Matteo Manunta è consigliere della Città Metropolitana di Roma dal 2016, con delega all’ambiente, polizia locale, protezione civile e tutela del territorio, nonché membro del direttivo Giovani Lazio dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani). Dal 2014 è consigliere comunale di Civitavecchia con delega alle politiche giovanili.
Matteo, sulla tutela ambientale a livello locale, in particolare sulla sensibilizzazione della cittadinanza, su quali fronti state lavorando? Ci puoi dire qualcosa in merito ai parchi e alle aree verdi della Città Metropolitana di Roma?
In seguito alla riforma Delrio, noi della città metropolitana abbiamo delle competenze residuali in materia di tutela ambientale. Ci occupiamo dei rifiuti rientrando nel piano di gestione regionale. Poi interveniamo con dei contributi per i comuni, per quanto riguarda la raccolta porta a porta e l’implementazione della raccolta differenziata.
Abbiamo già fatto negli anni un ottimo lavoro. La parte di raccolta porta a porta per i comuni è quasi conclusa e tutti l’hanno sostituita a quella stradale. Dobbiamo ora passare alla fase successiva, predisponendo l’impiantistica adeguata, con impianti di compostaggio aerobico e isole ecologiche, che sono molto richieste, e soprattutto aiutando i comuni che sono partiti con il porta a porta a implementarlo con la tariffazione puntuale.
Poi c’è la parte della gestione delle riserve e dei monumenti naturali. Attualmente gestiamo sei aree protette, abbiamo fatto degli investimenti importanti per quanto riguarda la manutenzione. Ovviamente, ci sono le difficoltà che tutto l’ente attraversa a livello economico e di personale e quindi è difficile fare una dislocazione equa all’interno dei vari monumenti naturali.
Più che singole aree, noi gestiamo un sistema di aree protette, ognuna con la propria caratteristica. Ad esempio, l’area di Torre Flavia sta al confine tra Ladispoli e Cerveteri. In questo ambito il ruolo della città metropolitana è facile, perché essendo l’ente più prossimo al comune riesce a fare al meglio il lavoro di coordinamento. Può succedere, però, che ci siano delle diversità di visione tra i vari comuni coinvolti.
Poi c’è il Nomentum. All’inaugurazione dello scorso anno della Welcome Area ho notato una certa curiosità da parte dei cittadini di Monterotondo e Fonte Nuova, che si affacciavano nell’area.
Oltre a occuparci della gestione, stiamo cercando di coinvolgere attivamente la cittadinanza, anche con progetti di alternanza scuola-lavoro all’interno delle riserve, in modo da far capire che per quanto la gestione sia nostra, è bello e funzionale affiancare anche dei comitati.
Rischiavamo, gestendola solo noi come città metropolitana, di fare solo la gestione ordinaria e quindi la manutenzione degli spazi, delle recinzioni, le singole calendarizzazioni degli incontri. Abbiamo invece istituito un comitato istituzionale presieduto da me, dove sono presenti i sindaci e una consulta di attori sociali dove ci sono le associazioni.
Lo scorso gennaio è stato approvato un ODG molto importante, sul rispetto dei principi di autosufficienza e prossimità relativamente alla gestione dei rifiuti. Come va la sinergia e la collaborazione con il Comune di Roma? Nell’ODG si parla anche di superamento, nel medio-lungo periodo, del metodo di smaltimento in discarica. Quali prospettive e quali progressi sono stati fatti in merito?
Il problema principale dell’ente è che, per come è costruito attualmente, è ancora troppo “roma-centrico”. È chiaro che, avendo un sindaco che è anche il sindaco di Roma, si rischia effettivamente di arrivare al conflitto di interessi, in alcune situazioni. Il peso di Roma nella città metropolitana è ancora troppo grande e può succedere che gli altri comuni vengano schiacciati.
Io credo che su una questione importante come quella dei rifiuti ognuno debba avere una gestione autonoma. Avevo proposto la divisione in zone omogenee, per permettere a ogni singolo territorio di fare un’impiantistica tale da poter gestire i rifiuti all’interno della propria zona, senza dover necessariamente coinvolgere zone limitrofe che magari hanno già una discarica. Evitando quello che io chiamo il “pendolarismo dei rifiuti”. È chiaro che in questa ottica il Comune di Roma deve fare la sua parte, se vogliamo arrivare a una sorta di suddivisione del territorio.
