Cercavo da tempo il pretesto per poter bacchettare una parte del panorama musicale Italiano. L’opportunità, e lo ringrazio vivamente, mi vien data da Marco Masini che, attraverso la peggior performance musicale di sempre (cover di nothing else matters dei metallica) rende facilissimo un compito che altrimenti avrebbe arrecato non pochi problemi.
È veramente imbarazzante, e tormentoso, ascoltare la canzone per intero. L’insensatezza del testo ti costringe a interrogarti sulla veridicità del momento che si sta vivendo mentre la si ascolta. Non è mia intenzione parafrasare il contenuto del brano – anche perché ritengo sia impossibile – mi limiterò, quindi, ad estrapolare “dall’aulico contesto” alcune chicche degne di nota: l’iguana dei passi tuoi; il tuo inguine di viva orchidea; il tempo si ambigua; il sole riallaga il blu; ecc.
Ora, tralasciando l’inflazionata “e chi se ne frega”, cercherò di analizzare un problema endemico della musica pop/rock made in Italy: la futilità delle cover musicali proposte dai nostri artisti.
Purtroppo, per avvalorare la mia tesi, riporterò esempi che vedono come protagonisti musicisti distintisi, nel tempo, per capacità compositive e profondità di argomenti.
Parto dalla cover “questo vecchio pazzo mondo” presentata da Gino Santercole riprendendo la più nobile “Eve of destruction” di Barry McGuire. Il brano originale è stato l’inno di una intera generazione, un grido di protesta, un NO secco e diretto nei confronti della guerra. Al suo interno possiamo trovare versi impegnati di questo spessore culturale: “you’re old enough to kill but not for voting”; “And marches alone can’t bring integration, when human respect is disintegrating”. Capirete bene, nonostante le buone intenzioni che hanno mosso Santercole, che il confronto non regge. Il significato vuole essere vicino a quello dell’originale, ma finisce per non essere neanche una pallida copia del capolavoro di McGuire.
Proseguo con la spiritosa cover “Mino dove vai?” di Mino Reitano che, riprendendo la celeberrima “basket case” dei Green Day, cerca di rivivere una seconda giovinezza e di mettersi al passo coi tempi che corrono. Il risultato è un disastro di dimensioni bibliche. Da quando ho avuto la sfortuna di ascoltare la cover mi risulta difficile anche solo pensare all’originale.
Che dire di “ad ogni costo” di Vasco? Qui la delusione è cocente. La magia, l’atmosfera e la rabbia – proposte dai mitici Radiohead nell’enigmatica “creep” – vengono sostituite dalla pochezza e dalla banalità degli argomenti trattati dall’artista Italiano. I graffi delle telecaster di Thom Yorke e Jonny Greenwood, che precedono il ritornello, mal si conciliano con un testo meramente mieloso e stereotipato.
A che ora è la fine del mondo? La risposta vien naturale subito dopo aver ascoltato questo famosissimo brano del Liga. Il mondo è già finito. La pretesa di riprendere una delle più belle canzoni del panorama alternative rock (It’s the end of the world dei R.E.M), per farne una canzonetta dal discutibile significato, la dice lunga sullo stato di salute del Globo.
Giungo, infine, ad un brano che pare essere stato rispolverato dal dimenticatoio in cui per fortuna era pervenuto: Senza luce. I Dik Dik, comprendendo di poter lucrare su una melodia superlativamente foggiata dai Procol Harum, son disposti a tutto, anche a sovrapporre alla soave melodia un testo senza senso. La fatale “a whiter shade of pale” diviene quindi “senza luce”. Non potete immaginare lo sconforto e lo sdegno che questa manovra commerciale (perché di altro non si può parlare) hanno causato.
È naturale chiedersi come mai artisti del calibro di Vasco, Liga, Dik Dik e tanti altri in alcuni periodi della carriera decidano di praticare una sorta di “harakiri musicale”. Ho sempre pensato che quando si riprende una canzone altrui, che ha in qualche modo fatto la storia, non si deve avere la pretesa di migliorarla, ma quanto meno di lasciare inalterato il “valore sociologico” della stessa.
Concludo cercando di far notare come queste “trovate” ci allontanino dalla vetta nel “ranking mondiale della musica Rock/pop” riempiendoci di ridicolo e facendoci apparire poco credibili.