In un’epoca come quella attuale, in questa follia di inizio millennio, nella quale molti termini vengono usati in maniera impropria, non è raro trovarsi di fronte a parole di grande rilevanza impiegate in contesti errati, adoperate con delle sfumature indebite, ed infine – ipotesi peggiore – notare che ad esse vengano attribuiti significati totalmente fuorvianti rispetto a quelli originari, se non addirittura opposti.

Queste misconcezioni portano inevitabilmente a dei pericolosi vuoti di comprensione reale circa certi argomenti, che pure vengono trattati da alcuni autori con apparente dimestichezza e persino autoconferita maestria, autorevolezza. Questi vuoti, molte volte, vengono riempiti da grossolane confusioni, e come abbiamo già accennato, dalla rimozione del significato originario di certe parole, in favore di altri significati.

Dobbiamo segnalare con forza che questi processi avvengono sia nel mondo del linguaggio quotidiano, sia nella sfera accademica. Quante volte sentiamo usare parole come “tragico”, “depresso”, “bipolare” con troppa, quasi colpevole, leggerezza? Parole queste, che in questa confusa epoca storica, vengono usate malamente ed in maniera stilisticamente disadorna, insieme a molte altre. Molte di esse vengono dal Greco Antico, e da parte di chi ne fa cattivo uso, esse vengono utilizzate senza alcuna coscienza del loro valore etimologico. Altre vengono dal Latino, ancor più direttamente connesso con l’Italiano moderno, ma i risultati non sono migliori. “Matrimonio”, “Patria”, e via discorrendo diventano in talune bolge lessicali, concetti quasi astratti.

Nello specifico, tratteremo ora della parola e del concetto di Esoterismo, e del relativo attributo “esoterico”. Purtroppo tale parola reca su se stessa un’etichetta ingiusta; nuovamente, la colpa di ciò è connessa sia all’uso di massa della stessa, sia all’uso che ne fa chi esprime il mondo accademico. La misconcezione principale è tutta qui: si crede generalmente che esoterismo sia parola di valore sinonimico inerentemente a occultismo e magia; alle volte essa viene addirittura accostata alla parte più infima e deteriore di quest’ultima, e cioè la magia nera.

Persino alcuni autori a noi vicini cadono, alle volte, in questo grave errore. Esoterismo, per questi autori, è connesso al desiderio di un potere occulto, al raggiungimento di padronanza su conoscenze segrete, e pratiche magiche correlate. Per sfatare questa concezione errata, dobbiamo prima, brevemente, tentare di analizzare gli altri due termini che vengono erroneamente connessi al termine “Esoterismo”.

Cominciamo, quindi con l’occultismo. La parola “occultismo” è in realtà molto più moderna di quello che siamo soliti pensare, ed è di circa venti secoli più giovane di “esoterismo”; essa viene immessa nell’uso moderno da una persona specifica tramite la sua opera: tale persona è Eliphas Levi (1810- 1875), ex abate cabalista, che si autodefinisce “Magus”, e che scrive una fortunata – a livello di vendite -“Storia della magia” (1860), lavoro molto popolare, che fa il paio con l’altro “Dogma e rituale dell’alta magia”, pubblicato circa sei anni prima.

L’autore usa il termine “occultismo” per andare a definire qualcosa, dal suo punto di vista, di preciso: un corpo multiforme (sottolineiamo l’ultima parola) di discipline, o “arti” come ci viene spiegato, di carattere, appunto, “occulto”, di cui quindi la magia è solamente una parte importante al pari di altre. Quindi, dal punto di vista di Levi, l’occultismo è composto da scienze diverse tra loro, due estremi ideali: da una parte l’erboristeria medicinale – che parrebbe innocua, ma comunque considerata una scienza occulta; dall’altra la negromanzia, in totale contrasto con gli insegnamenti biblici – vedi i libri delle Cronache e dei Re su tutti, e quindi incompatibile con la cultura Giudaico-Cristiana, anzi proibita. Quindi se già ora abbiamo inteso che occultismo non è sinonimo di magia, come possiamo considerare due termini che non sono sinonimi tra di loro essere associabili, in tale chiave, all’esoterismo? Questo punto ci parrebbe sufficientemente chiaro.

Per quanto riguarda la magia, vediamo di fare alcune considerazioni in breve. Per l’autore, il termine potrebbe coprire tre distinte realtà storiche. La prima: la parola magia e mago si riferiscono, dall’età classica sino ai Vangeli, ad una specificità persiana (anche se va ricordato che il testo greco di Matteo recita: “i magi venuti dagli orienti”, e non “Dall’Oriente”; qui la faccenda si complica). Più in dettaglio: si parla di una tribù persiana dedita ad una religione ben strutturata, dotata di una casta sacerdotale e di una relativa comunità di adepti. Erodoto, nelle sue Storie, ci racconta che questa tribù tentò addirittura un colpo di stato, mentre Cambise, imperatore legittimo, era impegnato in una campagna bellica. Questa espressione religiosa però terminò il suo compito tradizionale nel momento in cui i tre Magi riconobbero in Gesù il Messia, e quindi, simbolicamente, passarono il testimone alla Rivelazione Messianica. Così, questo corpo religioso-tradizionale cessa di avere senso: i Magi riconoscono in Cristo il compimento della loro Tradizione.

