Indice:
La gaffe di Jean-Claude Juncker
Tra gli europeisti e i “riformatori”
Tra gli euroscettici, bi-partisan
La “coalizione” di centro-destra
[sta_anchor id=”la-gaffe” unsan=”La gaffe”]La gaffe[/sta_anchor] di Jean-Claude Juncker – Cronistoria recente della politica italiana in Europa e viceversa
“C’è un inizio di marzo molto importante per l’Unione Europea. C’è il referendum SPD in Germania e le elezioni italiane, e sono più preoccupato per l’esito delle elezioni italiane che per il risultato dell’SPD. [..] Dobbiamo prepararci allo scenario peggiore. Il peggiore scenario potrebbe essere nessun governo operativo in Italia.”
(Jean-Claude Juncker, 22 Febbraio 2018)
Le parole di sei giorni fa del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, a seguito delle quali (come “dote” per il nostro Paese) la Borsa di Milano ha chiuso in calo dello 0,84% (“maglia nera” della giornata di contrattazioni), possono esemplificare ancora una volta il difficoltoso, altalenante e contraddittorio rapporto tra l’Italia e l’Unione Europea. A poco può infatti valere “l’immediata rettifica” di venerdì scorso, con la quale Juncker ha voluto “chiarire il fraintendimento” delle sue parole (“Non sono preoccupato [..], qualunque sarà l’esito elettorale, sono fiducioso che avremo un governo che assicurerà che l’Italia rimanga un attore centrale in Europa e nella definizione del suo futuro”): la “soddisfazione” per la chiusura settimanale in positivo di Piazza Affari (+ 0,95%) è (giustamente) effimera viste le reazioni trasversali della politica italiana, nel corso dei due giorni, alle dichiarazioni di Juncker.
C’è chi intende tranquillizzare l’Europa (Paolo Gentiloni, il premier uscente in quota PD), chi lo invita “a smettere di fare terrorismo psicologico” (Renato Brunetta, FI), chi lo irride riconoscendogli il pregio di far avverare l’opposto delle sue parole (Matteo Salvini, Lega) e chi, come la leader di +Europa Emma Bonino, accusa gli autori dell’attuale legge elettorale (“Juncker dice quello che dicono tutti i commentatori. [..] Non è che stiamo facendo una grande figura di serietà”). C’è poi chi reinterpreta il badoeriano “Un bel tacer non fu mai scritto” (Nicola Fratoianni, Liberi e Uguali) e chi replica “alla politica dei diktat di Bruxelles” dandola per “morta e sepolta” (Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare dei M5S).
Ma perché questo commento infastidisce tanto la politica nostrana quanto i cittadini italiani? “È possibile” che il Presidente della Commissione Europea abbia ragione sul rischio concreto di ingovernablilità del Paese, data la conformazione del nuovo sistema elettorale italiano, il Rosatellum Bis (qui un editoriale di Policlic.it sull’argomento)? Come detto precedentemente, questi “botta e risposta” altro non fanno che riempire altre pagine della storia tra l’Italia e l’Unione Europea, organizzazione che vede proprio l’Italia tra i suoi capisaldi. Un fatto “celebrato” lo scorso Maggio in occasione dei sessant’anni dei c.d “Trattati di Roma” che videro la nascita della Comunità Economica Europea, antesignana dell’attuale Unione.
L’UE ha tuttavia ha suscitato nella politica italiana un interesse estremamente altalenante nel corso dei decenni: di grande attualità e spendibilità durante le campagne elettorali per le elezioni europee (come non dimenticare i messaggi, in perfetto politichese, volti a “portare la politica in Europa e l’Europa nella politica”), la stessa Comunità/Unione diveniva poi il c.d. “cimitero degli elefanti”, una proficua pensione per quei politici che si avviavano al tramonto della propria “carriera” e/o per coloro i quali non fossero stati in grado di farsi eleggere al Parlamento italiano. La cattiva nomea della classe politica italiana sulle tematiche comunitarie (come se fossero le uniche) è generalmente dovuta proprio a questo “processo di selezione” grazie al quale, tra Bruxelles e Strasburgo, venne inviata “la crème de la crème” della politica nostrana. La crema sì, ma quella avariata.
In aggiunta alla inadeguatezza politica, nonchè alla debolezza negoziale dell’Italia in Europa (difficile ottenere qualcosa con Frattini, Terzi di Sant’Agata, Mogherini, Gentiloni o Alfano come Ministri degli Esteri), vanno elencati brevemente alcuni eventi nella storia recente dei rapporti tra Italia ed Unione Europea:
1) l’adozione nel 1999 della moneta unica – l’euro, poi entrato in circolazione sostituendo la lira il 1 Gennaio 2002. Fortemente sostenuto dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi (un politico molto apprezzato in Europa, sentimento che attualmente non è del tutto corrisposto in Italia) e l’allora Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi;
2) l’approvazione nel 2001 (governo Amato II) della riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 18 Ottobre 2001 n.3, con l’opposizione del centro-destra) che modificava l’articolo 117 stabilendo come “la potestà legislativa” fosse “esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”;
3) la ratifica, datata 18 Febbraio 2003 (governo Berlusconi II con Forza Italia-Lega Nord-Alleanza Nazionale-UDC), del Regolamento di Dublino II, prosecuzione del precedente documento datato 15 Giugno 1990 in tema di immigrazione (qui un link al regolamento);
4) nel 2008, nel passaggio di consegne tra il governo Prodi II ed il Berlusconi IV, venne votata e approvata all’unanimità la ratifica del Trattato di Lisbona (31 Luglio – 8 Agosto 2008) “grazie” alla quale si ha l’attuale struttura riformata dell’Unione Europea.
5) a seguito della “crisi economica e politica“ del 2011, tra il 12 ed il 23 Luglio 2012 ci fu la ratifica dell’applicazione del c.d. “Fiscal Compact” (inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, drastica riduzione del deficit debito/PIL e obbligo di non superamento del deficit strutturale con norme costituzionali) e la creazione del c.d. Meccanismo Europeo di Stabilità (MES, comunemente noto anche come Fondo Salva-Stati).
L’autore? Il “governo tecnico” guidato dal “bocconiano” Mario Monti e nominato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (con dinamiche ben aldilà della “crisi politica” di sopra citata per le quali si potrebbe chiamare in causa,tra i tanti, lo scrittore Alan Friedman). Durante il governo Monti, le manovre “lacrime e sangue” per rientrare nei parametri europei (tra le quali va menzionata la c.d. “legge Fornero”) hanno contribuito ad ottantotto “suicidi di stato”* nel Paese, un numero destinato ad incrementare drasticamente, nei successivi governi Letta e Renzi, fino a raggiungere quota 775 casi accertati (più 500 tentativi non riusciti).
