Parte prima
“Un quadro splendido, l’omicidio rituale ebraico dei bambini cristiani è attendibile”: questa affermazione, come riporta l’Osservatorio Antisemitismo, è contenuta in un articolo pubblicato qualche giorno fa da un giornale digitale pugliese. L’encomiastica descrizione è riferita a un recente dipinto della famosa storia antisemita di Simonino da Trento, venerato come beato fino al Concilio Vaticano II, e origine di tante persecuzioni nei confronti degli ebrei: nel 1475, questo bambino venne fatto ritrovare morto davanti a una casa ebraica, motivo per cui i 15 ebrei presenti a Trento furono accusati di aver effettuato un omicidio rituale, e cioè di aver utilizzato il sangue di un bambino cristiano per impastare le azzime pasquali. Per questa ragione furono torturati per mesi e messi a morte (1).
Il 27 gennaio di ogni anno è dedicato alla Memoria delle vittime della Shoah: per un giorno ci fermiamo a ricordare le atrocità compiute dal nazifascismo nei confronti del popolo ebraico e non solo. Tuttavia, nonostante si sia formata nel tempo una coscienza storica abbastanza diffusa in relazione allo sterminio, sono ancora numerosi gli episodi di antisemitismo che si verificano quotidianamente in Italia e all’estero, sul web o per strada. Questi atti di violenza non si basano esclusivamente sull’eredità razzista del nazismo e del fascismo, ma anche su stereotipi che hanno origine lontanissima e che hanno costituito nei secoli il “patrimonio” da cui hanno attinto l’antigiudaismo teologico e in seguito l’antisemitismo moderno, inteso come pregiudizio antiebraico di matrice economica e politica. Quest’ultimo, insieme a nuove opere razziste della seconda metà dell’Ottocento, fu una base fondamentale per l’antisemitismo nazista.
Questi stereotipi sono quindi ancora diffusi: quante volte abbiamo sentito parlare dell’ebreo “usuraio”, dell’ebreo “ricco”, del “complotto ebraico”, degli ebrei “deicidi”. Ecco, lo scopo di questo approfondimento, pur nei limiti fisiologici di un articolo, vuole essere quello di far luce sull’origine e sulla storia dell’antisemitismo, mettendone in evidenza le diverse tipologie che si sono succedute nei secoli, e quindi smascherando le menzogne alla base degli stereotipi e dei pregiudizi che ancora oggi avvelenano la nostra società.
L’origine dell’antigiudaismo teologico
Le prime discriminazioni economico-sociali nei confronti degli ebrei iniziarono al tempo dell’imperatore Costantino (IV secolo d.C.), quando agli ebrei fu vietato di tenere schiavi cristiani, di accedere all’esercito e alle cariche pubbliche, e perfino di sposare una donna cristiana.
Di pari passo con queste misure iniziarono a diffondersi pregiudizi contro il popolo ebraico, che gradualmente si sedimentarono nella coscienza popolare. Una delle accuse rivolte agli ebrei è infatti quella di “deicidio”, sorta appunto all’epoca del tardo Impero, per la quale gli ebrei sono responsabili della morte di Gesù e per questo motivo maledetti eternamente. Questa credenza non ha generato solo numerose persecuzioni, ma anche altri pregiudizi, come quello della profanazione dell’ostia e la presunta usanza degli omicidi rituali, intesi come una sorta di prosecuzione del deicidio. Queste calunnie, utilizzate per fomentare l’odio dei crociati, portarono all’uccisione di quasi 10000 ebrei europei durante la prima crociata del 1096 (2), a cui si aggiunsero quelli uccisi a Gerusalemme. Questi eccidi si ripeterono nella seconda crociata del 1144 e nella terza del 1187.
Già nella terza crociata si cominciarono a legare motivi economici a quelli religiosi alla base delle persecuzioni e delle discriminazioni. Gli ebrei infatti, col sorgere del sistema feudale, nel quale per ottenere un feudo era spesso necessario un cerimoniale religioso, intrapresero attività commerciali, entrando progressivamente in contatto con i signori e con i sovrani delle nascenti monarchie nazionali, dei quali divennero consiglieri fidati e spesso strumenti per la riscossione dei tributi. Da qui lo stereotipo dell’”avido ebreo”.
