C’è una volgata comune che osteggia la deriva del PD, specialmente in seguito all’avvento del renzismo. Il PD viene percepito come la nuova DC, Renzi come il leader politico che più di tutti ha privato il Partito Democratico della sua naturale vocazione identitaria di sinistra, circondandosi di yes-man miracolati dalla politica, insensibili al progressivo smantellamento dei diritti sociali dei lavoratori, e continuando a tenere in ostaggio il partito anche dopo le dimissioni da segretario.
Si tratta senz’altro di una crisi storica che sta investendo tutti i partiti socialdemocratici occidentali ed europei in particolar modo, non solo l’Italia. Sembra che i partiti tradizionali si stiano rivelando inadeguati nel rispondere alle esigenze dei cittadini, di adempiere al proprio compito di selezionare una classe dirigente all’altezza di statisti del passato, quali De Gasperi e Moro.
In questo contesto critico e drammatico allo stesso tempo, la figura di Roberto Giachetti risulta essere forse la più popolare sia tra i fanatici ultras ma anche tra i feroci detrattori di Renzi. In questo moto condiviso di agguerrita avversione, lui sta simpatico a tutti, suscita quasi tenerezza, come se fosse uno di casa. Sarà per il suo attivismo di lunghissimo corso tra le fila del Partito Radicale e nei movimenti studenteschi, sarà per la sua disponibilità, umiltà e loquacità, che ne fanno un renziano, seppur della prima ora, atipico, distante dall’opinione diffusa sul politico di professione snob, saccente e scevro di qualsiasi forma di empatia e umanità.
Sta di fatto che nel profondo vuoto culturale in cui è piombata la politica attuale, per un linguaggio che si è imbarbarito, per le strumentalizzazioni di vicende anche tragiche, dolorose, delicate, per una comune mancanza non solo di ideali, di visioni per il futuro, soprattutto dei giovani meridionali, di assunzioni serie e convinte di responsabilità, ma anche di valori che esulino dalle vendette, dai rancori e dai risentimenti personali, la compostezza e la pacatezza di Giachetti suonano a tutti come rivoluzionarie.
Questo è il rischio (o per meglio dire l’altra faccia della medaglia) di una politica che ha istituzionalizzato l’anti-politica come forma di protesta contro la Casta e di sovversione al sistema, quello appunto di elevare qualità che dovrebbero essere proprie di ogni buon amministratore della cosa pubblica a merce sempre più rara e, paradossalmente, in controtendenza rispetto al panorama politico che osserviamo e viviamo nel quotidiano.
Non è stato quindi difficile per Giachetti presentarsi come il Che Guevara del Partito Democratico, il politico che non usa mai la cravatta, che non teme pregiudizi e si mostra pubblicamente fumare un sigaro, come lo spirito libero anticonformista ma capace di “sporcarsi le mani” e “cambiare pelle” proprio come tutti gli altri. Il mito che aleggia attorno alla sua complessa figura, infatti, non ha mai lasciato che emergessero i suoi lati reazionari e contraddittori, rischia insomma di plasmare una sorta di personaggio leggendario, dai connotati quasi divini, ma non rispondenti alla realtà.
Tutte le personalità più carismatiche sono circondate da questo alone di mistero che conferisce loro un certo fascino, Giachetti è senza dubbio una di queste. Non a caso è lui stesso a paragonare le battaglie caratterizzate dalla non violenza promosse dai Radicali, in contrapposizione alla lotta armata che contraddistinse invece gli anni di piombo e che costò la vita purtroppo a Giorgiana Masi, con le marce della pace di Gandhi e Martin Luther King. Non so se Giachetti si renda conto di essere vittima di una superficiale narrazione mediatica, limitante oltre che sminuente.
Non so quanto lui stesso contribuisca ad alimentare questa narrazione, inconsciamente o per ovvie ragioni di propaganda e marketing. Non so neanche quanto questa recente dichiarazione in pubblico di rinunciare all’auto blu e ai privilegi sia realmente lontana dalla compagna elettorale demagogica dei grillini, quanto gli elettori romani alle comunali abbiano preferito alla fine votare l’originale piuttosto che la copia. Tanti dubbi possono essere sanati solo conoscendolo di persona e quale migliore occasione per farlo della presentazione ad Albano del suo ultimo libro “Sigaro, politica e libertà”?