Contemporaneamente, al Parlamento Europeo si tentò (senza successo) di far approvare in gran segreto un trattato anti-contraffazione (ACTA Treaty) sconosciuto alla quasi totalità dei deputati nonchè della popolazione europea volto ad avvantaggiare le società lobbistiche dei diritti d’autore (RIAA, MPAA e anche la SIAE) e a minare la libertà di espressione del pensiero. A sua volta, tra le aule del Parlamento italiano, si provò a recepire autonomamente il trattato, prosecuzione di due disegni di legge bocciati al Congresso statunitense (SOPA e PIPA Act) con il c.d. “emendamento Fava” (Lega Nord) ma il 2 Febbraio 2012 la Camera dei Deputati votò per la sua abrogazione;
6) la ratifica del regolamento di Dublino III datata 26 Giugno 2013 (governo Letta, qui il link), regolamento che poi venne (temporaneamente) sospeso in occasione della crisi dell’estate 2015 (governo Renzi) delle migrazioni di massa verso il Mar Mediterraneo. A riguardo il nostro Paese, vincolato dall’articolo 6 degli accordi del regolamento di Dublino, venne praticamente lasciato da solo a fronteggiare lo straordinario afflusso di migranti, il loro salvataggio e le pratiche di identificazione e accoglienza (operazione Mare Nostrum e, successivamente, Triton);
7) con la contemporanea congiuntura positiva scaturita dalle decisioni della Banca Centrale Europea di proseguire con la massiccia immissione di liquidità nel mercato comunitario (quantitative easing) e l’acquisto di titoli di Stato, durante il semestre italiano alla Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea (1 Luglio – 31 Dicembre 2014) è stato possibile, per l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ottenere flessibilità sul rapporto deficit/PIL richiesto dal Fiscal Compact per l’attuazione di riforme quali il Jobs Act (decreto-legge 20 Marzo 2014, n.34 e legge 10 Dicembre 2014, n.183). Nel Novembre 2014 inoltre, il Ministro degli Esteri Federica Mogherini prese il posto di Lady Catherine Ashton come “Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza” (in Italia venne sostituita da Paolo Gentiloni);
“Piccola” nota a margine: in questo elenco sono state “omesse” le varie procedure d’infrazione dell’Unione Europea nei confronti del nostro Paese su disparate questioni (attualmente ridotte a sessantasei), il deferimento della Commissione Europea per gli “aiuti di Stato” e la procedura d’infrazione in riferimento al “caso Alitalia” (2008), il giudizio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla sentenza “Lautsi v. Italia” (3 Novembre 2009), l’abolizione dei dazi doganali sui prodotti agricoli del Marocco, Egitto e Tunisia (a gravissimo nocumento delle imprese e dei prodotti italiani), il rinnovo quinquennale per l’autorizzazione all’utilizzo dell’erbicida glifosato nelle colture in Europa (regalo a favore della multinazionale Monsanto) e il tentativo di ratifica, da parte degli Stati membri dell’Unione Europea (Italia inclusa) del “Comprehensive Economic and Trade Agreement” (CETA) con il Canada, trattato commerciale che funge da ariete di sfondamento a favore dei prodotti, molti dei quali geneticamente modificati e non conformi alle normative europee sulla qualità, provenienti dagli Stati Uniti d’America che aveva provato, senza successo, ad inserirsi prepotentemente nell’area europea con il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” (TTIP).
Alla luce dei vari elementi riportati finora, si può comprendere come il fragile rapporto tra l’Italia e l’Unione Europea, tanto per enormi demeriti ed incapacità nostrane quanto per l’accanimento delle istituzioni comunitarie nei confronti di uno dei Paesi paradossalmente più “deboli” all’interno dell’Unione stessa, risulti essere allo stesso tempo estremamente volatile. Utilizzando un termine di paragone appropriato, proprio come la stessa economia finanziaria è volatile ed eterea se rapportata all’economia reale.
La differenza sostanziale tra due interpretazioni e applicazioni pratiche dello stesso tema oramai tra loro del tutto scollegate e antipodali nella gestione di volumi di scambi e transazioni sempre più veloce e fuori controllo, si inserisce all’interno del sistema delle società occidentali orientato sempre più verso la finanza, a sua volta sempre più creativa (e speculativa, pardon, come confermato dalla bolla dei Bitcoin**).
Un sistema in cui alla crescita economica di una nazione al di sopra delle aspettative e le stime (non solo economiche, ma anche politiche), corrispondono giornate nere nei mercati con un effetto a catena che coinvolge quasi la totalità delle economie mondiali (ogni riferimento a Donald Trump e al crollo di Wall Street delle scorse settimane è puramente casuale). Un sistema nel quale quindi le dichiarazioni rilasciate con disarmante leggerezza da chi detiene un incarico di grande rilevanza all’interno dell’Unione Europea in un momento molto turbolento, in termini di campagna elettorale, per il nostro Paese, possono causare ripercussioni nella Borsa (vendita dei titoli azionari e andamento negativo di Piazza Affari, aumento del tanto temuto “spread”*** tra i titoli di stato decennali italiani e quelli tedeschi, etc.).
C’è chi li definisce “effetti collaterali” di quel “turbocapitalismo“, utilizzando la definizione dell’economista statunitense Edward Luttwak , di cui il mondo continua ancora a leccarsi le ferite inferte dal crollo della Lehman Brothers e dall’effetto-domino che ne conseguì.
C’è anche chi osserva in modo andreottiano, “pensando male ma indovinando spesso”, come sia il ripresentarsi di recentissimi momenti storici (passati e ormai entrati nelle menti della popolazione italiana) riassumibili con le parole “ingerenza esterna”: l’utilizzo ovvero della finanza (europea o, nuovamente, speculativa) per decidere le sorti politiche e non solo di un Paese (la lettera “strettamente riservata” firmata dall’allora Presidente della BCE Jean Claude Trichet del 5 Agosto 2011).
La famosa frase “ce lo chiede l’Europa” , interpretazione delle dichiarazioni di Mario Monti fatte durante la presentazione della manovra finanziaria del 4 Dicembre 2011, (divenuta “famosa” per le “lacrime” del ministro Elsa Fornero), è stata negli ultimi anni una scusa dietro la quale si è nascosta una classe politica incapace di assumersi le proprie responsabilità davanti al Paese e che quindi ha preferito attuare leggi e provvedimenti scomodi, nascosta dalla “coperta di Linus europea”.