Ancora dipendiamo troppo da Roma come organizzazione. Comunque, la provincia può avere dei buoni rapporti col Comune di Roma tornando all’elezione diretta del sindaco metropolitano.
Un obiettivo ambizioso…
Molto ambizioso.
Sempre più spesso il nostro territorio subisce le conseguenze di fenomeni atmosferici improvvisi, come allagamenti, smottamenti, frane. Come si sta muovendo l’amministrazione metropolitana per garantire una gestione efficace delle prossime emergenze?
Questa questione attiene molto spesso più alla regione. Io ho anche la delega alla protezione civile. Adesso, col nuovo codice di protezione civile, la città metropolitana non ha più una parte operativa. Ora ci occupiamo della prevenzione degli eventi calamitosi, che vuol dire tutto e non vuol dire niente. È difficile fare una prevenzione. Comunque, una piccola fase operativa ce l’abbiamo.
Ci stiamo dando una sorta di coordinamento affinché ci sia una organizzazione interna, attraverso la struttura operativa della polizia locale, in modo tale da poter intervenire sulle situazioni effettivamente critiche. Che però noi limitiamo soprattutto all’edilizia scolastica, quindi alle scuole superiori che sono di nostra competenza, e alla parte della viabilità stradale. Se poi accade qualcosa nei parchi di nostra competenza, interveniamo, ovviamente.
A livello nazionale abbiamo assistito, in questi ultimi giorni, alla polemica legata al voto sulla piattaforma Rousseau sulla tutela dell’interesse dello Stato da parte del ministro Matteo Salvini nella gestione del “caso Diciotti”. Ovviamente non ti chiediamo se hai votato, tanto meno come, però ci interessa sapere il pensiero di un militante del Movimento 5 Stelle in merito a un argomento che ha infuocato il dibattito politico.
Non ho problemi a dirti che ho votato “no“. Penso comunque che sia stato importante richiedere una partecipazione agli iscritti, anche se effettivamente è stata una richiesta un po’ particolare, perché andava a riguardare qualcosa che per noi era già un “abc”. È stato come fare un passo indietro. Chiaramente, però, in questi anni delle cose sono cambiate ed è anche giusto che gli iscritti si prendano una sorta di responsabilità nell’azione politica di una forza di governo. È chiaro, è stata difficile da digerire la richiesta di un voto su una cosa che sapevamo fosse un nostro cardine. È stata fatta questa scelta; io ho sempre ritenuto [giusto] che la maggioranza vinca e che, a meno di situazioni eclatanti, ci si debba allineare.
I voti non erano troppo pochi per poter decidere su una questione nazionale?
Non è piaciuto molto come è stato posto il quesito.
Alcuni senatori del Movimento hanno detto che non seguiranno le indicazioni del voto sulla piattaforma. Da questo punto di vista, si tornerà a parlare di espulsioni?
Io penso che qualsiasi eletto nel Movimento 5 stelle sappia che il rapporto che noi abbiamo con la politica è diverso. Si accettano anche precedentemente situazioni di questo genere. È chiaro che il caso specifico io non lo condivido; però, come ho detto, si sapeva già precedentemente a cosa si andava incontro.
A seguito del voto in Sardegna, Di Maio ha detto che bisogna subito procedere a una riorganizzazione all’interno.
Penso che sia doverosa. Soprattutto perché sulle tematiche nazionali andiamo forti, ma quando c’è da avvicinarsi ai cittadini nei comuni e nelle regioni facciamo fatica. Penso sia necessaria, altrimenti si rischia un’implosione. C’è questo scollamento tra livello locale e livello nazionale.
Il vicepremier ha anche sbottato recentemente, dicendo che se non si è preparati non ci si deve candidare.
Io ritengo che ogni gruppo faccia esperienza cimentandosi, quindi non lo condivido. L’ho visto con l’esperienza fatta a Civitavecchia, quando nel 2012 ci siamo presentati la prima volta, con una lista fatta al volo. Ed era una scommessa. Poi dopo due anni è caduta l’amministrazione, ci siamo presentati e abbiamo vinto; ma se non avessimo fatto quella lista due anni prima, probabilmente non saremmo riusciti a creare un gruppo affiatato.
