Big Data, tra modello di sviluppo socioeconomico e coercizione

Big Data, tra modello di sviluppo socioeconomico e coercizione

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La nostra contemporaneità è caratterizzata da una quantità incommensurabile di dati relativi a caratteristiche individuali, interessi, comportamenti, tendenze, stili di vita, bisogni, risorse economiche e via dicendo. Tali informazioni derivano dal tracciamento, oggi per lo più informatizzato, delle attività di quotidiano svolgimento degli individui (o utenti) e danno origine ai cosiddetti Big Data. Questo fenomeno, negli ultimi anni, ha in qualche modo superato la tradizionale distinzione esistente tra dati personali e non, anche alla luce del fatto che risulta difficile stabilire ex ante quali effettivamente siano le informazioni strettamente personali, quante informazioni sia opportuno possedere, quali tecnologie vadano utilizzate per la loro analisi e per quali finalità. Si pensi, ad esempio, a quanto potrebbe risultare semplice risalire all’orientamento politico di un individuo utilizzando alcune tecniche psicometriche e basandosi su un bacino di dati non personali, anche ridotto[1].

Principalmente, lo scopo dei Big Data è la conoscenza che risulta dall’analisi di informazioni e database e il loro utilizzo strategico in settori di business. Possono infatti risultare degli strumenti fondamentali per le aziende, che li usano per capire i trend di mercato, migliorare la propria performance per soddisfare i bisogni del cliente, fornire proposte d’acquisto mirate attraverso la profilazione e la targettizzazione.

Ma i Big Data sono anche utili strumenti di previsione: conoscere abitudini e bisogni di un individuo consente di prevedere anche i suoi comportamenti. Mediante l’applicazione della statistica inferenziale, queste enormi quantità di dati consentono di realizzare previsioni riguardo a risultati, comportamenti ed effetti.  In sostanza, le tecniche statistiche dei Big Data, unite all’intelligenza artificiale (AI), possono essere strumenti efficacissimi per la “ricerca di andamenti costanti nel caos del mondo variabile”.

Infine, i Big Data, se utilizzati per uno scopo certamente più pervasivo, che potremmo anche definire come illiberale, possono essere pericolosi strumenti di coercizione e sorveglianza. La protezione dei dati implica la protezione dei sistemi che conservano tali dati – aziende, enti, istituzioni pubbliche, e così via.

È importante sottolineare come privacy e sicurezza siano due elementi strettamente connessi, dove il primo riduce la vulnerabilità di sistemi e infrastrutture funzionali al secondo. Va anche detto che una massiva acquisizione di dati non garantisce indagini più efficaci ed equilibrate, viste le difficoltà correlate alla gestione di un patrimonio informativo per nulla selettivo. In questo senso, una minaccia che caratterizza certamente il nostro tempo è quella cibernetica[2]. Ma la più grande minaccia, potenzialmente, è l’utilizzo di simili dati da parte di un attore il cui potere di coercizione è condizione essenziale della sua esistenza, seppur con “gradazioni costituzionali” molto diverse a seconda della regione del mondo in questione. Si parla ovviamente dello Stato: quando questo si appropria di tali dati sensibili per controllare comportamenti e attività, soprattutto se non vincolato da norme costituzionali che tutelino le libertà individuali fondamentali, i Big Data diventano strumenti pericolosi nei confronti dei cittadini.


Il caso cinese e il Sistema di Credito Sociale

Il Sistema di Credito Sociale cinese (SCS) è un ambizioso programma nazionale che utilizza delle piattaforme digitali e dettagliati database al fine di monitorare il comportamento di individui, aziende e governi in tempo reale, in tutto il Paese. Il fine è quello di indurre la collettività ad agire in conformità ad alcuni standard, riconducibili a un modello che si può definire Sincerity Management Model[3] o, banalmente, “reputazionale”. Il termine xìnyòng, infatti (da shèhuì xìnyòng tǐ, “sistema di credito sociale”), è sì traducibile come “credito”, ma può anche significare “affidabilità” o “reputazione”, sia dal punto di vista sociale che finanziario[4].