Ci sarebbe da chiedersi se si tratti nuovamente di episodi da legare al passato o se persistono ancora oggi, e probabilmente Juncker potrebbe a riguardo “chiedere lumi” al Commissario agli Affari Economici della UE Pierre Moscovici o al “falco finlandese” Jyrki Katainen.
“L’Italia si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso. Quale maggioranza uscirà dal voto? Quale programma, quale impegno europeo? In un contesto in cui la situazione economica dell’Italia non è certamente la migliore al livello europeo, felice chi potrà dirlo…”
(Pierre Moscovici, 16 Gennaio 2018)“Spero che l’Italia sia guidata da un governo stabile pro-europeo, e che questo tipo di idee sia sostenuto dagli italiani”
(Jyrki Katainen, 16 Gennaio 2018)
In questo scenario europeo (con sfumature atlantiche) così complesso e poco rassicurante, la tornata elettorale del 4 Marzo vede i partiti e movimenti politici italiani a confronto tra loro anche sulle tematiche relative all’Unione Europea. Quali sono i punti “europei” trattati all’interno dei loro programmi elettorali e politici? In quali casi si osservano cambi di direzione rispetto al passato? C’è coesione d’intenti all’interno dei vari partiti e rispettive, se presenti, coalizioni?
A queste legittime domande che si può porre l’elettorato si proverà ad offrire risposta in modo chiaro e comprensibile all’interno di una panoramica in cui sull’argomento l’Italia può essere suddivisa principalmente in tre grandi insiemi: l’area più europeista (al punto da avere un partito, in corsa per le elezioni, che invoca a gran voce “+Europa”) , quella più euroscettica (punto di partenza per la convergenza tanto dell’estrema sinistra quanto dell’estrema destra, con motivazioni e argomentazioni diametralmente opposte) e un’area grigia e poco definita.
Quest’ultimo insieme vede l’analisi del caso del MoVimento 5 Stelle, attore politico che pare essersi incamminato in un percorso di riconversione all’Europa non ancora del tutto chiara anche alla luce delle curiose mosse degli europarlamentari pentastellati dello scorso anno: il passaggio non concretizzato dall’ “Europe For Freedom and Direct Democracy” (EFDD), gruppo parlamentare europeo guidato dal Leone della Brexit Nigel Farage, ai liberali pro-Europa dell’“Alliance of Liberals And Democrats for Europe” (ALDE) del campione dell’europeismo Guy Verhofstadt.
L’altro caso poco chiaro preso in esame riguarda la coalizione di centro-destra in corsa per il Parlamento. Il motivo è semplice: il caos decisionale tra il moderato Silvio Berlusconi (Forza Italia), legato ai valori del Partito Popolare Europeo (PPE), e il polo “sovranista” rappresentato tanto dalla Lega di Matteo Salvini che da Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia).
Quale linea prevarrà alla fine?
Chi dovrà cedere tra i tre leader?
Quale sarà infine il contributo della c.d. “quarta gamba” fittiana di Noi con l’Italia-UDC?
[sta_anchor id=”tra-gli-europeisti” unsan=”Tra gli europeisti”]Tra gli europeisti[/sta_anchor] e i “riformatori” (+Europa, Partito Democratico , Liberi e Uguali, Potere al Popolo!)
“Per affrontare le grandi questioni del nostro tempo occorrono risposte più ampie che può dare solo un’Italia più europea in un’Europa più unita e democratica.“ (dal sito di +Europa)
La disamina non può non partire dall’unico partito in corsa per le elezioni politiche “dichiaratamente ed esplicitamente” europeista: +Europa con Emma Bonino.
Frutto dell’unione tra Radicali Italiani e la lista Forza Europa (del radicale Beniamino Della Vedova), è riuscita a presentarsi alle politiche grazie al fondamentale intervento del Centro Democratico di Bruno Tabacci, che ha concesso l’utilizzo del proprio simbolo alla neonata lista dopo i mancati accordi con il Partito Democratico che rischiavano di escluderla dalla competizione elettorale.
Il partito é guidato dalla veterana Emma Bonino, prossima ai settant’anni ma con la forza e la determinazione della propria giovinezza (nonostante un tumore ai polmoni sconfitto pochi anni fa). Una scelta, quella della Bonino, che incarna l’essenza dei valori europeisti proprio nella figura di questa donna che può vantare credenziali obiettivamente infinite tra incarichi e battaglie politiche e sociali combattute “fuori e dentro i Parlamenti” tra l’Italia e l’Europa. Una carriera e una vita politica in cui non è mancata, per quasi tutta la sua vita, la figura dell’amico radicale Marco Pannella.
L’ambizione, per il partito, è quella di accellerare i piani per la creazione di una Federazione di Stati europei, sul modello delineato dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli. In breve, la creazione degli Stati Uniti d’Europa, un’unica voce a livello continentale che parli nell’interesse di tutti. Per perseguire tale progetto, secondo il partito, serve appunto “Più Europa” all’interno della politica italiana con implicazioni che riguardano l’intero sistema-Paese.
L’intero programma politico di +Europa (consultabile sul sito www.piùeuropa.eu) è incentrato sull’europeismo e i valori incarnati dall’Unione Europea, con i suoi risultati (dal Mercato Comune e la libera circolazione dell’Area Schengen, al progetto Erasmus) e i progetti da implementare (una difesa comune europea sul modello della CED del 1954, il potenziamento del Mercato Comune europeo in chiave anti-protezionistica per affrontare le sfide di un mondo globalizzato e la trasformazione del Fondo Salva Stati/MES in un Fondo Comune Europeo).
Inoltre, +Europa propone l’elezione del Presidente della Commissione Europea a suffragio universale, la trasformazione del Consiglio dei Ministri dell’Unione in un Senato europeo a elezione diretta e l’istituzione di una valutazione annuale dello stato della libertà e della democrazia in ciascuno Stato membro da parte della Commissione (o della Corte di Giustizia) con il mandato di monitorare il rispetto all’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Infine viene dedicato spazio alla necessità di maggiori fondi per la ricerca, le nuove tecnologie e l’istruzione, proponendo l’investimento del 3% del nostro PIL a fronte di una contemporanea partecipazione europea (pari ad un terzo del bilancio federale) per la ricerca in Europa.
