Policlic n.15
Origini delle ADR
Quasi a fare da contraltare al paradigma alternativo della giustizia penale[1], anche in ambito civile “qualcosa si muove”. Difatti, è del 21 settembre 2021 la notizia dell’approvazione da parte del Senato dell’emendamento interamente sostitutivo del disegno di legge delega n. 1662, contenente la delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie[2].In realtà, già da tempo si discorre di riforma del processo civile e di lunghezza dei processi italiani: in merito a quest’ultimo punto, i dati recentemente divulgati dalla Commissione europea per l’efficacia della giustizia (la CEPEJ, istituita in seno al Consiglio d’Europa) hanno confermato la criticità delle condizioni in cui versa il nostro sistema: nel contesto di quarantacinque Paesi europei, l’Italia resta il fanalino di coda in relazione alla durata dei processi civili[3].
Come se non bastasse, in data 28 luglio 1999 la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso quattro sentenze di condanna[4]dello Stato italiano per la lentezza dei processi civili celebrati davanti ai giudici italiani[5]. All’interno della sentenza si legge che “la Corte tiene a riaffermare l’importanza del principio che la giustizia non sia amministrata con dei ritardi che ne possano compromettere l’efficacia e la credibilità […] e che la lentezza eccessiva della giustizia rappresenta un pericolo importante, segnatamente per lo Stato di diritto”.
Queste voci confluiscono in un coro che si leva all’unisono e invoca il bisogno di garantire tempi più brevi a tutti e soluzioni più efficaci in termini di giustizia; una delle possibili soluzioni risulta essere l’impiego delle ADR, in cui – come si avrà modo di spiegare più avanti – rientra la mediazione, disciplinata dal D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
L’universo ADR
Attenendosi ad una definizione manualistica, quando si parla di risoluzione alternativa delle controversie o, più correttamente, di strumenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie, si intendono tutti quegli istituti attraverso i quali si può raggiungere un risultato analogo a quello del processo di cognizione e, quindi, produrre un effetto simile a quello della sentenza[6]. La sigla ADR, che sta per alternative dispute resolution (risoluzione alternativa delle controversie), ingloba tutte quelle procedure atte alla risoluzione delle controversie tra due o più parti facendo leva non sulle questioni di diritto, bensì orientandosi sugli interessi di cui queste sono portatrici[7].
L’universo ADR ingloba tre modalità per giungere al soddisfacimento degli interessi delle parti: la mediazione, l’arbitrato[8], la negoziazione[9]. Le suddette macrocategorie accolgono al loro interno diverse sfaccettature di queste modalità, ciascuna fatta su misura per l’area di riferimento che andrà a interessare. Ne è un esempio la c.d.family law[10](mediazione familiare), nata in Georgia nel 1974 dall’avvocato e psicologo statunitense James Coogler. Già la formazione professionale del creatore della pratica mette in luce i punti focali della mediazione familiare,ovvero il – quasi – annientamento della carica conflittuale[11]del processo tout court. Tuttavia, sia la mediazione familiare che il restante mondo ADR sbarcheranno in Italia qualche tempo dopo, e anche a fatica.
La degiurisdizionalizzazione tra l’Italia e l’Europa
L’Italia, avendo già a carico uno stato di salute precario del sistema giudiziario, si è dovuta dotare, nell’ultimo decennio, di un apparato “suppletivo” di risoluzione delle controversie. Come si può leggere nell’intitolazione del testo coordinato del d.l. 12 settembre 2014 n. 132, si tratta di “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”. La degiurisdizionalizzazione è proprio la ratio sottostante all’introduzione, nel nostro ordinamento, delle procedure di ADR.
Il neologismo “degiurisdizionalizzazione”[12] incarna sia la conseguenza che il fondamento dei metodi di risoluzione non giurisdizionale delle controversie. In gergo comune, il termine degiurisdizionalizzazione significa“togliere qualcosa” alla giurisdizione; in altre parole, si tratta di togliere qualcosa ai giudici ordinari e affidare quel qualcosa ad altri soggetti, i quali non sono giudici ma possono essere egualmente in grado di decidere riguardo una controversia, o comunque risolverla[13]. Era proprio questa l’intenzione del legislatore al momento dell’introduzione della norma.
