Crisi catalana: la verità sulla costituzione spagnola
La spagna sta vivendo la più grave crisi istituzionale dei suoi 40 anni di regime democratico sotto la costituzione del 1978. Le pretese di autogoverno della Catalunya non sono un fenomeno nuovo: sono un filo rosso che periodicamente si ripresenta in tutta la storia unitaria spagnola (sin dal 1714 anno della conquista di Barcellona da parte di Filippo V e della perdita delle autonomie catalane) anche solo questo dovrebbe bastare a tutti coloro che continuano a paragonare l’independentismo catalano a certe invenzioni politiche nostrane dell’ultima ora (Lega Nord).
Come si è arrivati a questo punto
Ripensare l’organizzazione statale spagnola, riconoscere la plurinazionalità dello stato, creare un sistema fiscale più equo, decentralizzare le fonti del diritto e aumentare le competenze della Generalitat e la sua autonomia da Madrid: tutti questi obiettivi sono stati oggetto di infiniti intenti negoziali con il governo centrale da parte del Parlament e del Govern della Generalitat negli ultimi 10 anni, senza alcun risultato.
L’immobilismo del potere centrale nel negarsi a ogni dialogo ha finito per convincere sempre più persone che l’unica soluzione per cambiare le cose era cercare altre vie, facendo crescere la forza dei movimenti sociali e dei partiti schierati per una rottura netta con lo stato spagnolo considerato “non più riformabile”. A testimoniarlo la partecipazione popolare di oltre 2 milioni di persone nel referendum consultivo del 9 Novembre 2015, e la conquista della maggioranza assoluta dei seggi del Parlament da parte di forze independentiste nelle elezioni autonomiche del 2015.
Il significato della crisi e i futuri possibili
Oggi i fatti si susseguono rapidamente. Non sappiamo ancora quale sarà la fine definitiva di questa vicenda, anche se molti danno già il finale per scontato puntando sulla vittoria facile del più forte, dell’unico legittimato agli occhi dell’ordine internazionale, lo stato spagnolo (un copione già visto più volte nella storia della Spagna). Ma indipendentemente da ciò che succederà una cosa è certa: niente sarà mai più come prima, l’equilibrio su cui si reggeva il sistema è per sempre compromesso. Le immagini del 1 ottobre saranno un fantasma che perseguiterà la coscienza collettiva della storia spagnola per molti anni, perché i catalani non dimenticheranno mai. Semplicemente perché nessun cittadino dimenticherebbe mai di essere stati preso a calci e rincorso come l’ultimo dei criminali dal corpo di polizia che ha pagato con il proprio lavoro e le proprie tasse per tutta una vita.
Il primo luogo di esercizio del potere, su cui si costruisce la sovranità e il consenso sono i cuori e le menti delle persone e Madrid questa battaglia la stava perdendo da 40 anni e l’ha persa definitivamente il 1 ottobre. E senza consenso, non esiste ordine legittimo in democrazia, nessuna istituzione formale svuotata dell’appoggio popolare e della fiducia dei cittadini può reggere a lungo (neanche con il tanto invocato art. 155).
Non sappiamo dove andremo a finire ma sappiamo cosa è successo: con la crisi catalana la Spagna ha iniziato a fare i conti con gli scheletri nascosti della sua storia, che sono rimasti troppo tempo chiusi in un armadio grazie alle catene della costituzione del ’78 e della legge di Amnistia del ’77, i due pilastri su cui si è costruito il nuovo ordine. Una “nuova democrazia” nata sotto tutela militare, in perfetta continuità con il regime franchista, iniziata con un referendum autoconvocato dalla dittatura per far approvare una legge di riforma politica. Una costituzione scritta e approvata nel “tintinnio di sciabole”, condizionata dal contesto internazionale della guerra fredda che impediva ogni spinta di riforma radicale economica e sociale. Un capo dello stato che è rimasto lo stesso re Borbone voluto da Franco. Una corte costituzionale, l’Audiencia Nacional, formata il 5 gennaio del ’77, nello stesso posto e sotto la stessa presidenza e con gli stessi giudici del Tribunale d’Ordine Pubblico della dittatura, sciolto il giorno prima (4 gennaio 77). Una legge di Amnistia (17 ottobre 1977) che ha lasciato impuniti gli orrori della dittatura, le torture, le deportazioni, le fosse comuni, le sparizioni forzate e che oggi è messa sotto accusa dall’ONU e da organismi internazionali mentre continua a essere difesa dal T.C. e dal parlamento (denuncia di Amnesty International: https://www.es.amnesty.org/en-que-estamos/noticias/noticia/articulo/ley-de-amnistia-1977-una-excusa-que-dura-40-anos/).
Alla fine dei 70, la promessa di un futuro democratico fu venduta al caro prezzo di un’amnesia collettiva, che dimenticava le vittime e rinunciava per sempre alla giustizia. Ma anche questa promessa si è rivelata un’illusione, perché la transizione che avrebbe dovuto traghettare gli spagnoli dalla dittatura alla democrazia ha finito per congelarsi, diventare sistemica, una “transizione infinita” incapace di tradurre le spinte riformatrici che si generavano al suo interno in una dialettica democratica di cambiamento. (Vedi il movimento del 15M che ha riempito le piazze ma non è mai stato recepito dalle istituzioni o la vicenda dell’Estatut de Catalunya del 2004 in cui 6 anni di negoziati e infine una sentenza del T.C. portano a una legge praticamente identica a quella preesistente.)
Tra un futuro che non poteva arrivare e un passato che non poteva essere ricordato la Spagna è rimasta sospesa per 40 anni. Oggi le catene che tenevano in piedi quell’ordine sono più logore che mai, e la difesa a oltranza di una costituzione sempre più svuotata del suo senso sostanziale non potrà contenere a lungo la spinta delle strade. La crisi catalana non è stata altro che la crepa da cui si intravede già il fondo oscuro di uno stato d’eccezione in cui tutto può essere rimesso in discussione e ridisegnato, mentre il potere scivola via dalle istituzioni formali verso la sua unica e autentica fonte, i cittadini.
Difficile dire se questo sarà un semplice passo verso una riforma (più o meno gattopardesca) o un radicale passaggio dall’ordine costituito a un nuovo potere costituente. L’unica certezza è che neanche il più immobile dei regimi può resistere al rintocco del grande orologio della storia.
“Voi non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo”.
Elena Giovannini per Policlic.it