Cosa resta dopo la legge Zan?

Cosa resta dopo la legge Zan?

Cosa fare dopo il brusco arresto parlamentare della legge contro l’omobilesbotransfobia?

I giorni della tagliola

Sono le prime sere d’autunno. Le prime piogge e il primo freddo non scoraggiano i manifestanti che nel giro di pochi giorni si radunano nelle principali piazze italiane. Non solo nelle grandi metropoli: i raduni spuntano anche in molti capoluoghi di provincia. Sono eventi che nascono sui social [1] dove la voce corre rapida. La folla che si raccoglie è arrabbiata ma non violenta, stanca ma non rassegnata. È un popolo senza leader: sui palchi salgono i referenti delle associazioni locali, qualche influencer, attivisti più o meno noti, talvolta qualche politico. È un popolo che si raduna per farsi coraggio e stringere i denti dopo una sconfitta. Una delle tante. Un popolo che perde spesso, ma nonostante ciò tutti devono sapere che la lotta non si fermerà.

Sono i giorni in cui il Senato ha votato la cosiddetta tagliola sul disegno di legge Zan. Come molte altre, questa legge prende il suo nome dal proponente, l’onorevole del Partito Democratico Alessandro Zan. Già attivista gay e poi amministratore locale a Padova, Alessandro Zan è in Parlamento dal 2013, quando entrò candidato dal partito di Nichi Vendola, Sinistra Ecologia e Libertà [2].
Con la scomparsa di SEL è passato al Partito Democratico e con i democratici è stato ricandidato ed eletto nel 2018. Zan ha lavorato alla legge per più di un anno e alla Camera ha compiuto un lavoro meticoloso di mediazione.

La sua legge vuole estendere a categorie quali l’orientamento sessuale, l’identità di genere, il genere e le disabilità le protezioni già previste dalla legge Mancino per religioni, razzismo ed etnia [3].
Si tratta di aggravanti del Codice penale che colpiscono in maniera diversa chi è violento contro qualcuno per ragioni dettate dalla sua esistenza, quali appunto il colore della pelle (per la Mancino) o l’orientamento sessuale (per la legge Zan).

Un corteo del Pride, la manifestazione annuale per il diritto di esprimere se stessi.
Fonte: Rihaij/Pixabay

La legge Mancino risale al 1993, quando fu approvata da un Parlamento dove sedeva ancora la Democrazia Cristiana e molti dei partiti della Prima repubblica. Già allora si discusse se introdurre alcune delle estensioni della proposta Zan (in particolare l’omofobia) e già allora si decise che era meglio di no. Dal 1993 a oggi sono stati fatti almeno altri sei tentativi. Tutti falliti [4].

La tagliola non è una bocciatura ufficiale: è un atto con cui il Senato decide di rinviare una discussione già prevista. Ma concretamente, in una legislatura ormai prossima alla scadenza e con l’agenda già fitta, lo è di fatto, perché tutti gli addetti ai lavori sanno che non ci sarà ulteriore tempo per votare [5].

Quando la presidente dell’aula annuncia l’esito della tagliola, i senatori della destra esultano come fossero allo stadio. Sono immagini che fanno il giro del mondo e non aiutano la reputazione internazionale dell’Italia. Il tutto arriva con un voto segreto, nessuno sa chi ha votato contro e chi a favore e così nessuno si prende la responsabilità politica, almeno pubblicamente. Tuttavia, i ben informati dicono che sia stato un banco di prova per l’elezione del Presidente della Repubblica [6].


La difficile situazione italiana

Le piazze che si radunano dopo la bocciatura considerano gli intrighi politici del Senato come giochi sulla propria pelle. Gli ennesimi. Constatano l’ennesimo segnale d’arretratezza di uno Stato che sui diritti LGBTQI+ continua a essere diverso da buona parte dell’Occidente. L’Italia non ha il matrimonio per tutti, ma resta ormai l’unico paese in Europa occidentale ad avere solo le unioni civili [7] (anch’esse approvate faticosamente solo nel 2016). L’Italia non permette a tutti le adozioni; L’Italia non permette a tutti di accedere alla fecondazione assistita; L’Italia non ha una legge specifica contro le discriminazioni e le aggressioni a sfondo omofobico, bifobico o transfobico. I rapporti dell’ILGA (Internation Lesbian and Gay Association), che ogni anno calcolano il livello di omobilesbotransfobia nei singoli Stati, collocano l’Italia in una posizione piuttosto infelice, tristemente vicina a Paesi come quelli dell’Europa orientale. Paesi dove i parlamenti discutono di leggi che vorrebbero vietare anche la dimensione pubblica o l’accesso alle scuole delle tematiche queer, a testimonianza di discriminazioni e pregiudizi ancora molti forti nella mentalità comune [8].