Attraverso l’analisi e la valutazione dell’affidabilità di singoli e gruppi, specialmente per ciò che concerne il rispetto delle leggi e altre regole sottese alla vita di comunità cinese, il governo ha il pieno controllo della sua vasta popolazione e delle attività svolte dai suoi cittadini. Tale modello consente infatti al governo centrale di punire trasgressioni (non aver onorato un debito, non curare il proprio ambiente circostante, appoggiare organizzazioni non riconosciute dal governo, consumare molti alcolici, ecc.) e premiare, viceversa, comportamenti degni di lode, come ad esempio fare beneficenza, accompagnare i propri genitori dal medico, risultare diligenti e dedicarsi alla collettività[5]. Le punizioni possono riguardare molti aspetti della vita sociale, come “il divieto di lasciare il paese, l’uso dei mezzi pubblici, il check-in negli alberghi, l’assunzione in contesti di elevata visibilità (CEO, Top management pubblico), ma anche connessioni internet più lente e la stigmatizzazione sociale sotto forma di iscrizione in blacklist pubbliche”[6].  Contestualmente, possono essere guadagnati punti per comportamenti conformi alle regole della convivenza di stampo cinese.

Per quanto riguarda gli individui, il modello si concentra su quattro parametri principali: pagamento delle fatture; capacità di onorare i contratti stipulati; preferenze e comportamenti personali; relazioni interpersonali. In particolare, l’aspetto principale dell’affidabilità dei cittadini è identificato nell’affidabilità creditizia – non molto dissimile dal modello occidentale del punteggio di credito, di cui si tratterà più avanti. Le difficoltà della Cina risiedono nell’essere una società a “bassa fiducia” e con informazioni limitate sul credito di ogni cittadino[7]. Specialmente in passato, infatti, non era possibile risalire ai precedenti di credito dei cittadini, anche a causa della popolosità del Paese e delle sue differenti densità di distribuzione nelle diverse regioni. In un simile contesto, le banche non hanno modo di valutare l’affidabilità finanziaria del cittadino, avendo così difficoltà nell’erogazione di prestiti. Il nuovo sistema ha dunque lo scopo primario di ovviare a tale problema; tuttavia, va ben oltre gli aspetti finanziari, tenendo traccia delle violazioni legali fino a sconfinare nel comportamento individuale, ed è inevitabilmente aperto al rischio di abusi.

Xi Jinping al summit BRICS 2015 (Fonte: Kremlin.ru/Wikimedia Commons)


Gli antefatti e le ragioni del Sistema

Seppur in modo embrionale, tale sistema nasce in Cina già negli anni Novanta, un periodo di grande modernizzazione del Paese[8]. Si pensi alle riforme economiche avviate dall’allora presidente Deng Xiaoping. Già nel 2002, sulla falsariga del sistema FICO statunitense[9], il governo cinese comprese la necessità di sviluppare un sistema di valutazione dell’affidabilità creditizia di persone fisiche e giuridiche. Così, nel 2006 la Banca Popolare Cinese istituì il Credit Reference Centre, un organo responsabile di raccogliere punteggi di credito di aziende e privati con il contributo delle informazioni trasmesse da tribunali, compagnie di telecomunicazioni e istituti finanziari, tenuti a trasmettere al governo dati sensibili dei propri clienti[10]. La digitalizzazione del sistema bancario ha certamente permesso a questo sistema di svilupparsi in modo efficiente e rapido, specialmente negli ultimi anni. Ulteriormente implementato e testato sulle province di Jiangsu, Zhejiang e Shanghai[11], il sistema venne annunciato nel 2014 come Planning Outline for the Construction of a Social Credit System, e nel 2020 divenne operativo come Sistema di Credito Sociale (SCS).

La ratio alla base di queste scelte ha il suo punto di partenza nella tradizione confuciana, parte integrante della cultura politica del Paese che il Partito Comunista Cinese ha ereditato. Tale tradizione prevede che l’apparato statale non solo debba farsi carico del sistema produttivo e legislativo, ma anche della formazione morale dell’individuo[12].