Tuttavia, sebbene sia encomiabile l’aver voluto trovare un rimedio alla questione italiana dei “processi lumaca”[14], di fatto si è verificato un errore di prospettiva[15]nell’accogliere le procedure di ADR all’interno del nostro ordinamento. Difatti, tali procedure assicurano una deflazione del carico giurisdizionale, ma questa non è l’unica funzione, o meglio non è questa la ratio sottesa alla loro creazione, la quale va rinvenuta nel buon funzionamento della giurisdizione: è (o dovrebbe) essere questo lo scopo della degiurisdizionalizzazione di alcuni rami del rito civile.
Invece, di diverso e, forse, più corretto avviso appare la direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, nella quale – dal considerando n. 3 – si evince chiaramente che le conclusioni adottate dal Consiglio sono prodromiche a semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia. Ancora, al considerando n. 6 leggiamo che “la mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera”. Visti i considerando sopra detti in combinato disposto con l’intero testo della direttiva comunitaria, quindi, appare chiara la divergenza di vedute rispetto alla lettera della legislazione speciale italiana.
Dunque, ricapitolando, da una parte abbiamo la prospettiva italiana che vede nella mediazione uno strumento per diminuire la durata dei processi, e dall’altra abbiamo il punto di vista del legislatore comunitario il quale, invece, propugna il principio del buon funzionamento del sistema giudiziario.
La mediazione come scorciatoia
Dopo una serie di interventi normativi[16], la mediazione è stata interamente disciplinata dal D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
La mediazione rientra nell’alveo degli strumenti autonomi di composizione del conflitto, caratterizzati dal fatto che la determinazione dell’accordo avviene sulla base di una valutazione dell’idoneità dello stesso a soddisfare i bisogni e gli interessi delle parti, e non in termini di giustizia. Si può quindi affermare che il procedimento di mediazione è improntato alla ricerca della convenienza.
Fin dal primo articolo del sopraddetto decreto legislativo si intuisce il tenore di tutta la disciplina della mediazione, quando si appresta ad elencare le definizioni del linguaggio tecnico che da quel momento in poi sarebbero dovute divenire il “pane quotidiano” di ciascun agente del diritto. Difatti, viene cristallizzata la definizione di mediazione, viene descritto il ruolo del mediatore e menzionata la conciliazione, gli organismi di mediazione e il verbale. Troviamo, poi, al capo III, la disciplina degli organismi di mediazione, ossia quegli organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione. Essi debbono iscriversi nell’apposito registro, istituito con decreto del ministro della Giustizia, depositando in allegato alla domanda il proprio regolamento di procedura e il codice etico al quale intende riferirsi nell’espletamento delle sue funzioni.
Il decreto legislativo del 2010 è molto stringente in tema di riservatezza, prevedendo, all’articolo 9, un meccanismo per cui “chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo”[17]. Una delle peculiarità della mediazione è, poi, il suo alternarsi di sessioni congiunte e sessioni separate (dette anche caucus): le sessioni congiunte si svolgono in presenza del mediatore, delle parti e, se presenti, dei rispettivi legali; le sessioni separate, che possono essere avviate su richiesta delle parti, dei legali o del mediatore stesso resosi conto che si è giunti ad una stasi, si svolgono esclusivamente in presenza del mediatore con una sola delle parti e/o con il suo legale. A tal proposito, tenendo ben presente che chiunque partecipi al procedimento di mediazione è vincolato dall’obbligo di riservatezza, tutto ciò che viene riferito nella sessione separata deve essere taciuto dal mediatore, a meno che non sia la parte stessa a darne espressamente il consenso. Oltre alla funzione cognitivo-strumentale delle sessioni separate, queste ultime sono utili a smorzare l’ostilità delle parti sedute al tavolo della mediazione.
Il mediatore: confessore e confidente delle parti
La procedura di mediazione è governata dal mediatore. Di norma,egli si presenta come una figura che si trova sia al centro della scena che dietro le quinte. Il compito del mediatore non è né quello di un giudice né quello di un arbitro, e non deve emettere sentenze né tantomeno condannare le parti; il suo ruolo consiste nell’ascoltare le parti, metterle a proprio agio, e infine accompagnarle verso una soluzione – quanto più – vantaggiosa per entrambe.