Gli ebrei, poi, soffocati dalle antiche restrizioni economiche, alle quali si aggiunse il divieto di possedere immobili e latifondi e l’impossibilità di entrare nelle corporazioni a causa di vincoli religiosi, furono anche soggetti a confische ed espulsioni effettuate dai sovrani per le pressioni della nascente “borghesia”. Dal XII secolo si specializzarono così nel prestito a interesse, teoricamente proibito ai cristiani: nacque lo storico pregiudizio dell’”ebreo usuraio”.
In questo contesto è importante menzionare il decreto di espulsione emanato da Ferdinando d’Aragona nel 1492, quando fu portata a termine la Reconquista, seguita all’unificazione dinastica della Spagna avvenuta nel 1469. Agli ebrei vennero concessi quattro mesi di tempo per lasciare il paese o per convertirsi. La veridicità di tali conversioni veniva “controllata” dalla famosa Inquisizione spagnola, indipendente da quella romana. Nel 1536, inoltre, Carlo V andò molto al di là delle discriminazioni di origine religiosa ed economica, sancendo ufficialmente il principio della “Limpieza de sangre”, prima importante discriminazione in senso razzista contro gli ebrei. Molti ebrei si diressero in Olanda, nella quale, a partire dal 1581, si instaurò un clima di forte tolleranza religiosa.
Possiamo effettuare qui un importante parallelismo con la situazione di pandemia che stiamo attualmente vivendo, partendo da un episodio della storia di un’altra famosa epidemia: nel 1348 infatti, gli ebrei furono accusati di avvelenare i pozzi e i fiumi durante la peste.
Infine, pur continuando a tener presente lo scopo della nostra indagine, è bene citare un fenomeno di fondamentale importanza per la storia del popolo ebraico: la costruzione dei ghetti, i quali, dopo la Controriforma, cominciarono a sorgere progressivamente in tutta Italia e in tutta Europa, in particolare negli stati tedeschi. Gli ebrei venivano così separati dal resto della popolazione e potevano uscire solo con dei segni di riconoscimento. Il famoso ghetto di Roma fu istituito nel 1555 in seguito alla bolla Cum nimis absurdum di papa Paolo IV.
Il processo di emancipazione degli ebrei: il sorgere dell’antisemitismo moderno
John Locke afferma: “La tolleranza di quelli che hanno opinioni religiose diverse è così consona al Vangelo e alla ragione, che sembra mostruoso che gli uomini siano ciechi in una luce così chiara”(3). Queste parole pronunciate dal filosofo inglese, padre del liberalismo, mostrano lo spirito che cominciò a farsi strada tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento soprattutto tra gli Illuministi, che iniziarono a propugnare gli ideali di uguaglianza dei diritti per tutti gli uomini in quanto tali, inclusi gli ebrei.
Nei nascenti Stati Uniti, gli ebrei furono equiparati in tutto e per tutto agli altri cittadini. Ma l’evento scatenante della prima ondata di emancipazione in Europa fu la Rivoluzione francese, sebbene concessioni fossero state precedentemente fatte da alcuni sovrani illuminati come Giuseppe II d’Asburgo. Con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, fu proclamato il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, con la conseguente fine delle restrizioni applicate alle minoranze. Sulla scia di questo evento epocale e grazie alla fondazione delle Repubbliche giacobine avvenuta tra il 1796 e il 1799, il processo di emancipazione si estese ad altri territori: la Repubblica Cispadana, la Repubblica Napoletana, la Repubblica Romana. Tuttavia, con la fine di queste esperienze rivoluzionarie, le restrizioni furono nuovamente applicate a tutti i territori in questione. Anche Napoleone ricostituì delle discriminazioni economiche e religiose nei confronti degli ebrei.
Ma il peggio di questo primo “colpo di coda” si ebbe con la Restaurazione, iniziata con il Congresso di Vienna. Il pregiudizio antiebraico era infatti ancora diffuso tra gli strati popolari, e si iniziò ad assimilare gli illuministi e le rivoluzioni all’ebraismo: si fece allora strada l’immagine di un complotto rivoluzionario ordito dagli ebrei in tutta Europa, idea che fu anche rielaborata nel secolo successivo e che costituì, in una diversa forma, una delle basi fondanti dell’ideologia nazista.