Appare evidente come uno degli obiettivi del governo sia quello di istituzionalizzare e digitalizzare le forme di controllo già esistenti, come quelle che collegano il godimento di determinati diritti civili con la zona di provenienza (hukou) o il sistema di sorveglianza della produttività del sistema economico complessivo (danwei)[13]. Ma le ragioni sono anche di tipo pragmatico e meramente geopolitico. Pechino, attraverso questo modello di incentivi e deterrenti, risponderebbe alle difficoltà della società cinese nel tracciare e valutare la negligenza professionale, la corruzione dilagante e i vari comportamenti fraudolenti negli scambi economici. Tali problematiche renderebbero inaffidabile e incerto l’andamento dell’economia, creando problemi in ambito di investimenti – soprattutto quelli provenienti dall’estero – ai consumatori e, naturalmente, agli investitori[14]. Il governo ha infatti la necessità di garantire alla Cina una sua strutturata stabilità, specialmente in questa delicata fase storica, in cui il Paese corre più di altri per affermare la propria egemonia economica e politica in ambito internazionale. A tal proposito, non sono da sottovalutare gli effetti di un simile modello sulla valuta cinese e sul settore finanziario. Con tutta una serie di garanzie sull’affidabilità delle attività, economiche e non, il governo cinese è indirettamente in grado di rafforzare la valuta del Paese nel contesto internazionale.

Inoltre, in questo modo Pechino, nel pieno rispetto della tradizione confuciana, antepone l’armonia e il progresso collettivo alla libertà individuale dei propri cittadini e, indirettamente, impedisce che la sovranità del PCC, unico partito di governo, venga messa in discussione ogni qual volta riemergano dossier su questioni spinose, quali il rallentamento economico, l’acuirsi del divario di ricchezza tra città e regioni periferiche, gli alti tassi di inquinamento o ancora le problematiche legate a questioni demografiche[15].

Comprendere pienamente le ragioni e la pratica realizzazione del Sistema di Credito Sociale, tuttavia, non è semplice, anche a causa della scarsità di fonti e la quasi assente comunicazione pubblica da parte delle autorità cinesi sul tema. Va comunque considerato come, nel mondo contemporaneo, detenere un controllo stringente sui Big Data possa rivelarsi una risorsa strategica fondamentale per un attore geopolitico. Un simile obiettivo massimalista, associato alla capacità tecnologica in rapida crescita della Cina e, soprattutto, all’assenza di protezioni costituzionali rilevanti per i singoli cittadini, stanno portando l’amministrazione di Xi Jinping a essere considerata dall’opinione pubblica occidentale come un “incubo orwelliano”, dove lo Stato esercita il suo potere totalitario servendosi dei Big Data[16].

È certo che la ragione principale – o quantomeno diretta – del governo non sia quella di controllare i propri cittadini attraverso il sistema del credito sociale, ma quella di risolvere in modo efficiente e rapido, dunque in perfetto stile cinese, le necessità impellenti dell’enorme e popoloso Paese. Tra queste, evidentemente, non figura lo sviluppo liberale e democratico della società, né il consenso elettorale[17].


Il sistema del credito sociale per imprese, organizzazioni e funzionari governativi

Il Sistema di Credito Sociale viene applicato anche ai funzionari governativi, valutati rispetto alla loro capacità di eseguire gli ordini del governo centrale, così da garantire la piena lealtà degli addetti ai lavori, la rapidità dell’amministrazione e la trasparenza dell’operato. Il tutto nell’ottica di un crescente accentramento del potere e di una diramazione dello stesso dall’alto verso il basso.

Per le aziende, invece, il credito sociale ha la funzione di garantire lo stringente rispetto di leggi e regolamenti, la certezza del pagamento delle tasse nelle modalità e tempi stabiliti e, infine, la valutazione qualitativa del prodotto e del servizio[18]. Tutto questo è utile al governo per creare un ambiente economico prevedibile, un trattamento equo, trasparente ed efficiente nel suo complesso. Le aziende sono prevalentemente valutate secondo criteri normativi e in base a determinati standard, come il possesso di licenze necessarie, standard qualitativi, adempimento di quanto previsto per la protezione ambientale e tutti quei requisiti specifici di settore, a seconda della natura dell’attività. Le aziende che non soddisfano i requisiti vengono sanzionate: sono ad esempio soggette a ripetute ispezioni, vengono escluse da alcune attività – come la partecipazione a bandi pubblici – o subiscono un’umiliazione pubblica. Inoltre, le aziende sono comunque responsabili dei propri dipendenti o partner commerciali: qualora uno di questi, ad esempio, dovesse finire su una blacklist, sarebbe più difficile per le aziende con punteggi bassi costruire relazioni fruttuose con altre realtà economiche[19]. Al contrario, le aziende “diligenti”, che ad esempio investono in settori come la responsabilità sociale d’impresa o partecipano a iniziative solidali di stampo governativo, finiscono nella “lista rossa”, avvantaggiandosi di benefici come controlli meno frequenti e procedure amministrative più rapide.