Il progetto federalista è visto con profondo interesse anche dal Partito Democratico di Matteo Renzi (e del Presidente uscente Paolo Gentiloni) che si presenta alle elezioni supportato anche dal Ministro della Sanità uscente Beatrice Lorenzin (Civica Popolare) e dalla galassia partitica (Verdi, PSI ed Area Civica) che ruota attorno a Romano Prodi (Insieme).
“Per il Partito Democratico l’Europa è l’orizzonte naturale in cui si giocano tutte le partite più importanti della contemporaneità. Senza Europa le nostre vite sarebbero peggiori [..]. Ma c’è ancora molto da fare se vogliamo che l’Europa assomigli di più all’ideale che ci ha permesso di costituirla.
La nostra Europa è quella di Ventotene [..]. È l’Europa di Maastricht e degli sforzi fatti per arrivare alla moneta unica. Ed è l’Europa di Lisbona, una forza che prova a farsi Unione politica e dell’innovazione. [..] Serve più Europa. E serve più politica in Europa.”
(dal programma elettorale del Partito Democratico alla voce “Più Europa. E più politica in Europa”)
Il sito internet del partito (www.partitodemocratico.it) offre molto materiale da poter analizzare: il programma elettorale (con relativa sintesi) e un resoconto, in cento punti, delle opere compiute durante l’ultima legislatura tra i governi Letta, Renzi e Gentiloni.
All’Unione Europea, nella sua struttura attuale e le possibili prospettive future, viene dedicata una sezione ad hoc (consultabile qui) nella quale il Partito ha modo di mostrare gli obiettivi raggiunti dai propri governi nella legislatura e le proposte future in chiave italiana ed europea.
Il PD rivendica “la riduzione del deficit (dal 3% del PIL del 2014 al 2,1 del terzo trimestre 2017) e la stabilizzazione del debito al 132% del nostro Prodotto Interno Lordo” , un dato come precedentemente menzionato reso possibile dalla congiuntura positiva data dall’intervento della BCE in termini di quantitative easing e dalla flessibilità sul deficit debito/PIL ottenuta, come disse Renzi, “combattendo una battaglia durissima, nel giro di sei mesi (il riferimento al semestre italiano alla Presidenza UE NdA)”. Gli obiettivi raggiunti proseguono con il “dimezzamento delle procedure d’infrazione a carico dell’Italia in tre anni – da 120 a 62 – passando dall’essere la “maglia nera” d’Europa alla sua “maglia rosa””. Una precisazione è d’obbligo a riguardo: secondo le stime dello scorso 25 Gennaio del nostro Dipartimento per le Politiche Europee la cifra si è attestata a 66.
Tra i “buoni propositi” da realizzare invece vengono inseriti “la riduzione graduale ma stabile del rapporto debito/PIL in dieci anni (dal 132 al 100%), il ritorno ai parametri di Maastricht in sostituzione del Fiscal Compact rispettando la regola del deficit al 3%, l’emissione (fino al 5% del PIL dell’Eurozona) di Eurobond per il finanziamento di progetti su capitale umano, ricerca ed infrastutture e la creazione di un Ministero delle Finanze dell’Eurozona che raccolga le funzioni del commissario per gli Affari Economici e Monetari e del presidente dell’Eurogruppo”, la cui nomina dovrà provenire dal Parlamento Europeo.
Le proposte del PD non si limitano unicamente all’ambito economico ma spaziano anche su altri settori ed ambiti dell’Unione Europea allo scopo di renderla un’Unione di natura:
- Politica: “modifica dei Trattati per l’elezione di un Presidente unico dell’Unione Europea da parte dei cittadini, creazione di un collegio unico europeo composto da parte dei seggi britannici con possibilità di candidature transnazionali”
- Sociale: “investimenti nel servizio civile europeo, una previdenza sociale e uno schema europeo di assicurazione contro la disoccupazione”
- Culturale: “superamento degli accordi di Dublino sull’immigrazione, creazione di un Fondo europeo della difesa per il buon funzionamento dell’area Schengen, potenziamento ed ampliamento del progetto Erasmus alla cultura, ampliamento del riconoscimento ufficiale dei titoli formativi sia per facilitare il rientro in Patria degli italiani all’estero ma anche per la mobilità all’interno dell’Unione.
Infine viene data importanza anche ai rapporti inclusivi dell’Unione Europea nell’area del Mediterraneo e in Africa.
Le due liste minori che sostengono il PD hanno a loro volta elementi nei loro programmi riguardanti l’Unione Europea: Civica Popolare ad esempio, vorrebbe un’Europa come strumento per la pace e la piena realizzazione della persona e pone anch’essa molta importanza ai rapporti dell’Unione nell’area mediterranea e l’Africa. Insieme, a sua volta, porta nel c.d “Piano Prodi sulle infrastrutture sociali (Green New Deal)” il proprio cavallo di battaglia: il progetto, presentato da Romano Prodi a Bruxelles il 23 Gennaio scorso, propone un Piano operativo decennale di investimenti del valore di 150 miliardi di euro in quattro priorità: infrastrutture sociali, salute, istruzione ed edilizia.
Importante è invece l’assenza di una particolare attenzione alla tematica europea da parte di Liberi e Uguali, il partito che vede in Pietro Grasso (candidato premier) e Laura Boldrini le figure di spicco di quella Sinistra che non si riconosce più nel Partito Democratico e la sua deriva renziana. All’interno del programma elettorale (consultabile sul sito www.liberieuguali.it), il partito si limita infatti ad elencare alcune macro tematiche.
“La nostra è chiaramente una scelta europeista ma vogliamo combattere la deriva tecnocratica che ha preso l’Europa restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo. Vogliamo un’Europa più giusta, più democratica e solidale.“
(dal programma elettorale di Liberi e Uguali)
Tra le proposte, Liberi e Uguali riporta “il superamento della dimensione intergovernativa” all’interno dell’Unione a favore di un “rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo” per poter eleggere un governo che sia reale emanazione della cittadinanza europea. Inoltre, si schiera in aperto contrasto alle politiche europee di austerità europee proponendo “l’introduzione della Tobin Tax (imposta sulle transazioni finanziarie) e “di una vera web tax europea” contro lo strapotere delle imprese multinazionali digitali che eludono la tassazione (Google, Apple, Amazon etc…).
Viene evidenziato poi il tema dell’accoglienza, che deve essere costruita con “un sistema rigoroso, diffuso ed integrato, sulla base del modello Sprar****, adeguatamente dimensionato“. Il partito punta infine a sostituire gli Accordi di Dublino per “promuovere la nascita di un unico sistema di asilo europeo”, oltre ad invitare ed esortare a “rigettare gli accordi con Paesi in cui non siano garantiti i diritti umani”.