La seconda: una serie di pratiche che con la magia intesa in senso comune non avevano e non hanno nulla a che fare. Questa è una dinamica di approfondimento scientifico; parte di natura pratica, parte teorica, in molti casi ostacolata, in quanto non compresa, dalle varie istituzioni che nelle varie epoche si comportarono in maniera più o meno oscurantista (anche se questo va detto con i dovuti “ma” e i dovuti “se” del caso).

In terza istanza: parliamo, ancora una volta, di un corpo di conoscenze legate alla parte più “negativa” della realtà cosmica, quindi ai concetti di caos e tenebra; tale crogiolo esiste sin dalle prime civiltà conosciute, passando poi al mondo greco-romano – riflettiamo sul fatto che la magia fosse punita con la pena di morte nella Roma imperiale – ed arrivando al tempo cristiano, dove si sviluppa in maniera complessa e terrificante, assumendo i tratti di una vera e propria contro-religione.

Ovviamente, va notato, esistono zone grigie e sfumature complesse tra le tre realtà sopra descritte. Per essere più corrispondenti alla verità, sarebbe opportuno continuare la nostra analisi in separata sede, su altre distanze, evitando così deviazioni che ci porterebbero troppo distanti dal nostro tema centrale.

Cosa dunque ha l’esoterismo a che fare con le realtà che abbiamo tentato di descrivere, l’occultismo e la magia? Nulla. Ed in senso etimologico? Meno che nulla. La parola esoterismo, così come la parola “metafisica”, trova origine nell’insegnamento filosofico di Aristotele, il quale impartiva lezioni ad un ampio numero di studenti alla luce del sole, in maniera peripatetica (non è chiaro se ci si riferisse, con questo termine, esattamente all’atto di “camminare intorno” o ai colonnati esterni del tempio di Apollo Licio), mentre vi erano alcuni studenti più avanzati, i quali venivano considerati ontologicamente più portati alla comprensione di realtà superiori. Le lezioni dirette a questi alunni “speciali” avvenivano in separata sede, da qui il concetto di “Essoterico” – che significa esteriore – ed “Esoterico” (ἐσωτερικός in greco antico), che significa “interiore”.

Se dovessimo compiere un viaggio tra le “Sette Tradizioni Viventi” (espressione presa in prestito dall’amato e compianto Silvano Panunzio), saremmo portati alle seguenti riflessioni.

Nell’Induismo, notiamo che i Veda sono conclusi idealmente dalle Upanishads, che esprimono una saggezza di tipo esoterico, descrivendo approcci più profondi. Troviamo qui versi più ardui da interpretare, di carattere inequivocabilmente iniziatico. Esse sono “la parte sapida” dei Veda, il loro compimento, come accennato. Per quanto riguarda il Buddismo, sappiamo che tale tradizione è percorribile in senso iniziatico tramite il cosiddetto “grande veicolo” (Mahayana) e il “piccolo veicolo” (Hynayana). È anche bene notare che alcune parti dei Pitaka sono esoteriche nell’essenza, specie quelle relative alla Samatha, la meditazione (letteralmente “calmare la mente”), mentre altre sono espressamente dirette a chi sceglie il monachesimo più integrale.

Lo stesso concetto di approfondimento esoterico si ripresenta nell’antica tradizione giudaica: sappiamo sia da autori “laici” (Gershom Scholem), che religiosi (Martin Buber – vedi su tutti Il cammino dell’uomo, del 1948), che il Cantico dei Cantici fosse una parte delle Scritture che veniva dischiusa, nelle scuole rabbiniche, unicamente agli studenti possedenti un grado di comprensione più elevato. Nello Zoroastrismo -o meglio, nel Mazdaismo – sappiamo che la sezione più esoterica degli Avesta è quella che riguarda gli inni, considerati tramite di somma comunicazione con le Forze Superiori della Luce. Dell’Islam, sappiamo che il sufismo sia la parte più mistica, poetica ed esoterica al tempo stesso; tuttavia nel mondo musulmano il discorso si complica ulteriormente, data l’esistenza di numerose scuole esoteriche, sia da parte araba che da parte persiana.