A tal proposito, si parla di composizione del conflitto a somma positiva. Sul punto, il professor Francesco Paolo Luiso adduce l’esempio di una lite tra due ragazzine che si contendono un’arancia innanzi al padre: il padre, per placare gli animi, sente l’esigenza di ascoltare entrambe le figlie al fine di comprendere quale sia la res litigiosa.La prima figlia confessa che in realtà non pretende l’intero frutto,bensì solo la buccia che le serve per ottenerne delle scorze candite; l’altra figlia, per contro, riferisce al padre – in una sessione separata – che ciò che si premura di ottenere non è nient’altro che il succo dell’arancia. Una volta assunte queste informazioni, il padre invita le figlie a discutere della questione e ad esprimere i loro reali interessi sottesi alla lite; in questo modo, entrambe le ragazze sono soddisfatte: tutte e due ottengono ciò che desiderano perché sono state ascoltate ed è stata trovata una soluzione su misura[18]. Così come il padre ha agito con le figlie, allo stesso modo il mediatore interloquisce con le parti e con i rispettivi legali (v. infra).
All’inizio di ogni incontro, il mediatore chiarisce alle parti il ruolo che ricopre e le funzioni che gli competono. È indispensabile che egli sia un soggetto indipendente e imparziale rispetto ai contendenti e rispetto al caso concreto; è per questo motivo che si presenta come un “confessore”: è il primo mattone che pone alla base della costruzione di un ponte tra la sua figura, le parti e i rispettivi avvocati, qualora presenti[19].
Ulteriore compito del mediatore è la formulazione di una proposta di conciliazione, nel caso in cui le parti non addivengano spontaneamente a un accordo. Tuttavia, la proposta non è vincolante e i contendenti possono scegliere di proseguire il giudizio ma, qualora questo si concluda con una sentenza dal contenuto corrispondente a quello della proposta, la parte che ha rifiutato di aderirvi verrà condannata al pagamento delle spese processuali[20]. La norma è, con tutta evidenza, tesa a incentivare la definizione stragiudiziale delle controversie.
Il ruolo del difensore nel procedimento di mediazione
Il ruolo degli avvocati nella disciplina della mediazione è mutato nel tempo. Inizialmente, questi ultimi non venivano coinvolti all’interno della procedura di mediazione e, dunque,vi era una certa tendenza a sminuirla – fino a bypassarla – apprestandosi a procedere nelle aule stracolme dei tribunali.
Le motivazioni addotte dagli avvocati per giustificare un tale astio erano molteplici: dalla diffidenza nei confronti di un terzo non ricoprente la carica di magistrato, passando per la sfiducia nell’effettivo potenziale del dialogo tra le parti, fino ai motivi economici. In seguito, si è cercato di trascinare maggiormente la classe forense all’interno della mediazione ed è così che si è ottenuto il d.l. 21 giugno 2013 n. 69, il quale ha modificato il decreto legislativo n. 28 del 2010 che, originariamente, non stabiliva che al procedimento di mediazione potessero partecipare le parti con l’assistenza degli avvocati. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni della riforma del 2013, il risultato precettivo ottenuto dalla stessa si presenta ambiguo[21], poiché non si riesce a comprendere se l’assistenza degli avvocati sia indicata come perentoria o possa essere intesa come eventuale. Ad esempio, in merito all’efficacia esecutiva dell’accordo di mediazione, il D.lgs. fa riferimento all’eventualità in cui le parti partecipino al procedimento senza la presenza del legale, e specifica che in questi casi l’accordo acquisirà portata esecutiva solo a seguito di un controllo formale da parte del Presidente del tribunale[22]. Risulta chiara l’incongruenza rispetto ai diversi punti della normativa in cui sembra essere prevista come obbligatoria la presenza dell’avvocato. Si deduce quindi che l’assistenza degli avvocati rappresenta un’eventualità per le parti in mediazione.