La recente crisi pandemica ha chiaramente interrotto il normale svolgimento delle attività delle aziende cinesi, e di conseguenza le regole del sistema del credito sociale. In risposta alla chiusura delle attività in tutto il Paese vi è stato infatti un esonero generale dalle conseguenze derivanti dal mancato pagamento dei prestiti[20].


Da modello reputazionale a modello della sorveglianza

L’analisi sin qui condotta sollecita una breve riflessione su alcuni elementi caratteristici del sistema del credito sociale cinese, il quale, come si è visto, agisce tanto a livello economico quanto sociale e politico. Centrale in questa analisi si è rivelata, ad esempio, la questione dell’affidabilità (del singolo o della collettività) e del suo monitoraggio e supervisione.

In linea generale, il “capitale reputazionale” ha rappresentato un elemento imprescindibile nella storia delle interazioni economiche, sin dalle più antiche civiltà, ed è ciò che ha reso possibile l’esplosione degli scambi commerciali, minimizzandone il rischio e moltiplicando le opportunità di guadagno. Si può comprendere la rilevanza di questo aspetto se lo si pone sotto la lente d’ingrandimento della teoria dei giochi: in qualunque interazione e per un gioco ripetuto all’infinito, vi sarebbero forti incentivi a investire in reputazione, rinunciando a un guadagno di breve termine per uno maggiore ma diluito nel tempo. Questo è dunque un elemento fortemente strategico in un’ottica di competizione, specialmente in ambito economico e di relazioni internazionali.

Si rifletta su quanto questo elemento insista oggi, anche se in modalità meno pervasive, nelle società e nelle economie occidentali. Dal punto di vista delle interazioni economiche, è attualissimo il dibattito sul fenomeno dell’e-commerce, intrinsecamente legato ai sistemi di data-driven intelligence: con le diffuse informazioni e i dati reperibili online a costo zero sulle aziende che operano in ambiti economici, la reputazione di un individuo – o di un’azienda, in questo caso – non è più una questione strettamente privata. Chiunque, oggi, può conoscere la storia passata e l’affidabilità di un potenziale venditore, e questo è un elemento che migliora sensibilmente l’interazione economica collettiva.

Il problema sorge, come è stato analizzato per il caso cinese, quando una simile logica viene applicata estensivamente da un regime non democratico, valicando la sfera degli scambi economici: qui si innesta l’aspetto sociale della questione anche nelle contemporanee società democratiche. Simili “modelli della sorveglianza informatica”, strettamente connessi all’utilizzo di piattaforme e database, investono la quasi totalità delle attività umane, per il semplice fatto che allo stato attuale molte di queste si svolgono online – si pensi alle attività scolastiche e lavorative, ma anche, banalmente, a quelle di socializzazione. Questo fenomeno, come è noto, è stato acuito dalla pandemia e dalle misure di distanziamento sociale, in risposta alle quali è intervenuta proprio l’informatizzazione e la digitalizzazione. In questo senso, reputazione e sorveglianza diventano parole chiave incisive e pervasive – e il rischio della loro concreta applicazione sociale diviene sempre meno infondato e astratto, anche nelle società democratiche.

Le “orme digitali” (digital footprint) che lasciamo quando navighiamo in rete, le telecamere di sicurezza installate quasi ovunque, il riconoscimento facciale, l’utilizzo dei droni, come anche ciò che guardiamo e compriamo, quanto spendiamo, quanto tempo impieghiamo su un determinato sito, sono tutte informazioni che possono essere processate istantaneamente da algoritmi altamente sofisticati per poter classificare chi siamo, in base ai nostri comportamenti.

Quando la Cina ha iniziato a implementare il suo modello di credito sociale, sono stati analizzati tutti i comportamenti online, e sono state raccolte, archiviate e analizzate le informazioni prese dai social media e quelle sui dati bancari riguardanti la popolazione. Tutti questi elementi sono sottoposti a studi, analisi e archiviazione anche in Occidente, sebbene ciò accada in contesti politici certamente non autoritari. Anche in Europa e negli USA, infatti, sono già operativi dei sistemi che si rifanno al modello del credito sociale: si pensi all’assicurazione che calcola il premio di rischio sulla base delle informazioni raccolte da uno smartphone[21] o a una banca che calcola la credibilità finanziaria dei suoi clienti, e quindi i tassi di interesse, sulla base dei dati sensibili che possiede. Si è già menzionato il sistema statunitense FICO, esempio del cosiddetto “punteggio di credito individuale”, un vero e proprio sistema di voto che valuta l’affidabilità di un creditore attraverso sistemi di data-driven intelligence. Ci sono poi le aziende che raccolgono informazioni su utenti (prospective buyer) e clienti per finalità di marketing. Tutto questo non è senza conseguenze.