Incontro Giachetti in un lounge bar situato di fronte la libreria Caracuzzo, pochi minuti prima dell’evento pubblico. Mi presento e gli rivolgo alcune domande. Tenendo conto che mi trovo pur sempre davanti al vice presidente della Camera della scorsa legislatura, ad un politico che ha militato nei Verdi, uno tra i fondatori della Margherita, con incarichi prestigiosi, di rilievo, già capo gabinetto di Rutelli, cerco di mantenere una certa formalità dandogli del lei, ma è lui stesso a correggermi: “Come mi chiamo io?”.
Ecco quindi l’intervista.
“Ti sei guadagnato la stima dei tuoi colleghi, degli elettori e dei militanti del Partito Democratico per aver criticato gli esponenti della sinistra radicale per il voltafaccia sulla tua proposta di ritorno al Mattarellum, cosa risponderesti a quegli intellettuali marxisti, come Diego Fusaro, che accusano la sinistra di occuparsi soltanto dello spinello e di stare poco dalla parte dei lavoratori?”
“Io rispondo che del verbo della sinistra non c’è un monopolio per cui qualcuno possa stabilire nel linguaggio in particolare che cosa è o non è di sinistra. Io ho militato nel Partito Radicale per tanti anni. Penso di aver fatto battaglie altro che di sinistra, molto più che di sinistra, per i diritti civili, per i diritti umani. Battaglie che hanno coinvolto e cambiato la vita di milioni di persone.
Non sono mai state considerate battaglie di sinistra, non le chiamate di sinistra, chiamatele viola, progressiste, chiamiamole come vogliamo, ma penso che il tema peraltro della legalizzazione delle droghe leggere è un tema molto importante e tutt’altro che banale che riguarda come si combatte ad esempio la criminalità organizzata, come si assicura la salute dei nostri figli, dei concittadini, quindi se qualcuno prima mi spiega quali sono i parametri di una battaglia di sinistra, io posso discutere.
Io penso che la riforma del lavoro che abbiamo fatto in questi cinque anni col Governo Renzi prima e Gentiloni poi sia una battaglia di sinistra, e io penso che tante cose che sono state fatte sono di sinistra. Ovviamente poi c’è la libera opinione, ognuno può giudicare. Tenderei a stare attento oggi, soprattutto se parliamo ai giovani, nel restringere troppo il campo di ciò che è di sinistra, perché già la tendenza è quella a non riconoscere che ci sia una cultura di destra e di sinistra, se restringiamo ancora di più a una forma, una sorta di nocciolo duro e puro della sinistra, io temo che non andiamo a finire bene”.
“Invece per quanto riguarda le battaglie Radicali che prima hai esposto, abbiamo visto che ti sei molto speso per il referendum sulla possibile privatizzazione dell’Atac, mentre invece altri referendum sono stati più trascurati, come quello sulla fecondazione medicalmente assistita, etc. Quindi, volevamo sapere se comunque ti senti ancora un Radicale oggi e pensi che lo sciopero della fame sia tuttora uno strumento utile, efficace, come per esempio quello lanciato da Delrio per lo ius soli, oppure rimpiangi la leadership di pannella, sei nostalgico del passato? C’è competizione con il resto del Partito Radicale?”
“Peraltro il referendum sull’Atac non è sulla privatizzazione ma è per la messa a gara. Come sapete, messa a gara può voler dire che, come a Milano lo vince il pubblico, come in altre città lo vince il privato. Io penso che in generale sia molto utile la possibilità di consultare i cittadini sulle scelte che si fanno, che sia comunale, che sia nazionale. Lo ritengo un fatto positivo, per cui le persone si possono esprimere, anche perché questo è consultivo. Però sarebbe importante sapere cosa pensano i cittadini di questo.