Continueremo con il dire che anche nella nostra Tradizione, nel Cristianesimo, il comparto esoterico non sia solo presente, ma essenziale, imprescindibile. Esempio evidente: Paolo nella prima lettera ai Corinzi ci parla di cibo solido e di latte, proprio per indicare due differenti livelli di comprensione. Sempre nella stessa Lettera ci fa notare che “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa”, nuovamente accennando ad una raggiungibile comprensione più alta delle cose celesti. E queste sono forme propriamente dette di esoterismo. Il concetto fondamentale è questo: un neofita non ha accesso a certe aree di contatto con specifiche verità come chi è, de facto, più in là nel cammino. È per questo motivo che molti, se non tutti, gli autori tradizionali non nascondono di non abbracciare un concetto di uguaglianza tout court: se è vero che il desiderio di uguaglianza per quanto concerne i diritti fondamentali è un fiore che sboccia naturalmente nel cuore di individui amanti della giustizia – e quindi connessi a Dio, in quanto Dio È giustizia – è altrettanto vero che un tipo di uguaglianza che appiattisca tutto e tutti verso il basso, non può, e secondo l’autore non deve, essere accettata da chi cammini saldamente sulla strada della ricerca della Verità. Anche e soprattutto perché tale uguaglianza non è nei disegni di Dio: come abbiamo già detto, in contesto sapienziale, vi è una ovvia differenza tra un neofita ed una persona più avanzata. Tale differenza, passa attraverso la Ianua Maxima dell’iniziazione. È allora, con l’iniziazione, che l’individuo viene trasformato.

Torniamo al Cantico dei Cantici: esso è un inno vivente a tale trasformazione, la celebrazione mistico-poetica di un’Unione tra Anima e Spirito, tra la natura umana, finalmente redenta, e la Natura Divina. Questo è infatti il significato centrale dell’Esoterismo: l’unione con il Divino. Si inizia un percorso partendo dalla superficie essoterica; dopo ciò si raggiunge un nocciolo esoterico, al quale prelude un’iniziazione; tutto ciò ha lo scopo di reincontrarsi con il proprio Creatore essendo passati attraverso l’odissea umana, così come in quella omerica Ulisse torna alla sua Itaca.

Abbiamo sin qui parlato di Tradizioni Viventi, e cioè: Induismo, Buddhismo, Giudaismo, Mazdaismo, Cristianesimo ed Islam. Un discorso a parte andrebbe fatto su Taoismo e Confucianesimo, il primo rappresentante la parte esoterica del secondo. Parlando di Tradizioni ora storicamente “morte”, come ad esempio quella Greca e quella Egizia, indissolubilmente interconnesse (come confessa, nuovamente, Erodoto stesso), notiamo ancora che una parte essenziale di esse era di natura misterico-esoterica: pensiamo, su tutti, ai misteri eleusini, o per gli antichi egizi, all’iniziazione relativa agli “ierofanti”, di tipo sacerdotale, che poi andò ad iscriversi in quella orfica in contesto ellenico. Da notare anche come la lingua nell’Antico Egitto fosse suddivisa in demotica e ieratica.

Questo apparente “elitarismo” non ci deve scandalizzare. Lo avvertiamo unicamente per via della nostra mentalità moderna, inconcepibile per gli antichi. La nostra Tradizione Madre, il Cristianesimo, possiede un cuore pulsante di natura eminentemente esoterica; eppure, al tempo stesso, tale cuore pulsante è accessibile a tutti coloro che riconoscano nel Cristo il Dio Rivelato, come ci insegna Giovanni nel suo Vangelo. Tale riconoscimento è vero ponte tra il fedele e Dio Stesso. Cristo è quindi il “Pontefice”, il nostro “Avvocato Celeste presso l’Altissimo”; eppure Egli, qui sulla Terra, nella sua Incarnazione Storica, scelse dodici, soltanto dodici come suoi Apostoli, e settantadue come suoi discepoli. Cristianesimo a numero chiuso? Elitarismo? Evitiamo sciocchezze semantiche; l’unico termine calzante in senso etimologico è aristocrazia, cioè, in questo caso, la scelta da parte del Maestro dei “migliori”. Lealtà, abnegazione, fede e via discorrendo, sono virtù riscontrabili alquanto raramente. Fa questo sì che qualcuno resti escluso dal discorso soteriologico? L’autore, evidentemente, pensa di no.

Essendo Dio il Creatore di tutto (il Cosmo), non può agire in Sé per esclusione. Come ci spiega Giovanni nella sua Lettera, essendo Egli Stesso Amore, porta in Sé il desiderio che ogni creatura torni infine a Lui. La Patristica, conferma con Origene quanto detto, con il concetto capitale dell’Apocatastasi (ἀποκατάστασις). Le verità maggiori sembrano essere le più semplici: Dio è Amore nella sua vera essenza; in virtù di ciò non si può attribuire a Lui alcun desiderio di esclusione.

La scelta di accedere alle regioni più alte della spiritualità resta all’individuo e dipende dalla sua disposizione interiore verso la Grazia. Tale scelta viene espressa nella scelta del Maestro, e cioè di qualcuno in grado di difenderci dalle trappole dell’illusione spirituale. In questo senso, torniamo, per l’ultima volta in questa sede, alle Sacre Scritture: “…Non fatevi chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo.”

Elias Giorgio Fiore per Policlic.it