Tra l’altro, soprattutto in Germania, alcuni cominciarono a sostenere teorie razziste, nelle quali gli ebrei, come altre “razze”, erano considerati inferiori, e i tedeschi, superiori per lingua e cultura, erano chiamati invece a una missione universale; queste idee, sebbene troveranno una formulazione più compiuta e maggior fortuna soltanto verso la seconda metà del secolo, cominciarono a ricreare un forte odio, specialmente nei confronti del popolo ebraico, mescolandosi ai pregiudizi e alle idee, secolari e recenti, che abbiamo già citato.
La seconda emancipazione e il caso dell’impero zarista
Il secondo processo di emancipazione degli ebrei fu un processo “attivo”: gli ebrei parteciparono numerosi alla lotta per la conquista dei propri diritti, nel contesto più ampio di movimenti politici differenti a seconda del luogo, quali quelli per la liberazione dalle potenze straniere, per l’unificazione o per la realizzazione di un sistema democratico.
L’equiparazione degli ebrei agli altri cittadini fu sancita definitivamente in Francia con la caduta dei Borboni e l’instaurazione della monarchia di Luigi Filippo d’Orleans nel 1830, in Belgio con la Costituzione del 1831, in Inghilterra nel 1829. Negli Stati tedeschi e nell’Impero Asburgico (a eccezione delle parentesi rivoluzionarie del 1848) si dovrà attendere la fine del secolo: l’unificazione avvenuta nel 1871 nel primo caso, e il 1867 nel secondo. In Italia gli ebrei presero parte attiva al Risorgimento: il Regno di Sardegna concesse pieni diritti agli ebrei con il decreto del 25 marzo 1848, anche grazie a figure come Cavour e Massimo D’Azeglio. Quest’ultimo scrisse: “Ho trovato, a ragion d’esempio, che sul fatto degli israeliti la civiltà cristiana faceva questo strano sillogismo. La fede cristiana mi ordina di amare senza distinzione tutti gli uomini. Gli ebrei?” (4).
Un caso a parte è costituito invece dall’impero zarista: Nicola I (1825-1855), seguendo le orme del suo predecessore Alessandro I, cercò di attuare una russificazione degli ebrei, costringendoli a rinunciare alle loro usanze e tradizioni. Con Alessandro III, alla fine del secolo, la repressione sfociò in violentissimi pogrom, cioè attacchi con saccheggi e uccisioni effettuati nei quartieri ebraici, che avvenivano con l’assenso del governo. L’antisemitismo assunse qui una nuova forma, similmente a quanto stava accadendo in Germania: gli ebrei, identificati come un corpo estraneo e corruttore per la Russia, erano visti talvolta come coloro che colpevolmente introducevano valori occidentali nell’Impero, e altre volte come capitalisti e sfruttatori.
L’affermazione definitiva dell’antisemitismo moderno
Con la definitiva emancipazione avvenuta ormai in tutta l’Europa centro occidentale, anche le famiglie ebraiche cominciarono a espandere le proprie attività economiche: alcune di esse, ad esempio gli Oppenheimer o i Rothschild (banchieri), raggiunsero addirittura una fama di livello internazionale, grazie al loro successo.
Il substrato di credenze e di stereotipi antisemiti era però ancora forte nell’immaginario collettivo, e, come era accaduto in ogni situazione di cambiamento, anche in questo processo di emancipazione sociale, civile ed economica, era destinato ancora una volta a essere sfruttato dalle élite economiche e politiche: nel primo caso per “eliminare” un pericoloso competitor negli affari, e nel secondo per conquistare il consenso tramite la facile e rapida individuazione di un capro espiatorio.
Dal punto di vista economico così, si diffuse il pregiudizio per il quale se alcune famiglie ebraiche erano ricche e di successo, lo erano di conseguenza tutte le famiglie ebraiche: tutti gli ebrei diventavano così ricchi banchieri, che sfruttavano le popolazioni europee. Questa menzogna traeva spunto dal vecchio stereotipo degli ebrei usurai. Tale credenza, ancora oggi diffusa nell’immaginario collettivo, fu supportata anche da Marx, il quale considerava gli ebrei degli esponenti di primo piano del capitalismo contro cui lottare in nome degli ideali socialisti.