Da osservare tuttavia un’importante differenza di vedute, risalente al Gennaio scorso, all’interno di LeU. L’oggetto del contendere, non a caso, era appunto l’Unione Europea: da una parte la Boldrini, sostenitrice del progetto dell’Unione Europea con le sue riforme, dall’altra Stefano Fassina, esponente del partito dichiaratamente no-euro da lui definito “uno strumento di dominio economico e politico da parte di un’oligarchia europea”.
In ultima battuta, la posizione della lista “Potere al Popolo!”, soggetto politico nato dall’appello del centro sociale napoletano “Ex-Opg – Je so’ Pazzo” accolto da Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani che si autodefinisce “l’unica lista di sinistra” e che auspica, con convinzione, al superamento della clausola di sbarramento del 3% per entrare in Parlamento.
“L’Unione Europea è uno strumento delle classi dominanti che favorisce l’applicazione delle famigerate ed impopolari “riforme strutturali” senza nessuna verifica democratica. Il “sogno europeo” dei tanti che hanno creduto nella possibilità di costruire uno spazio di pace e progresso si è scontrato con la dura realtà di un’istituzione al servizio degli interessi di pochi.”
(dal programma elettorale di “Potere al Popolo!”)
La lista, contraria all’attuale assetto dell’Unione Europea, propone di “rompere l’Unione Europea dei trattati per costruirne un’altra“ incentrata “sulla solidarietà dei cittadini e dei lavoratori nonchè [sic, NdR] sui diritti sociali” con il fine di creare politiche “condivise e pacifiche” volgendo lo sguardo anche ai popoli del Mediterraneo. A questi progetti va unita anche la lotta “all’ossessione della “governabilità” e l’imposizione di decisioni dall’alto perché “ce lo chiede l’Europa”“. Lo scopo, per Potere al Popolo!, è quello di dare nuovamente ai popoli (senza accezione nazionalistica del termine) il diritto di poter dire la propria su ogni decisione presa a livello comunitario (come in ogni altro ambito) mediante il ricorso al referendum.
In una recente intervista a MicroMega! del 21 Febbraio, la portavoce della lista Viola Carofalo ha voluto chiarire alcuni punti fondamentali per Potere al Popolo!:
“Non siamo contrari all’Europa in senso nazionalista, ma l’Unione Europea così com’è non va bene. È da riformare. [..] La risposta non sta nell’inseguire le destre né nell’abbracciare il concetto di sovranità nazionale – sono e resto internazionalista – ma nella costruzione di un’Europa che dia diritti ed opportunità alle classi popolari. Questo è il piano A. Ma se si scoprisse che questi trattati non sono riformabili dall’interno [..], guardiamo con interesse ad un piano B. Non moriremo per l’Europa, siamo disposti anche a rompere con essa.”
(Viola Carofalo, Potere al Popolo!, intervista del 21 Febbraio 2018)
[sta_anchor id=”tra-gli-euroscettici-bi-partisan” unsan=”Tra gli euroscettici bi-partisan”]Tra gli euroscettici, bi-partisan[/sta_anchor] (Partito Comunista, Casapound Italia, Forza Nuova/Italia agli Italiani)
Si arriva ora alla disamina del blocco euroscettico. Tre partiti, due retaggi ideologici che sono la nemesi l’uno dell’altro (in una campagna elettorale con toni da Anni di Piombo), un elemento in comune (con uno sviluppo e una argomentazione del tutto opposta): si deve uscire dall’Unione Europea.
Partendo dall’estrema sinistra, il Partito Comunista, testimone politico della dottrina marxista-leninista guidato dal segretario Marco Rizzo, si deve menzionare tra i partiti che vorrebbero uscire dall’Europa, dall’euro e anche dalla NATO (ma questo è un discorso a sé):
“Fuori dalla UE, dall’euro e dalla Nato è la parola d’ordine che i comunisti pronunciano, senza chiudersi in nessuna visione nazionalistica, senza prospettare un semplice ritorno al passato. Insieme a noi lottano in questa direzione i comunisti di tutta Europa per la liberazione comune della classi lavoratrici dei nostri Paesi dallo sfruttamento capitalistico, dal potere dei grandi monopoli.” Il Partito Comunista auspica l’uscita di diversi paesi dall’euro, contrario alle organizzazioni europee e alla loro ingerenza nella sovranità statale.”
(Comunicato dell’Ufficio Politico del Partito Comunista “Fuori dall’Unione Europea e dall’euro. Potere ai lavoratori”, 27 Marzo 2017
N.B Per la lettura integrale del comunicato v. link)
Dal programma politico del Partito Comunista (consultabile sul sito ilpartitocomunista.it) si osserva, alla voce dedicata alla politica internazionale, l’esortazione all'”uscita dell’Italia dall’Unione Europea e dalla Unione Monetaria Europea (sistema dell’euro) e al ripristino della sovranità politica e economica (commerciale e monetaria) al fine di sviluppare tutte le potenzialità di sviluppo del nostro paese”, nonché “l’azzeramento unilaterale della parte di debito sovrano detenuto da banche e istituzioni finanziarie”. Si chiarisca fin da subito che l’interpretazione della sovranità va intesa in chiave marxista-leninista, come un atto di rivoluzione contro il sistema capitalistico e un’istituzione voluta, secondo il Partito, dal Grande Capitale che “per reperire le risorse necessarie a contendere agli USA l’egemonia mondiale [..] impone” (assieme alla BCE nda) “ai popoli d’Europa, con una politica criminale, sacrifici insostenibili e un vero e proprio massacro sociale”.
Spostandosi invece a Destra, il concetto di sovranità viene inteso in chiave ultranazionalistica ed identitaria dalle due formazioni in corsa: Forza Nuova, riunita con Fiamma Tricolore nella lista “Italia agli Italiani” e Casapound Italia, in ascesa nel panorama politico italiano dopo le elezioni di Ostia che hanno fatto entrare un suo rappresentante nel decimo Municipio.
Il partito politico di Roberto Fiore rivendica, nel proprio programma politico, l’uscita dell’Italia dall’Europa (una totale Italexit, per parafrasare la scelta del popolo britannico, dall’Unione Europea, dalla sua Banca Centrale e dai suoi vincoli in termini di trattati e di documenti quali il Fiscal Compact) e il ritorno alla sovranità nazionale in tutti i suoi settori:
“L’attuale Unione Europea è infatti fondata su valori distorti, economistici e materialistici, che negano le identità nazionali e locali, assoggettandole ad un totalitarismo finanziario che deprime ed umilia le singole comunità, rendendole nei fatti più povere e meno libere.”
