La legge del contrappasso: effetto Brexit

La legge del contrappasso: effetto Brexit

Quella che per il popolo britannico, attraverso la Brexit, doveva rappresentare un atto di forza e di massima espressione popolare si è tramutato in una difficile e complessa contingenza politica. Il Royal Assent (beneplacito concesso dal sovrano ad un bill), infatti, ha dato avvio, oltre all’iter che eliminerà il vessillo Britannico dalla bandiera europea, al reiterato revanscismo scozzese. Per la componente nazionalista, che ricordiamo essere la maggioranza in Scozia, appare possibile, ora, esorcizzare lo spettro della disfatta ottenuta in quel 18 settembre del 2014, ottenendo una nuova consultazione e sfruttando quello che già il giorno dopo del referendum Britannico veniva considerato un grave errore politico: l’isolazionismo.

A fare la voce dura, a sottolineare come le circostanze siano del tutto differenti a seguito dell’inizio dei lavori che accompagneranno la G.B. fuori da Bruxelles, ci ha pensato la Leader del Partito Nazionalista, nonché primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon. La Brexit, oltre a mettere in evidenza il gap politico tra le diverse generazioni ha sottolineato, quindi, la diversa idea di Europa presente in ognuna delle “regioni” che compongono il Regno Unito. L’europeismo imperante in questa regione ribelle spinge, infatti, il governo, a voler rivedere i termini per il superamento della stringente Devolution e per l’ottenimento della tanto agognata sovranità integrale.

 Per dare avvio alla scissione nella scissione bisognerebbe superare diversi step di natura procedurale che si stagliano imperiosi sul cammino dell’irredente Scozia. Il primo impedimento, però, è di carattere meramente sentimentale. Si sottolinea, infatti, l’austero atteggiamento del premier Britannico, Theresa May, nel ricordare al vicino governo scozzese l’impegno assunto di votare per l’indipendenza “una volta in una generazione”. Lo step successivo, decisamente più arduo, è rappresentato dalla procedura di natura giuridica. Secondo la legislazione britannica, infatti, il ricorso al referendum deve vedere due consultazioni distinte: la prima interna al parlamento scozzese, dove la first minister dovrà avviare un dialogo con tutte le forze politiche utile a ottenere una maggioranza tramutabile in consenso; la seconda, decisamente più frastagliata e apparentemente inattuabile, si terrà nella ostile sala di palazzo di Westminster che ospita il Parlamento Nazionale. Parlamento, quest’ultimo, che ha abbandonato ogni colore politico in favore dell’unità democraticamente legittimata nel 2014.

Le motivazioni sulle quali si fonda la convinzione di poter ricorrere a un ulteriore referendum si possono trovare nel manifesto dello “Scottish National Party” che, approvato dal congresso lo scorso anno, prevede il ricorso al referendum in caso di significativo o materiale cambiamento nella posizione costituzionale della Scozia all’interno del Regno Unito. A rafforzare la già palese intenzione del governo scozzese sono le parole del Premier Strungeon: “vogliamo tenere il referendum in un momento in cui sia già nota la sostanza dell’accordo sull’uscita di Londra, ma prima che sia troppo tardi”. Le speranze della compagine governativa scozzese si concretizzano, così, nella speranza che Londra comprenda la differente situazione politica al tempo del primo referendum, e che tenga in considerazione l’impossibilità, per i cittadini scozzesi, di poter decidere del futuro della Scozia senza poter valutare l’uscita dall’unione Europea.

D’altro canto, Londra, rivendica la legittimità del voto del 2014 e spiega che questa concessione getterebbe in uno stato di crisi economica l’intera Gran Bretagna, sconvolgendo i mercati e indebolendo il potere contrattuale dell’intera Nazione. La strategia Londinese è quindi quella di postdatare la discussione a emancipazione dall’U.E. avvenuta , in modo tale da poter gestire una crisi alla volta.

La Premier scozzese tira dritta per la sua strada e rilascia la data per il prossimo referendum che, ipoteticamente, dovrebbe tenersi tra l’autunno del 2018 e la primavera del 2019, date che anticipano la fine del processo di uscita dall’intera Gran Bretagna dall’Unione Europea.

È da sottolineare come quello scozzese possa essere solo il primo dei grandi avvenimenti deleteri per la gran Bretagna nel post Brexit. Da qualche ora, infatti, anche l’Irlanda del nord torna a far sentire il suo Europeismo sventolando le percentuali interne che evidenziavano la voglia di rimanere a far parte dell’U.E.

Come si diceva in apertura, la Brexit ha dato il via a una divisione ben più importante di quella dall’unione Europea, una divisione in grado di mettere in discussione migliaia di anni di storia e un’unità molto spesso conquistata con il sangue.

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