Sulla piattaforma Rousseau ci sono stati degli interventi del garante della privacy, in passato. Tra l’altro, lo stesso garante ha detto che ci sono state delle migliorie dal punto di vista della tutela dei dati personali, ma ci sono ancora delle criticità. Un militante come te, che ha i suoi dati sulla piattaforma, si sente sicuro sulla tutela della sua privacy? Pensi che si stia lavorando nella direzione giusta?
Io credo che la piattaforma Rousseau sia una delle prime esperienze di democrazia diretta. Di conseguenza va anche implementata, da un certo punto di vista. Siamo, in un certo senso, in una fase 1.0. Chi si iscrive sa che su alcune questioni dobbiamo ancora lavorare e penso che comunque si stia lavorando in questo ambito.
Pensi quindi che ci sia una certa consapevolezza da parte dell’iscritto?
Assolutamente. È su base volontaria. Sulle norme tecniche non saprei dirti…
Possiamo definirlo uno strumento di “avanguardia democratica”?
Ha delle potenzialità. Attualmente non è così, perché abbiamo visto che ha dei numeri ancora esigui, ma ha delle potenzialità per diventare uno strumento importante.
Relativamente alla strategia di comunicazione, come vi muovete? I meetup e le dirette streaming, che erano “cavalli di battaglia” del Movimento, sono ancora importanti o hanno perso il ruolo che ricoprivano in origine?
Sull’organizzazione comunicativa mi allaccio a quello che dicevo prima. Secondo me, abbiamo bisogno di un’organizzazione proprio per evitare uno scollamento tra la fase territoriale e quella nazionale. A livello nazionale ci muoviamo molto bene da questo punto di vista, ma facciamo fatica su base territoriale perché ogni gruppo ha una sua organizzazione – non c’è un coordinamento. Ci vuole un coordinamento per le piccole realtà. Nella maniera in cui ci siamo organizzati finora, si rischia di uscire in modo eterogeneo.
Ogni realtà, ogni meetup gestisce la propria comunicazione a sé, non c’è un coordinamento. Ad esempio sui rifiuti, negli altri partiti esce il consigliere della città metropolitana, a cascata esce il consigliere comunale del comune coinvolto e poi riprendono da sopra i parlamentari. Nel nostro caso, invece, spesso mi ritrovo da solo e devo chiamare i miei colleghi portavoce. Quindi su questo dobbiamo lavorare.
Si è fatta molta campagna elettorale sulla TAV e sulla TAP. Una volta arrivati al governo, però, si è ritrattato quasi tutto. Sull’ambiente il Movimento ha fallito?
Forse dire che ha fallito è un po’ esagerato. Io dico che spesso, quando si è all’opposizione, non si ha neanche contezza di quello che è l’iter amministrativo, quindi si rischia anche di fare affermazioni che poi all’atto pratico, quando vai a governare, non riesci a concretizzare. Purtroppo è un po’ una fase che si deve passare quando dall’opposizione si va al governo. All’opposizione pensi che sia tutto fattibile. Sul caso specifico della TAP, non conosco bene l’iter legislativo, quindi non so se effettivamente poteva essere fermata; così come non posso dirlo sulla TAV, perché non conosco le carte.
Dura cinque anni il governo?
Lo spero, perché con tutti i contrasti che [il M5S] ha con la Lega… Peraltro, non ho problemi a dire che a me la Lega non piace molto. Secondo me, l’Italia ha bisogno sempre di un governo che duri cinque anni.
Per quanto riguarda il discorso del doppio mandato, al momento è una regola che vale anche a livello locale? Potrai ricandidarti?
Io personalmente potrò ricandidarmi perché sono al primo [mandato]. A maggio ci saranno le elezioni comunali a Civitavecchia e mi ripresenterò. Però, da quello che ho capito, nella nuova fase organizzativa vogliono cercare di dividere l’ambito nazionale da quello locale per quanto riguarda questo aspetto. Effettivamente, non si può equiparare un consigliere comunale a un parlamentare, il carico di lavoro è completamente diverso. Un consigliere va a interfacciarsi direttamente con il cittadino e quindi ha bisogno di un contatto diretto; e poi il consigliere comunale lo fa più per passione, perché ha un impiego al di fuori della politica.
William De Carlo e Federico Paolini per Policlic.it