(da “Per Uno Stato Nuovo”, programma politico di Forza Nuova consultabile sul sito forzanuova.eu)
L’uscita dall’Unione Europea e dall’euro risultano invece ancor più prioritarie all’interno del programma politico di CasaPound Italia, al punto da essere i primi punti del suddetto programma (consultabile dal sito casapounditalia.org). Il discorso è molto simile: per il partito guidato da Simone Di Stefano, l’euro “è un meccanismo al servizio di gruppi pilotati e nazioni ostili che espropriano il bene pubblico italiano […] , tengono sotto strozzo i cittadini, distruggono il risparmio, moltiplicano il debito e devastano lo Stato Sociale” mentre l’Unione “si è dimostrata negli anni nemica della nostra Nazione“.
Pertanto “l’uscita unilaterale dell’Italia dall’Europa, l’abbandono di tutti gli accordi e trattati, l’abbandono del vecchio Euro per una nuova moneta sovrana italiana” (emessa da una Banca d’Italia rinazionalizzata) nonché “l’immediata interruzione dell’erogazioni miliardarie all’Unione“ sono condizioni essenziali dalle quali ripartire stipulando “accordi bilaterali forti con le nazioni fuori dalla UE, con assoluto riguardo alla Russia e al Giappone“ per le risorse e la competenza tecnologica, allo scopo di poter tornare a commerciare e a collaborare con il resto del mondo, alle condizioni e secondo gli interessi italiani.
[sta_anchor id=”il-caso-movimento-5-stelle” unsan=”Il caso MoVimento 5 Stelle”]Il “caso” MoVimento 5 Stelle[/sta_anchor]: un rapporto in eterna contraddizione
Per quanto riguarda il MoVimento 5 Stelle, la storia recente ha decretato un interessante (o contraddittorio) cambiamento di linea nei confronti dell’Unione Europea.
Dal precedentemente menzionato tentativo di cambiare sponda all’interno dell’Europarlamento (da Nigel Farage a Guy Verhofstadt), il MoVimento nella figura del candidato premier Luigi Di Maio si è reso partecipe di una sorta di istituzionalizzazione.
Se un tempo la classe politica pentastellata si dichiarava assolutamente “no-euro” e chiedeva perentoriamente la formulazione di un referendum sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea, negli ultimi tempi i toni paiono essersi abbassati (e di molto).
Nella registrazione della puntata di Porta a Porta del 9 Gennaio scorso, Di Maio ha dichiarato:
“La situazione politica, a livello europeo, è cambiata rispetto a quando siamo entrati in Parlamento nel 2013 […] Il quadro europeo non ha più quel monolite franco-tedesco e ora l’Italia può contare di più a quei tavoli e io non credo sia più il momento per l’Italia per uscire dall’euro.”
(Luigi Di Maio in un’intervista a Porta a Porta, 9 Gennaio 2018)
Il MoVimento presenta, all’interno del proprio programma elettorale, un’intera sezione dedicata all’Unione Europea (consultabile dal sito movimento5stelle.it) all’interno della quale, già dalle prime parole, si osserva il “nuovo corso” dei 5 Stelle:
“Il mercato unico non viene smantellato, ma riformato, tenendo conto delle esigenze dei cittadini”
(dal programma elettorale del MoVimento 5 Stelle)
Viene posta particolare attenzione alla tutela del Made in Italy – riducendo ai minimi termini l’importazione di prodotti concorrenti come l’olio tunisino, le arance marocchine, il grano ucraino, il riso asiatico ecc. – e quindi alla revisione o l’opposizione a quei trattati commerciali (come il TTIP o il CETA) che danneggiano il commercio, l’economia e la salute tanto italiana quanto europea. Tra gli ulteriori obiettivi del M5S c’è anche la revisione del Regolamento di Dublino “nel rispetto dei principi di cooperazione ed equa ripartizione delle responsabilità tra tutti i paesi dell’UE” ed il superamento della politica d’austerità europea.
Nell’ambito economico, in termini di budget europei, il MoVimento propone “l’eliminazione della tripla sede Bruxelles-Strasburgo-Lussemburgo, la rimozione di tutte le agenzie europee non produttive, e l’abolizione dei finanziamenti destinati alla propaganda UE.” Il budget, alleggerito da sprechi e privilegi, “dovrà essere in gran parte reindirizzato a finalità sociali quali l’introduzione di un reddito di cittadinanza europeo” (implementazione del progetto proposto nel nostro Parlamento). Inoltre, è presente la proposta di riforma del sistema bancario europeo con la separazione netta tra banche commerciali e banche d’investimento, oltre allo smantellamento della “procedura di bail-in” (salvataggio di istituti di credito a discapito dei risparmiatori e dei correntisti).
Permane comunque all’interno del programma – nonostante i tentennamenti di Di Maio – la necessità “di introdurre nei trattati e nel quadro normativo europeo” la possibilità per gli Stati membri, con appositi strumenti giuridico-normativi, “di recedere o di restare fuori dall’Unione monetaria in modo permanente (con clausola di opt-out), nel caso in cui vi sia una chiara volontà popolare in merito.“
[sta_anchor id=”la-coalizione-di-centrodestra” unsan=”La coalizione di centrodestra”]La “coalizione” di centro-destra[/sta_anchor] ed i dissidi tra Berlusconi, Salvini e Meloni (anche in tema Europa)
La panoramica si conclude con il secondo ed ultimo caso preso in considerazione per via del particolare interesse storico-politico.
Il protagonista? Incredibilmente, è di nuovo Silvio Berlusconi che alla veneranda età di ottantun’anni , dopo gli anni passati dietro le quinte e nonostante lo status di incandidabile (in attesa della sentenza della Corte di Strasburgo) , “è sceso nuovamente in campo” proprio quando la classe politica italiana, credendo di aver chiuso definitivamente i conti con il berlusconismo, lo dava per finito.
Nonostante i processi a suo carico ancora in corso, gli strascichi legali della separazione con la ex-moglie e la lontananza dalla politica che conta, Berlusconi è tornato prepotentemente sulla scena nostrana al punto che gli analisti esteri osservano il fatto misti tra lo stupore, la preoccupazione ed il panico.
Il ritorno, frutto di un quasi immobilismo delle altre forze politiche tradizionali (il MoVimento 5 Stelle è escluso da questo ragionamento) si colloca in quella che è una vera e propria riedizione della Casa delle Libertà (e annesse sigle) in versione 2.0.