La Rainbow Map 2021 dell’ILGA-Europe

Fra le piazze che si radunano c’è quella di Bologna. Bologna è una città importante per le lotte della comunità LGBTQI+ italiana. È considerata la nostra San Francisco, perché qui, nei primi anni Ottanta, ci fu la prima amministrazione comunale che concesse uno spazio a un’associazione LGBTQI+, lo storico “Cassero”, che esiste ancora oggi e che mutua il suo nome da un’antica struttura medievale nel quartiere di Porta Saragozza, prima sede associativa [9].

“L’affossamento del Ddl Zan, oltre a lasciare delusione e amarezza” – dichiara a Policlic Giuseppe Seminario, attuale presidente del “Cassero” – “ha sicuramente fatto arrabbiare il movimento LGBTQI+, dando paradossalmente una spinta propulsiva ulteriore a organizzarsi”. A Bologna, come altrove, già da tempo il dibattito del movimento aveva adottato uno slogan: “Molto più di Zan”. Un modo molto chiaro per dire che non c’è solo la legge Zan, che le richieste sono molto più estese e radicali, e vorrebbero una profonda trasformazione della società, dei suoi canoni, delle sue regole, delle sue strutture.

“A Bologna” – prosegue Seminario:

Lo slogan #moltopiùdizan è stato usato già a partire dal luglio 2020, per dichiarare la necessità di ampliare l’orizzonte delle lotte in un’ottica intersezionale e transfemminista, non fermandosi esclusivamente alla rivendicazione di una legge sicuramente necessaria, soprattutto sul piano simbolico, ma che avrebbe agito principalmente sul piano penale. Questa elaborazione cittadina ha portato al Rivolta Pride di Bologna dell’estate 2021. Le numerose piazze organizzate nell’arco di dieci giorni, a seguito dell’affossamento del 27 ottobre, sono la dimostrazione che il movimento è vivo e rivendica spazi e diritti.

Fuori dal Palazzo

Alla sconfitta parlamentare, dunque, segue una mobilitazione che coinvolge grossomodo tutta l’Italia, da Nord a Sud. La comunità e i suoi alleati si contano, si fanno sentire, cercano di recuperare quello spazio che a livello politico non riescono a trovare, anche se il consenso dell’opinione pubblica è in crescita. La maggioranza degli italiani (lo dicono tutti i sondaggi) era favorevole alla proposta [10] di Zan, con consensi mantenutisi alti malgrado le feroci critiche ricevute sia da ambienti laici e cattolici. Tale favore, lo dicono sempre i sondaggi, riguardava anche l’estensione dei principali diritti di famiglia alle coppie dello stesso sesso [11]. Fra le giovani generazioni le percentuali erano plebiscitarie, ma anche fra gli anziani i pro superavano i contro.

Per riassumere tutte le obiezioni sarebbe necessario un articolo a parte, ma si può sinteticamente indicare come molti critici vedessero nel Ddl Zan un pericolo verso la libertà di parola, la libertà d’espressione, la libertà religiosa; altri invece si spingevano a ipotizzare la promozione di un cambiamento antropologico sui concetti tradizionali che riguardano il maschile e il femminile.

Il consenso sembra non bastare alla comunità LGBTQI+ per spostare a proprio favore l’ago della bilancia e ottenere quello che in Europa ormai è normalità da decenni. L’Italia tollera e accetta finché la comunità resta un gioco, una “stranezza”, una particolarità per Instagram o per i salotti della televisione, finché resta all’interno del proprio confine ristretto e non osa chiedere più del consentito. Va bene la televisione, va bene finanche il Festival di Sanremo, ma non è accettato disturbare il Parlamento per questo’ l’Italia deve restare un paese degli anni Cinquanta anche se quella società, quei tempi, quelle regole ormai non esistono più.

In altri termini il mondo queer e le sue istanze faticano a trovare adeguato spazio politico negli attuali partiti. Il timore nell’affrontare queste tematiche è trasversale e si salda con la medesima paura che la nostra politica ha nel toccare qualsiasi altro diritto civile.