Un elemento che si distanzia dal modello cinese è il fatto che tutti questi database sono utilizzati solo per finalità di marketing e, soprattutto, non sono ancora interconnessi. Se un’applicazione o una piattaforma blocca un suo utente per un comportamento inappropriato, questo ha ancora l’opportunità di prendere un treno, mandare il proprio figlio all’università o, banalmente, utilizzare un’altra piattaforma per comunicare. Tuttavia, è possibile che in futuro questi dati siano connessi tra loro. In un certo senso, questo sta già avvenendo con i servizi di Google[22]. È possibile, inoltre, che in futuro il profilo di Google sia collegato a molti altri: da quello di Facebook a quello assicurativo, da quello bancario a quello dell’azienda per cui l’utente lavora.


L’ombra dei Big Data sulle libertà individuali: quale direzione?

Si potrebbe pensare che simili “modelli reputazionali o della sorveglianza” basati sui Big Data non costituiscano un problema poiché conducono indirettamente a un miglioramento delle performance, individuali o aggregate, e quindi di conseguenza al benessere collettivo. In effetti, questo è l’obiettivo del credito sociale: costringere il singolo a essere un buon cittadino, un buon funzionario governativo o un buon lavoratore, pena sanzioni. Il problema si sintetizza tutto in una domanda: cosa è buono? O ancora: chi decide cosa è buono?

Perseguire ciò che un governo decide essere il corretto comportamento di un individuo, specialmente se si tratta di un governo autoritario come nel caso cinese preso in esame, è qualcosa che sottende il sacrificio della libertà – anche di sbagliare – sull’altare dell’ordine, della prevedibilità, della trasparenza. Non solo: implicherebbe una forte autocensura per garantire la realizzazione di un bene superiore. Con un simile sistema di sorveglianza su dati e piattaforme interconnesse, applicato a una collettività, il singolo perderebbe la libertà di parola, di espressione, di movimento, asservendosi al suo controllore. Il tutto per paura di imbattersi in sanzioni, anche qualora il fine ultimo della sorveglianza fosse positivo, come quello di sviluppare un modello socioeconomico fondato sulla trasparenza delle informazioni e la garanzia di affidabilità.

Nonostante stiano venendo alla luce dei sistemi di “credito sociale privato” piuttosto inquietanti e degni dell’attenzione dell’opinione pubblica anche in Europa o negli Stati Uniti, un simile problema non costituisce ancora una minaccia concreta – almeno finché saranno fatti salvi gli istituti di tutela della persona e della sua sfera di libertà individuale. In questo svolgono sicuramente un ruolo rilevante il concetto di privacy e, a livello istituzionale, il Garante per la protezione dei dati personali o il Garante europeo per la protezione dei dati. Com’è stato specificato nell’introduzione, l’elemento personale dell’informazione (oggi quasi del tutto informatizzata) è strettamente legato a quello tecnico della sicurezza e a quello normativo della privacy. Il tutto sembrerebbe scontato e garantito, ma in un mondo sempre più caotico e complesso, l’idea di una società ben ordinata, prevedibile e che risponda in modo puntuale al solo criterio del buon comportamento (come se esistesse soltanto una definizione) potrebbe risultare una pericolosa calamita per l’intera collettività.

Camilla Zecca per www.policlic.it


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per un approfondimento si veda Big data. Interim report nell’ambito dell’indagine conoscitiva di cui alla delibera n. 217/17/CONS, AGCOM, giugno 2018.

[2] Al riguardo si veda Garante per la protezione dei dati personali, Relazione annuale 2013 – Discorso del Presidente – Big data e sorveglianza globale, 10 giugno 2014.

[3] F. Vanorio, Come il credito sociale sta condizionando i comportamenti in Cina e negli Stati Uniti, in “Start Magazine”, 30 agosto 2019.