Dal punto di vista politico, invece, il fulcro del nuovo antisemitismo moderno, furono la Germania e la Francia.
In Francia, le difficoltà economiche e sociali determinate anche dalle pesanti indennità di guerra da pagare alla Germania, portarono alla diffusione di un vasto sentimento xenofobo. Tale atmosfera condusse progressivamente a un’identificazione degli ebrei come i responsabili del disagio economico, in particolare da parte del movimento nazionalsocialista guidato da Drumond: un precedente poco noto, ma molto simile a ciò che succederà durante il nazismo tedesco.
Il caso più eclatante fu l’affaire Dreyfus, ufficiale ebreo condannato ingiustamente nel 1894 alla deportazione, a causa di un presunto spionaggio in favore dei tedeschi; nonostante la dimostrazione di una falsificazione delle prove, di cui scrisse anche Emile Zola nel celebre “J’accuse”, inizialmente i giudici non vollero revisionare il processo. Poi, dopo un dibattito pubblico che portò il paese sull’orlo di una crisi, a Dreyfus fu concessa l’amnistia.
In Germania, nel contesto conservatore e xenofobo che abbiamo precedentemente citato, si inserirono nuove opere razziste, per le quali il popolo tedesco era superiore in base alla sua lingua, alla sua cultura e al suo sangue, e per questa superiorità doveva adempiere ad una missione universale.
Di vasto successo fu “Il saggio sull’ineguaglianza delle razze umane” scritto nel 1855 da De Gobineau: egli teorizzava l’esistenza di diverse razze, e soprattutto il fatto che la mescolanza della razza bianca con altre inferiori aveva determinato la decadenza dell’umanità.
Queste sue teorie trovarono un terreno fertile nella destra tedesca, la quale aveva già fatto proprie le teorie che distinguevano le “razze” in base alla presunta origine della loro lingua: secondo tali formulazioni, la lingua tedesca, insieme ad altre lingue occidentali, trae origine dal sanscrito e quindi è di conseguenza armoniosa, al contrario di altre. La perfezione della lingua veniva poi identificata con la superiorità del proprio popolo, in questo caso quello ariano, opposto a quelli inferiori come gli ebrei e gli arabi.
Un’altra opera importante, che ebbe una risonanza ancora maggiore, fu “I fondamenti del XIX secolo” del 1899, di Chamberlain, per il quale il popolo germanico era l’ultima stirpe della razza ariana, che avrebbe dovuto affermare il suo dominio nel mondo a discapito di razze inferiori quale quella dei semiti. Quest’opera fu una base fondamentale del razzismo nazista.
In conclusione, risultano dunque chiare alcune parole scritte da Anna Foa, che riassume perfettamente il passaggio dall’antigiudaismo teologico all’antisemitismo moderno: “Con la crisi dell’identità religiosa cristiana della società, la forte significanza simbolica dell’ebreo, quale era stata costruita dal cristianesimo, si era come alleggerita dalle sue pesanti incrostazioni religiose. Come poteva l’ebreo, il mitico ebreo che era stato lo specchio rovesciato del cristianesimo, rispecchiare ora quel mondo secolarizzato che si era trasformato intorno a lui? Ma alle radici stesse della sua liberazione dal peso del simbolo stavano, come si è visto, le ragioni di una nuova costruzione simbolica, di un processo di trasferimento di nuovi significati dentro il simbolo antico. (…)
Come prima, pur se in modo diverso, l’ebreo finiva per riflettere le ansie e le paure del mondo circostante. Così, il nuovo stereotipo trasformava, laicizzava e sostituiva quello religioso, per trarre poi in età positivista alimento dalle nuove teorie razziste, fino a fornire in tempi a noi più vicini, (…) il clima culturale necessario all’antisemitismo nazista” (5).
Marcello Salvagno per Policlic.it
Fonti bibliografiche
- Sito ufficiale della Comunità Ebraica di Milano
- Franca Tagliacozzo, Bice Migliau, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, La Nuova Italia, 1993
- John Locke, Lettera sulla tolleranza, 1689
- Massimo d’Azeglio, Sull’emancipazione civile degli Isrealiti, 1848
- Foa, Ebrei in Europa dalla peste nera all’emancipazione XIV-XVIII secolo, Bari, 1992