Da Umberto Bossi e Gianfranco Fini si passa a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il (quasi) nuovo che avanza.
Quella che un tempo fu la casa per il secessionismo padano da anni vive, con Matteo Salvini alla guida, un nuovo ciclo con una più ampia veduta e con concrete prospettive nazionali. In breve, Salvini è riuscito nell’intento di rottamare Bossi e Maroni rispedendo al mittente lauree albanesi e diamanti della Tanzania, perchè la Lega ora è tutt’altra cosa.
Contemporaneamente negli ultimi anni si è assistito alla graduale ma esponenziale crescita di Fratelli d’Italia, partito nato nel biennio 2012-2013 (allora in chiave anti-Montiana) caratterizzato dalle mille storie in parte legate al Movimento Sociale Italiano, alla svolta di Fiuggi ma anche allo stesso Berlusconi (per amore ed odio).
Un partito istituzionalizzato attorno al quale si sono alternati, avvicinati ed allontanati vari personaggi della destra romana e non solo, quasi come in un giro di valzer, a fronte di un’ iniziale rottura con l’esperienza del PdL.
Il ritorno di Guido Crosetto, co-fondatore del partito, al fianco della Meloni del 28 Gennaio scorso ripresenta il tandem “del Gigante e della bambina” (come venne definito nel 2012) all’interno di una formazione politica dove risuonano le parole “sovranismo” e “patrioti” (alle quali si può aggiungere anche il “no all’inciucio” della Meloni).
Da una parte Matteo Salvini, dall’altra Giorgia Meloni, due leader di partiti in ascesa che ambiscono al piatto grosso rappresentato dal Parlamento e auspicano nel sostegno dell’elettorato a suon di voti.
E Berlusconi? Osserva ed annuisce mentre le trame politiche con gli altri capi vengono tessute, gestite ed orchestrate per mesi (mentre il Rosatellum Bis veniva approvato in Parlamento) fino al vertice di Arcore dello scorso 7 Gennaio.
Dopo quattro ore di colloquio nella tenuta di Berlusconi, nasce la coalizione a quattro (si aggiungono infatti deputati transfughi di varie formazioni politiche minori e confluiti nella lista Noi con l’Italia-UDC) sancita allo scopo di vincere le incombenti elezioni politiche.
Superando la disamina di un’importante questione di scontro, ancora irrisolta, all’interno della stessa coalizione (chi sarà il candidato Premier tra Salvini, Meloni e Antonio Tajani, quest’ultimo sostenuto da Berlusconi?) , dal programma elettorale di 10 punti firmato dai quattro partiti (qui consultabile il documento) emergono poche linee guida nel terzo capitolo “Meno vincoli dall’Europa”. Tra queste si osserva l’intento di revisionare i trattati UE, l’opposizione netta alle politiche di austerità e alle regolamentazioni eccessive che ostacolano lo sviluppo, riduzione della burocrazia in Europa e del surplus dei versamenti annuali italiani al bilancio comunitario.
Inoltre, la coalizione intende tutelare in ogni sede gli interessi italiani a partire dalla sicurezza del risparmio e dalla tutela del Made in Italy, con particolare riguardo alle tipicità delle produzioni agricole e dell’agroalimentare.
Ma è davvero tutto? Le diverse vedute sull’argomento comunitario cominciano con una disamina più approfondita dei vari contraenti all’interno della coalizione del centro-destra, disamina nella quale si ritorna ancora da Silvio Berlusconi.
Berlusconi ha sempre dichiarato il legame indissolubile di Forza Italia con i valori cristiani, moderati e liberali del Partito Popolare Europeo e ha sempre guardato con estremo distacco e diffidenza i populismi (tanto di sinistra che di destra, per non parlare del MoVimento 5 Stelle, suo nuovo nemico).
All’interno di una “particolare rubrica” (Berlusconi dalla A alla Z, consultabile sul sito www.berlusconi2018.it) , la voce “E come Europa” viene descritta in questo modo :
“Noi siamo i veri europeisti, quindi sappiamo che quest’Europa non soltanto non piace a nessuno ma viene vista dai popoli europei come un’imposizione, una sopraffazione, una limitazione delle libertà. [..]
L’Europa non ha identità, non ha valori condivisi [..]. Ha soltanto una meticolosa burocrazia che impone regole senza senso e senza tenere conto delle diverse situazioni nazionali. [..]
Nonostante tutto, però , l’Europa è un progetto al quale non si può rinunciare : in un mondo globalizzato i singoli paesi non hanno più la forza nè la capacità di svolgere da soli un ruolo significativo.” (da “Berlusconi dalla A alla Z”)
Fortemente critico sull’euro (sul quale ha sempre indicato le responsabilità nella figura di Romano Prodi), Berlusconi ha però avuto modo di ribadire, anche il mese scorso, come “l’Italia non possa farne a meno ma che si debba vigilare perché continui ad essere gestito come adesso da Mario Draghi” (9 Gennaio 2018).
Tendenzialmente più critico nei confronti dell’Europa è invece l’approccio seguito da Giorgia Meloni, sintetizzabile nella parola “sovranità”.
Il programma elettorale di Fratelli d’Italia (consultabile, nella sua sintesi in 15 priorità, sul sito www.fratelli-italia.it) è inequivocabile : “Prima l’Italia e prima gli Italiani”.
Il partito fissa tra le priorità “la ridiscussione di tutti i trattati europei (a partire dal Fiscal Compact e dall’euro) nonchè la creazione di una clausola di supremazia in Costituzione per bloccare accordi e direttive lesivi per l’Italia a cominciare dalla direttiva Bolkestein**** e dal Regolamento di Dublino.”
Risulta di ulteriore interesse la lettura ed analisi delle Tesi di Trieste, documento del II Congresso Nazionale di Fratelli d’Italia tenutosi a Trieste tra il 2 ed il 3 Dicembre scorso (qui il link).
“Siamo patrioti ed europei, perché da italiani crediamo nell’Europa dei popoli.
Comunità di nazioni, con lingue e tradizioni diverse, che, tuttavia, si sono sempre riconosciute affini. [..]
Le sfide che ci aspettano a livello mondiale rendono indispensabile un legame sempre più forte tra i nostri popoli.Solo l’Europa, nel suo complesso, può competere ad armi pari sullo scenario planetario con potenze come Stati Uniti, Russia, Cina, India e i grandi blocchi emergenti. Non è però l’attuale Unione Europea, segnata ormai da una deriva burocratica, tecnocratica e lobbistica che appare irreversibile, la corretta risposta alle necessità delle Nazioni europee.