La mediazione obbligatoria
La mediazione non è sempre una scelta delle parti e, talvolta,risulta obbligatorio ricorrervi e appare chiaro che le ipotesi di mediazione obbligatoria – forse anche maggiormente rispetto a quelle di mediazione volontaria – trovino il loro humus ideale nella deflazione del carico giurisdizionale.L’obbligo può provenire da più fronti: può essere previsto dalla legge (rectius obbligatorietà ex lege), disposto da un provvedimento del giudice nel corso di un processo (c.d. obbligatorietà ope iudicis), o previsto in un accordo negoziale tra due privati (c.d. clausola di mediazione). Quando la mediazione è prevista come obbligatoria, si dice che questa costituisce una condizione di procedibilità per la proposizione della domanda giudiziale[23], vale a dire che essa rappresenta un adempimento necessario per avere accesso alla tutela innanzi al giudice ordinario. Inoltre, la mediazione obbligatoria è da ricondurre alla categoria della giurisdizione condizionata, su cui si pronunciò la Corte costituzionale con sentenza 6 dicembre 2012 n. 272, la quale portò alla modifica del D.lgs. L’obbligatorietà ex lege viene trattata dall’art. 5 del D.lgs. che disciplina la mediazione, il quale si premura di catalogare tutte le ipotesi in cui sussiste l’obbligo di esperire preventivamente un tentativo di mediazione prima di “recarsi dal giudice”. Le ipotesi di cui si discorre sono: condominio, diritti reali[24], divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità e contratti assicurativi[25], bancari e finanziari. In questi casi, la condizione si considera avverata se il primo incontro tra le parti e il mediatore si conclude senza l’accordo.
Riflessioni conclusive
Giunti all’alba della riforma del processo civile, ci si auspica che lo scopo deflattivo non sia l’unica raison d’etre della mediazione e di tutti i meccanismi di ADR. In questo momento più che mai, con una crisi pandemica quasi alle spalle, vi è la necessità di una modalità snella e celere di risoluzione delle controversie, modalità che, volendo, abbiamo già a portata di mano. La coesione sociale è l’esito tipico della mediazione, la grande sfida del nostro impegno, il presupposto della rinascita anche economica del Paese. La pratica della mediazione potrà essere l’antidoto per disinnescare l’inevitabile esacerbarsi dei conflitti in un tessuto sociale profondamente lacerato[26].
In definitiva, in un contesto in cui la controversia sembra essere un presupposto imprescindibile, la composizione del conflitto secondo le “vie alternative” rappresenta l’antidoto alla questione dei “lunghi processi” e, forse, anche il futuro in fatto di risoluzione delle controversie civili e commerciali.
Roberta Manno per www.policlic.it
Note e cenni bibliografici
[1]G. Traldi, Il volto nuovo della giustizia penale, in “Policlic” n. 14, ottobre 2021.
[2]Sul punto: L. Biarella, Riforma del processo civile, primo via libera del Senato, in “Altalex”, 2021[ultima consultazione: 6 ottobre 2021]; L. Izzo, Riforma processo civile: via libera del Senato, in “Studio Cataldi”, 2021[ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[3]G. Chiarini, I tempi della giustizia civile in Italia, in “NT+Diritto”, 2021 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].Inoltre, sul punto: Un processo civile in Italia dura almeno 514 giorni, in “TRUENUMB3RS”, 2018[ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[4] Corte europea dei Diritti dell’Uomo, casi Bottazzi, A. P., Di Mauro, e Ferrari Contro Italia, sentenze del 28 luglio 1999.
[5]AA. VV., La tutela dei diritti del cittadino davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, in “Temi Romana”, (fascicolo unico n.2/4, 1987), Giuffré, Milano; AA. VV., La tutela dei diritti del cittadino davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, Giuffré, Milano1989; L. M. Bonavolontà, Formulario delle azioni contro lo Stato, Innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Giuffré, 1999.
[6]F. P. Luiso, Diritto processuale civile, vol. V, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, p. 3;S. Giuggioli, Conciliazione in materia di consumo: le procedure ADR di risoluzione alternativa delle controversie, in “Diritto.it”,2019 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021];Cosa si intende con l’espressione Alternative Dispute Resolution – ADR?, in “L&D traduzioni giuridiche”, 2016 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[7] Cfr. S.D. Bontà, Le parti in mediazione: strumenti e tecniche, p. 21.
[8]G. Sari, L’arbitrato: cos’è e come funziona,in “Studio Legale Coppola & Partners”,2019 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[9]G. Spina, Negoziazione assistita, in “Altalex”, 2021 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[10]L. Di Palermo, La mediazione familiare in Italia. Il delicato ruolo del mediatore familiare, in “Diritto.it”,2019 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021]; I. Buzzi e J. Haynes, Introduzione alla mediazione familiare, Giuffrè, 2012.
[11]A. Monoriti e R. Gabellini, NegoziAzione: il manuale dell’interazione umana, Giuffrè Francis Lefebvre, 2018.