Quello sulla procreazione assistita io penso che sia stato un referendum che ci abbia fatto tornare indietro e non a caso la Corte Costituzionale nel tempo la ha praticamente smantellata quella legge che fu fatta sulla fecondazione assistita, e quindi diciamo ci sono referendum che io ritengo positivi e referendum che io ritengo negativi sul merito, ma sull’utilizzo del referendum, che come voi sapete perfettamente, è una delle leve della storia Radicale, della pratica Radicale, così come non è solo lo sciopero della fame. Parliamo in generale della non violenza. La non violenza e, nella mia formazione ovviamente nella storia Radicale, la disobbedienza prevede tante cose: prevede la disobbedienza civile, prevede gli scioperi della fame, quelli della sete, la resistenza, ovviamente non violenta. Quindi quello che purtroppo si conosce poco della storia del Partito Radicale e di molti di noi è che noi non abbiamo fatto solo gli scioperi della fame. Lo sciopero della fame tendenzialmente è l’ultima cosa che si mette in campo quando le altre armi della non violenza non si sono riuscite a costruire.
Io sono attualmente iscritto al Partito Radicale Transnazionale, quindi lo sono sempre stato, anche quando questo creava qualche problema nel Partito Democratico, che era un po’ meno democratico di quanto non sia adesso.
Me ne sono sempre fregato e ho sempre mantenuto la tessera del Partito Radicale perché io mi sento figlio di quella storia e penso che il valore aggiunto che ho potuto portare dentro al Partito Democratico è proprio quell’esperienza che peraltro, diciamo, ha segnato anche la mia formazione e il mio agire politico, anche negli ultimi anni. Nelle istituzioni quindi lo sono, lo rivendico.
Non ho nessuna nostalgia, ho un grande rimpianto perché ovviamente per me Pannella era un fratello maggiore, un amico, era un punto di riferimento essenziale ed ovviamente essendo venuto meno è un problema. Io non ho nessuna nostalgia, tendenzialmente non ho mai nostalgia di nulla. Tendo sempre a guardare avanti”.
“E invece ti sei fatto un’idea sulla corrispondenza che c’è stata tra Papa Francesco e Pannella negli ultimi istanti della sua vita?”
“Guarda, i Radicali e la Chiesa sono stati vicini tantissime volte. Penso a tutta la battaglia che facemmo negli anni ‘80 contro lo sterminio della fame nel mondo. Noi facemmo delle marce che partivano dal centro e finivano a Piazza San Pietro. Quindi, il tema di una fisarmonica che si allarga e si restringe in termini di distanza con i cattolici, se prendi il tema dell’aborto o del divorzio, si allarga. Se prendi il tema dell’obiezione di coscienza, se prendi il tema per l’appunto della fame nel mondo, erano argomenti di grande sintonia.
Dentro la vicenda di Pannella e Papa Francesco non vorrei entrare perché è una cosa molto intima.
Io sono abbastanza convinto che comunque quando le persone diciamo vanno avanti nell’età, hanno comunque una tendenza ad essere anche meno, come dire, distanti dalla conoscenza della religione, delle fede. Questo non vuol dire che poi cambino opinione, però secondo me andando avanti, sapendo che l’appuntamento col fine vita si avvicina, soprattutto poi se si ha una malattia, probabilmente c’è anche più curiosità di conoscere alcuni argomenti”.
“Rispetto ai casi di Charlie Gard e Alfie Evans, sei stato d’accordo con la decisione del Governo, di Alfano e Minniti, di concedere in extremis la cittadinanza onoraria, mentre invece per i figli degli stranieri nati in Italia forse non c’è stata la stessa attenzione con lo ius soli?”
Beh, ovviamente lo ius soli è una cosa un pochino diversa. Lì la situazione…
Io francamente non mi esprimo su questo, perché la vicenda è una vicenda molto particolare e molto intima francamente. La decisione è una decisione particolare che io, ma parlo di me ovviamente, non so se avrei preso, ma il fatto che non so se l’avrei presa non vuol dire che io giudichi male il fatto che l’hanno presa. È che obiettivamente, ti dico francamente, non sono in grado di giudicare. Ovviamente ha fatto rumore, ha fatto discutere, purtroppo non è neanche servita, e la cosa che mi fa riflettere, questo per altri versi non c’entra nulla, ma il discorso che voglio fare sì, Dj Fabo e altre situazioni, è che ci stanno aprendo la strada a tutta una serie di questioni che ci vengono addosso e che non abbiamo mai passato e non abbiamo neanche mai pensato che si presentassero. Ormai sta diventando evidente che noi dovremo misurarci con tutta una serie di problemi che sicuramente sollevano interrogativi anche importanti. Adesso potrei parlare del tema delle cellule staminali, soltanto per dirne uno, no?
