.
Il 18 ottobre inizieranno ufficialmente i negoziati che doteranno la Germania di un nuovo Governo. In quell’occasione si misureranno il “vecchio”, rappresentato da Angela Merkel, e il “diversamente nuovo” rappresentato dal giovane Christian Lindner.
William De Carlo per Policlic.it