Noi non ci schieriamo tra i sostenitori di un ingenuo federalismo europeo fatto di ulteriori cessioni di sovranità e nemmeno tra i fautori dell’Europa a due o più velocità.Reputiamo che si debbano rivedere tutti i trattati europei e ripartire da un nuovo patto, da una Confederazione di Stati liberi e sovrani che cooperino sulle grandi materie strategiche [..] ma senza la tirannia acefala di un’anonima sovrastruttura burocratica incapace di rappresentare le esigenze degli Stati membri e le istanze dei loro cittadini.
In questa ottica, guardiamo con attenzione al “gruppo di Vysegrad” del quale fanno già parte Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, e al quale si potrebbe unire presto l’Austria, quale simbolo dell’opposizione alla degenerazione burocratica dell’Unione Europea e della difesa dell’Europa reale e storica.Ripensare il rapporto con l’Europa per riprenderci innanzitutto la nostra sovranità nazionale e ribadire che la sovranità appartiene al popolo.” (estratto dalle Tesi di Trieste)
La contrapposizione alla guida berlusconiana della coalizione di centro-destra è rappresentata da Matteo Salvini il quale, anche dinnanzi ai riflettori e alle domande della stampa, dimostra sicurezza nel parlare di quella che sarà la sua squadra di governo il giorno dopo le urne.
Anche in tema comunitario, le vedute sono molto distanti tra i due leader, con Berlusconi che non perde occasione per gettare acqua sul fuoco delle dichiarazioni del proprio alleato di coalizione.
Alleato che all’interno del proprio programma elettorale (consultabile sul sito www.salvinipremier.it) dedica alla voce relativa all’Europa le parole “Sì all’Europa dei popoli, della pace e della libertà. No all’Europa dei burocrati e degli speculatori.”
“L’Italia non può uscire dall’Europa.
L’Italia appartiene al continente europeo per sua stessa natura geografica e, anzi, la sua posizione è assolutamente strategica all’interno del bacino del Mediterraneo.
Altra cosa è invece l’Unione Europea. [..]
Noi vogliamo restare all’interno dell’Unione Europea solo a condizione di ridiscutere tutti i Trattati che pongono vincoli all’esercizio della nostra piena e legittima sovranità, tornando di fatto alla Comunità Economia Europea precedente al Trattato di Maastricht.” (estratto da “Salvini Premier – La Rivoluzione del Buonsenso” , programma elettorale e di governo della Lega)
In riferimento all’euro, la Lega e Salvini stesso (che di recente, alla presentazione della candidatura per la Lega dell’economista no-euro Alberto Bagnai , ha dichiarato di non aver cambiato idea) ritengono sia “la principale causa del nostro declino economico, una moneta disegnata su misura per Germania e multinazionali e contraria alla necessità dell’Italia e della piccola impresa.” e promettono di fare “ogni cosa per essere preparati e in sicurezza in modo da gestire da un punto di forza le nostre autonome richieste per un recupero di sovranità“.
Ulteriori punti della Lega in tema di politiche europee riguardano la garanzia “di un maggiore controllo democratico sulle istituzioni europee assegnando al Parlamento il potere d’iniziativa legislativa e garantendo alle Regioni una rappresentanza effettiva, attraverso l’elezione del Parlamento su base regionale (una sorta di Comitato delle Regioni).
Infine, le proposte del c.d “quarto polo” di Noi con l’Italia-UDC che mette al primo punto dei rapporti con l’Europa la revisione dei trattati europei e del patto di stabilità, per ricavare risorse per gli investimenti infrastrutturali per rendere le imprese più competitive.
Chiede l’impegno degli Stati fondatori dell’UE a completare il processo di integrazione politica dell’Unione e l’inserimento nella Costituzione Italiana della clausola di sovranità. Inoltre chiede regole fiscali europee comuni per le aziende del web e severi controlli europei sui fenomeni di dumping e l’elezione diretta del Presidente del Parlamento Europeo, concedendogli più poteri legislativi e di controllo.
Infine la creazione di certificazioni Europee DOC (Denominazione di Origine Controllata) e IGP (Indicazione Geografica Protetta) a tutela dell’artigianato artistico, sul modello dell’agricoltura, quindi la tutela del Made in Italy e il potenziamento della cooperazione internazionale per lo sviluppo, per la pace e il potenziamento dell’export delle imprese italiane.
Guglielmo Vinci e Alessandra Diani per www.policlic.it
*”Suicidi di Stato” = Termine correlato, in alcune pubblicazioni letterarie e a mezzo stampa, alla definizione “suicidi per motivazioni economiche”, sono divenuti di drammatica attualità a partire dal 2011, a seguito dei fatti di cronaca motivati da fattori imputabili alla legge finanziaria del governo Monti.
Dal punto di vista statistico, l’Osservatorio Suicidi per Motivazioni Economiche presso la Link Campus University (fonte dei dati menzionati per il “quinquennio 2012-2016”) è dal 2012 la sola fonte accreditata dei dati rivolti a Istituzioni e mezzi di comunicazione.
**Bitcoin = Moneta virtuale che rientra nell’insieme delle criptovalute.
Nata nel 2009, il bitcoin è stata la prima moneta criptata da sequenze algoritmiche molto complesse che richiedevano l’utilizzo di computer dalle enormi capacità di calcolo (i c.d. “miners”) in grado di decifrare le sequenze algoritmiche e decriptando il codice per l’ottenimento della moneta.
Divenuta una proficua forma di business tra gli investitori (al punto di frazionarla in porzioni) e usata come arma dagli hacker (governativi o meno, come nel caso del virus Wannacry), il bitcoin si è tramutata in una vera e propria bolla speculativa al punto che nelle scorse settimane (poco prima della loro quotazione a Wall Street) il valore di 1 bitcoin aveva raggiunto quota 17.000 dollari.
***spread = termine finanziario generalmente utilizzato per indicare il differenziale tra il tasso di rendimento di un titolo di Stato confrontato con il rendimento di un altro titolo di Stato.
****Direttiva Bolkenstein = Atto approvato dalla Commissione Europea nel 2006 e recepito dal governo italiano nel 2010 volto a favorire la libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i vari Paesi.
Oggetto di pesantissime critiche e contestazioni tanto dai commercianti di strada quanto dai titolari di concessioni balnearie perchè parti lese dall’atto comunitario (messa al bando delle concessioni, privatizzazione di alcune fasce di mercato)