[12]D. Cerri, Vedi alla voce: degiurisdizionalizzazione (trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti), in “Judicium”, 2014 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[13]G. Scarselli, Note sulla c.d. degiurisdizionalizzazione, in “Questione Giustizia”, 2015 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[14]Processi lumaca: l’Europa condanna ancora l’Italia, in “La Repubblica”, 2000 [ultima consultazione: 6 ottobre 2021].
[15]F. P. Luiso, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019.
[16]Prima che la mediazionefosse regolata dalla legislazione speciale, essa operava esclusivamente secondo le regole e i principi del diritto comune. Successivamente, intervennero gli articoli 38, 39 e 40 (ora abrogati) del D.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, in materia di controversie societarie. Dopodiché giunse la sopradetta direttiva comunitaria a stigmatizzare la ratio dell’istituto e fare da apripista al D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, ancora oggi vigente, seguito dal d.m. 18 ottobre 2010, n. 180. Nel 2012, la Corte costituzionale ebbe a pronunciarsi su un presunto – e poi accertato – eccesso di delega, specialmente in ambito di mediazione obbligatoria (v. infra) da parte dell’esecutivo rispetto al D.lgs. 28/2010, che venne modificato dal d.l. 21 giugno 2013n. 69, poi convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98.
[17]D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 9.
[18] F.P. Luiso, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, p. 21.
[19] Sul punto: Tribunale di Vasto, ordinanza 9 aprile 2018, n. 701/17, R.G.A.C, “In modo del tutto corretto, il mediatore, nella sua veste di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, ha dapprima invitato la parte riluttante a nominare un avvocato e, a fronte del perdurante rifiuto opposto dalla interessata, ha successivamente dichiarato chiuso il procedimento, prendendo atto della impossibilità di proseguire la mediazione nel rispetto delle condizioni imposte dalla legge”.
[20]Art. 13 D.lgs. 4 marzo 2010: “Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
[21] Secondo un certo orientamento della giurisprudenza, la presenza dei legali delle parti è necessaria, ai fini della validità del procedimento stesso (sul punto v. Tribunale di Torino, sentenza del 30 marzo 2016 n. 1770). A far chiarezza sul punto è intervenuta la circolare interpretativa del 27 novembre 2013 del Ministero della Giustizia, prot. n. 1683229.
[22] Art. 12 D.lgs. 4 marzo 2010: “Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. L’accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del Codice di procedura civile. In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal Presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione”.
[23] Tar Lazio, Roma, 12 2011, N. 3202 (Ord.) – Sez. I – Pres. Giovannini – Rel. Bottiglieri.
[24] Sul punto v. Tribunale ordinario di Roma, V sezione civile, 08 febbraio 2012: “Considerato che in forza dell’art. 2 D. lgs. n. 28/10 l’accesso alla mediazione per la conciliazione è limitato alle controversie vertenti su diritti disponibili, si deve ritenere che solo l’accertamento del possesso ad usucapionem con effetti limitati alle parti può essere demandato all’autonomia negoziale e non anche l’accertamento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes, in quanto simile accertamento rientra, come su detto, nel novero degli atti riservati al giudice”.
[25] Sul punto v. Tribunale Civile e Penale di Verona, Ordinanza 4 aprile 2012, n. 10899/11 R.G.A.C.C. Secondo la pronuncia del tribunale, l’espressione “contratti assicurativi” utilizzata nell’art. 5 D.lgs. n. 28 del 2010, avrebbe un’accezione più ampia rispetto a quella prospettata nel Codice civile e nello stesso codice delle assicurazioni e cioè “contratti di assicurazione”. Dunque, il criterio di riferimento per individuare la tipologia di rapporti riconducibili alla categoria dei contratti assicurativi ex art. 5 D.lgs. n. 28 del 2010 dovrebbe essere quello soggettivo, il quale trova il suo fondamento sulla qualità professionale di impresa di assicurazione del soggetto che ha assunto l’obbligazione di pagamento, a prescindere dalla natura di quest’ultima.
[26]AA. VV., Manifesto della Giustizia Complementare alla Giurisdizione, una Risposta Concreta all’Emergenza Economica e Sociale, Documento degli Esperti membri del Tavolo Ministeriale sulle Procedure stragiudiziali in ambito civile e commerciale, 2020.