“Quello a cui abbiamo assistito a fine ottobre in aula” – commenta Seminario:

È soltanto l’ultimo di una lunga serie di episodi che rendono palese l’omolesbobitransfobia, l’abilismo e la misoginia presenti all’interno delle istituzioni. Il voto segreto ha dimostrato quanto sia a destra sia a sinistra non ci sia compattezza nel voler garantire diritti alle persone che sono marginalizzate dalla società oggi come venticinque anni fa, quando fu presentata la prima proposta di legge. Sicuramente l’influenza cattolica ha un suo peso sulle persone che siedono in parlamento e sui partiti, quanto anche le contingenze politiche, dato che il voto sul Ddl Zan è stata una prova delle alleanze in vista del voto sulla presidenza della Repubblica. L’ennesima dimostrazione che le vite delle persone LGBTQI+ sono usate come campo di battaglia per scambi politici e giochi di potere.

Prova ad ampliare lo sguardo il professor Angelo Schillaci, docente associato di Diritto Pubblico Comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, nonché consulente giuridico in materia di diritti LGBTQI+, rispondendo alle nostre domande:

Le ragioni di questa difficoltà sono molteplici. Vanno dalla crisi della rappresentanza e del processo politico – che fa appunto sempre più fatica a recepire e integrare le domande di riconoscimento e giustizia che provengono dalla società – alla persistenza di sacche di vero e proprio oscurantismo culturale. La debolezza della politica, soprattutto (e salvo eccezioni ovviamente: penso alla buona prova data da PD, M5S e Leu nella vicenda del Ddl Zan), comporta che molto spesso provvedimenti giusti e attesi restino letteralmente stritolati da ragioni tattiche. Di nuovo, l’esperienza del Ddl Zan (ma anche le ragioni che condussero al doloroso compromesso sulla legge Cirinnà) lo dimostra secondo me molto bene.

Il referendum

Il 2021, che ha visto l’affossamento parlamentare della legge Zan, è stato anche l’anno di due imponenti mobilitazioni, entrambe promosse da Marco Cappato, esponente dei Radicali italiani. Cappato è stato l’organizzatore di due raccolte firme di grande successo, grazie alle quali più di un milione di italiani ha sottoscritto la richiesta di un referendum per introdurre l’eutanasia nel nostro Paese [12]. Poco dopo, circa seicentomila persone hanno sottoscritto un referendum per la liberalizzazione della cannabis [13]. I due quesiti, già accettati dalla Cassazione, potrebbero essere sottoposti al voto degli italiani già nella prossima primavera, se saranno ammessi dalla Corte costituzionale.

Eutanasia e cannabis sono due proposte su cui da molti anni il Parlamento rinvia le proprie decisioni [14], nonostante le richieste sempre più pressanti ricevute in merito, non solo dalla società civile e dall’opinione pubblica, ma persino dalla stessa Corte costituzionale [15].
Può il referendum essere allora una strada anche per ottenere quei diritti che la comunità LGBTQI+ continua a vedersi rifiutati dalle canoniche vie istituzionali? Altrove è stato così. Ad esempio, in Irlanda il matrimonio per tutti è arrivato tramite un voto popolare. All’indomani dell’affossamento della legge Zan, Cappato si è mostrato possibilista: “Dopo il DDL Zan, ripartire con una legge di iniziativa popolare va bene” – ha commentato su Facebook:

Ma allora questa volta scegliamo di superare le discriminazioni: Matrimonio egualitario, adozioni fecondazione assistita, per coppie e single. Se non passa prepariamo i referendum. Perché prendersela con chi è contro non serve [16].

Marco Cappato non è comunque entrato nel merito, tenendo conto che i referendum in Italia sono solo abrogativi [17]. Le estensioni di cui parlava nel suo commento sarebbero possibili solo cancellando parte delle leggi esistenti. Una strada difficile.

Bandiere arcobaleno ad una manifestazione per i diritti LGBTQI+
Fonte: Naeimasgary/Pixabay

“Su alcune questioni lo spazio per ipotizzare un intervento referendario (che in Italia è solo abrogativo) può esserci” – ragiona Schillaci con noi:

Ad esempio, su adozioni e procreazione assistita, ma non sul matrimonio, dove non esiste infatti una norma, o un complesso di norme, abrogando le quali si possa ottenere l’effetto desiderato. È necessario che intervenga una legge, ad aggiungere e sistemare il quadro normativo. Ricordo in ogni caso che, secondo la legge sul referendum (la n. 352/1970) non possono essere proposti quesiti nell’anno precedente alla scadenza della legislatura. Questo limite non esiste, invece, per le proposte di legge di iniziativa popolare. Su questo, forse, si potrebbe ragionare, considerate anche le possibilità aperte dalla raccolta delle firme tramite SPID.