Lì c’è tutto il tema la scienza, la cosa, però sono questioni che inevitabilmente prima o poi dovremo affrontare”.
“Infatti sicuramente questa è stata una legislatura diciamo coraggiosa per quanto riguarda i diritti civili, pensa al biotestamento, le unioni civili, e tutto quanto”
“La responsabilità civile dei magistrati”
“Certo, quindi ritieni che gli elettori abbiano voluto punire un eventuale errore da parte di Renzi, magari può essere stato la personalizzazione del referendum, l’esclusione del vincolo del pareggio di bilancio dal quesito e dal dibattito referendario, oppure è stata una risposta emotiva a un momento storico, come anche l’elezione di Trump, la Brexit?”
“La legge di bilancio che cosa sia lo sappiamo solo noi tre e forse altre cinque persone, al resto del mondo non gliene poteva fregà de meno, quindi il fatto che ci stesse o non ci stesse, poi uno può ragionare se fosse utile o meno, non abbiamo perso il referendum per quello.
Io penso che sostanzialmente ci sono due cose: un errore, che anche lui stesso ha riconosciuto, quello di aver personalizzato troppo la questione ovviamente, e però dall’altra parte non è che possiamo trascurare che era un referendum che, peraltro basta vedere la situazione in cui siamo oggi, avrebbe sicuramente rotto degli equilibri, rotto degli schemi e questo inevitabilmente creava problemi a tanti. E poi comunque sul piano politico è inutile che ci nascondiamo che noi abbiamo avuto un pezzo di partito che ha fatto deliberatamente campagna contro, che ha costruito, cosa che non credo sia mai successa al mondo, dei comitati per il NO. Ha anche brindato alla fine…
Ma sai, quando hai un referendum, che non è neanche una cosa diciamo di interesse, lì è tutta una scelta di opinioni. Beh, non è difficile che con un bombardamento che ti arriva anche da dentro, poi anche il tuo popolo rimanga un attimo disorientato e voti uno piuttosto che un altro. Alla fine di tutto questo io il 40% lo considero non un risultato drammatico.
Lo considero, viste tutte le condizioni nelle quali ci siamo mossi, anche un risultato abbastanza decente”.
“Pensi che anche le fake-news abbiano influito sull’esito del referendum?”
“È chiaro che ormai un pezzo di comunicazione si muove sulla rete, anche un pezzo consistente, e spesso e volentieri si rivolge soprattutto a un target di ragazzi, ormai non solo più quello, ma sicuramente un pezzo importante, e chiaramente sono anche molto più facilmente permeabili e quindi dentro questa comunicazione le fake-news hanno un ruolo decisivo, se tu fai partire una fake-news non la fermi più. È un’onda che si propaga e qualunque cosa tu puoi fare, non la fermi, quindi è un fatto che non abbiamo visto solo in Italia. Lo abbiamo visto anche in America”
“Con Cambridge Analytica e tutto lo scandalo”
“Ma non solo in America, anche in Inghilterra”
“È difficile fermarle perché la libertà d’espressione è anche un principio costituzionalmente garantito, c’è un limite a tutto comunque”
“Guarda, io sono assolutamente d’accordo sul tema che deve essere garantita la libertà di espressione. Però ci deve essere anche un’attribuzione della responsabilità in chi mette in campo determinate cose.
Nei giornali, nelle televisioni, in tutto il sistema c’è una responsabilità, perché la persona che diffama, se diffama, e c’è un giudice terzo per stabilire se diffama, paga pegno per il fatto che diffama. In rete, come tu sai, lanci merda e va nel frullatore”
Lucio Pesoli per Policlic.it