[4] S. Grandi, Il Sistema di Credito Sociale: ecco perché Xi non è Orwell, in “Orizzonti Politici”, 22 luglio 2020.

[5] F. Vanorio, Come il credito sociale sta condizionando i comportamenti in Cina e negli Stati Uniti, cit.

[6] Ibidem.

[7] A. Chipman Koty, China’s Corporate Social Credit System: What Businesses Need to Know, in “China Briefing”, 5 novembre 2019.

[8]  S. Grandi, Il Sistema di Credito Sociale: ecco perché Xi non è Orwell, cit.

[9] Il sistema FICO è stato introdotto per la prima volta nel 1989 da FICO, oggi Fair, Isaac e Company – società di analisi dei dati californiana – e viene utilizzato dalla maggior parte delle banche e degli enti di credito. Si basa sui file di credito al consumo delle tre maggiori agenzie di reportistica di credito al consumo: Experian, Equifax e TransUnion.

[10] S. Grandi, Il Sistema di Credito Sociale: ecco perché Xi non è Orwell, cit.

[11] Per un approfondimento sul tema si veda R. Creemers, China’s Social Credit System: An Evolving Practice of Control, University of Leiden, 2018; F. Liang et al., Constructing a Data‐Driven Society: China’s Social Credit System as a State Surveillance Infrastructure, in “Policy & Internet”, X (2018), 4, pp. 415-453.

[12] S. Grandi, Il Sistema di Credito Sociale: ecco perché Xi non è Orwell, cit.

[13] “Basti pensare al vincolo tra diritti sociali, luogo di nascita e monitoraggio della popolazione derivante dall’hukou, il sistema di residenza lanciato da Mao Zedong negli anni Cinquanta e oggi in fase di riforma. Oppure ai danwei, le unità di lavoro attraverso cui il Partito monitorava i comportamenti dei cittadini.” Così G. Cuscito, Armonia e controllo: cos’è il sistema di credito sociale di Pechino, in “Limes”, 7 agosto 2018.

[14] S. Grandi, Il Sistema di Credito Sociale: ecco perché Xi non è Orwell, cit.

[15] G. Cuscito, Armonia e controllo: cos’è il sistema di credito sociale di Pechino, cit.

[16] R. Creemers, China’s Social Credit System: An Evolving Practice of Control, cit.

[17] G. Cuscito, Armonia e controllo: cos’è il sistema di credito sociale di Pechino, cit.

[18] A. Chipman Koty, China’s Corporate Social Credit System: What Businesses Need to Know, cit.

[19] Le autorità governative recepiscono dati sulle imprese direttamente tramite ispezioni governative standard. Questi dati vengono poi integrati nel National Internet + Monitoring System, che analizza i dati per calcolare le valutazioni. Ibidem.

[20] “Ad esempio, l’Ufficio per le Risorse Umane e la Previdenza Sociale e l’Ufficio delle Imposte sono stati autorizzati ad astenersi dalla deduzione del punteggio del credito sociale alle imprese che non pagano rispettivamente l’assicurazione sociale o le tasse, a causa del coronavirus.” Il sistema cinese del credito sociale: il COVID-19 introduce alcune esenzioni, obblighi per le imprese, in “China Briefing”, 10 aprile 2020.

[21] Per un approfondimento sul tema si veda M. Massimini, Sarà lo smartphone ad informare l’assicurazione sul tuo stile di guida, Privacy.it, 12 dicembre 2018.

[22] Ad esempio, Google è in grado di attingere a molteplici informazioni che consentono una capillare ricostruzione dell’attività di un utente: una ricerca su Google può rimandare a un sito che contiene componenti di Google, come dei banner pubblicitari o un link a YouTube. Anche qui, il log-in a tale piattaforma sarebbe connesso a un account Google e al suo captcha. Un ulteriore rimando al link di un secondo sito implicherebbe l’utilizzo del DNS di Google; ancora, se tutto questo venisse fatto utilizzando Chrome, o un cellulare Android della linea Pixel, staremmo sempre parlando un prodotto di proprietà di Google. È evidente che, più strumenti di Google vengono utilizzati, più il controllo sull’attività dell’utente diventa dettagliata. Per un interessante approfondimento sul tema si veda Perché è necessario e urgente liberarsi di Google – e come cominciare a farlo, Giap – Wu Ming Foundation, 6 marzo 2020.

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