La battaglia culturale

Si ritorna allora alle piazze del movimento post-Zan e a una lotta che continua, giocoforza, fuori dal Parlamento. Il dibattito brucia nel Paese, scalda gli animi, avvia riflessioni, proteste e resistenze anche a sinistra.

Continuare a cambiare la società o a provarci, ponendola di fronte a stimoli nuovi, a crescere malgrado le resistenze, a ricostruire il proprio spazio malgrado le speranze di cambiamenti legislativi siano piuttosto ristrette nel breve periodo.

“Credo sia importante continuare la battaglia” – conclude Schillaci:

Facendo tesoro del grande patrimonio di relazioni e mobilitazione che si è messo in moto nel paese in questi due anni. Una battaglia culturale, per diffondere sempre più la consapevolezza della necessità di costruire la piena eguaglianza delle persone LGBT+; e politica, dentro e fuori dai partiti, per portare le forze progressiste su posizioni radicalmente egualitarie.

Fabio Brinchi Giusti per www.policlic.it


Note e riferimenti bibliografici

[1] A. Pollice, DDl Zan, proteste in 48 città: “In Senato una vergogna”, in “Il Manifesto”, 30 settembre 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[2] In riferimento alle attività parlamentari dell’On. Alessandro Zan, si rimanda alla voce biografica presente sul sito della Camera dei Deputati (data di ultima consultazione 12 dicembre 2021).

[3] Per maggiori informazioni sul testo del disegno di legge elaborato dall’On. Zan, si rimanda alla visione e alla lettura della voce dedicata (Atto Senato n. 2005/XVIII Legislatura recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”), presso il sito del Senato della Repubblica (data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021).

[4] Il Fatto Quotidiano, Omotransfobia, 30 anni di tentativi falliti per avere una legge. Grillini: “Ecco tutte le volte che ci abbiamo provato”, 20 maggio 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[5] Il Fatto Quotidiano, Ddl Zan, che cos’è la “tagliola” approvata al Senato e perché ha affossato la legge contro l’omotransfobia, 27 ottobre 2021, data di ultima consultazione: 19 gennaio 2022.

[6] A. Biondi, Il DDL Zan è la conferma: l’elezione del Presidente della Repubblica sarà la resa dei conti, in “Fanpage.it”, 30 ottobre 2021, data di ultima consultazione: 15 gennaio 2022.

[7] Nell’Unione Europea, i paesi in cui è legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso sono quindici: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia, a cui si uniscono Islanda e Norvegia.

[8] A riguardo, il rapporto annuale 2021 della sezione europea dell’ILGA (cui si lega la “Rainbow Map”) è consultabile sul sito ufficiale dell’associazione (data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021).

[9] Per maggiori informazioni riguardanti la storia del “Cassero”, si rimanda al sito del circolo (data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021).

[10] F. Luchetta, DDL ZAN la maggioranza degli italiani è a favore, nonostante il voto negativo in Senato , in “SondaggiBiDiMedia.com”, 27 ottobre 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[11] Questo è quanto riportato dai dati raccolti nel sondaggio condotto da IPSOS a livello internazionale, da cui si evince come in Italia “il 63% dei cittadini ritiene che alle coppie dello stesso sesso dovrebbe essere concesso il matrimonio legalmente, in aumento di ben 15 punti rispetto al 2013”. Inoltre, in riferimento alle adozioni di coppie dello stesso sesso, “il 59% degli italiani è fortemente d’accordo, in aumento di ben 17 punti rispetto al 2013”. Per ulteriori informazioni si rimanda a IPSOS, Pride 2021: l’opinione delle persone sulla comunità LGBT+ e sulle discriminazioni di genere, 21 giugno 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[12] In riferimento alle attività e all’iter della proposta di referendum sull’eutanasia legale, si rimanda al sito del comitato promotore (data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021).

[13] L. Pellegrini, Referendum cannabis, depositate le firme in Cassazione: “Quella attuale è una legge schizofrenica”, in “La Repubblica”, 28 ottobre 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[14] G. Del Vecchio, Eutanasia e cannabis, il boom dei referendum ha una ragione: i parlamentari pavidi, in “HuffPost Italia”, 15 settembre 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[15] A riguardo si rimanda alla lettura della sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale.

[16] Marco Cappato/Facebook, 31 ottobre 2021, data di ultima consultazione: 12 dicembre 2021.

[17] “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.” (Art. 75 della Costituzione).

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