L’Italia si avvicina sempre di più alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo previste per il prossimo 26 maggio, e la campagna elettorale è oramai nel pieno della sua attività.
Nel “governo del cambiamento”, i due partiti che compongono l’attuale esecutivo non si sono esimati dal contrapporsi in un’estenuante “botta e risposta” – caratterizzato anche dalle ultime questioni giudiziarie interne alla Lega e al Movimento 5 Stelle che stanno mettendo a dura prova il sodalizio politico. Contemporaneamente, nella coalizione di centro-destra si assiste all’avanzata della Lega e di Fratelli d’Italia come soggetti emergenti dalle ambizioni più o meno definite.
Lo scorso 15 aprile Policlic.it ha avuto la possibilità di intervistare, in esclusiva, il Vice-Presidente della Camera Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia). Figura dalla lunga e appassionata esperienza politica, ha militato fin dalla gioventù nel Movimento Sociale Italiano, passando poi nel 1995 ad Alleanza Nazionale fino al 2012, anno nel quale ha seguito Giorgia Meloni nella nascita e nella crescita di Fratelli d’Italia a livello nazionale.
L’incontro si è rivelato uno stimolante confronto su diversi argomenti, una panoramica a 360° sull’Europa, la politica nazionale e l’attuale amministrazione capitolina, in cui c’è stato spazio anche per alcune riflessioni sull’incarico istituzionale che ricopre.
Presidente Rampelli, La ringraziamo per aver accettato il nostro invito.
Come prima domanda vorrei chiederle, in vista delle incombenti elezioni europee e considerando il recente intervento di Giorgia Meloni al quotidiano La Stampa, nel quale ha dichiarato: “I veri sovranisti siamo noi, loro [la Lega di Matteo Salvini] sono populisti”, quali sono le differenze tra il cosiddetto “populismo” e il cosiddetto “sovranismo”?
Diciamo che per “sovranismo” si intende quel movimento che vuole ricostruire le identità nazionali e resistere a una tendenza alla massificazione, al livellamento e alla cancellazione delle caratteristiche di ciascun popolo e quindi anche di ciascuna cultura, una tendenza divenuta ormai planetaria e che ha investito anche l’Unione Europea.
Noi vorremmo che l’Europa fosse la sintesi tra le culture e le sensibilità dei popoli europei per poter esaltare ciascuna caratteristica dei popoli d’Europa, ma mi pare ormai chiaro che questa capacità l’Europa non l’ha messa in campo, forse perché non ne ha la volontà.
A me piacerebbe una bandiera europea dove le stelle che rappresentano le nazioni non fossero di colore giallo ma potessero rappresentare le bandiere di ciascuna delle nazioni che fanno parte dell’Unione Europea. Questo significherebbe avere rispetto delle patrie, delle culture e delle identità d’Europa non sovrapponendosi con provvedimenti dirigisti, con la burocrazia e l’eurocrazia e, cosa che sarebbe ben peggiore, non facendosi gestire da potentati economici e finanziari al di sopra degli Stati, che non hanno grande interesse a tenere in considerazione i popoli, le famiglie, i lavoratori e le imprese dei singoli Stati nazionali.
Nell’epoca dell’economia globale gli Stati nazionali non possono essere cancellati, quindi è giusto che esista quella struttura sovraordinata attualmente rappresentata dall’Unione Europea, ma gli Stati nazionali hanno un’importanza rilevante che non può essere trascurata come è accaduto fin qui.
Da un punto di vista semantico, Lei parlerebbe di “sovranismo” nell’accezione utilizzata dalle testate giornalistiche, riguardo al partito Fratelli d’Italia?
Non sono mai stato particolarmente affezionato alle definizioni e ai titoli, che solitamente rischiano di cadere nel dogmatismo e nell’ideologia. Di per sé il “sovranismo” intende la primazia dei popoli – sovranità popolare – o la primazia delle Nazioni tramite la sovranità nazionale. Chiamiamolo pure “sovranismo” quello di Fratelli d’Italia, chiamiamolo come vogliamo, ma il concetto di fondo rimane quello che ho illustrato prima: i popoli, in democrazia, devono essere sovrani. Questo significa quindi che non possono essere eterodiretti dalle tecnocrazie o dalla finanza internazionale.
In chiave di alleanze verso l’Europarlamento, lo scorso 6 novembre il Suo partito ha annunciato l’adesione al gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), in controtendenza rispetto alle scelte della Lega di Matteo Salvini (ENF). Ritiene possibile l’ipotesi di un fronte unitario che riunisca i tre gruppi parlamentari europei (ECR, EFFD ed ENF) in un’unica “Internazionale” legata alla sovranità? Oppure considera questa opzione non percorribile?
Noi crediamo molto nella possibilità che questa opzione si concretizzi; riteniamo oltretutto che l’Italia abbia un po’ tracciato la strada sotto questo aspetto. Per questo puntiamo fortemente a una grande alleanza europea, proprio come accadde in Italia nel 1994, tra i sovranisti (o i presunti tali, se ci stiamo riferendo alle formazioni che gravitano attorno alla Lega Nord di Salvini), i conservatori, nei quali si rispecchia il partito Fratelli d’Italia e che sono guidati a livello europeo dalla Polonia e dal Blocco di Visegrad, e infine i popolari, all’interno dei quali ci auguriamo possa prevalere non tanto la linea della Merkel, epifenomeno del connubio tra il mondo popolare e le socialdemocrazie, ma bensì la linea identitaria e “sovranista” riconducibile, nel PPE, al “processato” Viktor Orban.
Un’alleanza di questo tipo potrebbe rappresentare una nuova fase per l’Europa stessa, un’Europa più attenta alle sovranità popolari e nazionali e soprattutto più attenta, aldilà delle formule, ai valori da cui trae origine, i valori di Atene e di Roma che hanno dato vita alla civiltà occidentale, che sono del tutto sconosciuti in questa Europa senz’anima che nei cittadini non suscita alcuna emozione e senso di orgoglio e appartenenza.
Nessun cittadino europeo sarebbe oggi disposto a morire per questa Europa; si deve lavorare molto anche sui [suoi] contenuti.
Passando ora dalle alleanze europee in fieri a quelle già presenti a livello nazionale nella coalizione di centro-destra, che vede coinvolti il partito Fratelli d’Italia e la Lega, quale resoconto può tracciare di questi mesi di “governo giallo-verde”?
Non ritengo si possa tracciare un bilancio positivo di questi mesi di governo penta-leghista: sicuramente la Lega Nord ha fatto qualcosa di buono, soprattutto sulla difesa dei confini – che è una prerogativa nonché un obbligo costituzionale di cui la Magistratura dovrebbe tenere conto e avere memoria, visto che c’è una seconda accusa in corso nei confronti del Ministro degli Interni [per il caso della nave Sea Watch] – e sul contrasto al traffico illegale di uomini, una vera e propria strage di decine di migliaia di persone disperate che si consegnano in mano agli scafisti, dopo un “viaggio della speranza” attraverso il deserto, per essere trasportate clandestinamente in Italia o in Grecia con la speranza di trovare la via della fortuna verso le nazioni più ricche nel Nord Europa o addirittura oltreoceano.
Il governo ha finora attuato al riguardo dei protocolli efficaci per contenere questo fenomeno, che comunque non è affatto sconfitto: non devono essere considerati, infatti, solo gli effetti negativi della questione, usati come alibi del proprio operato nel consenso internazionale; si deve considerare la totalità della questione, totalità nella quale anche l’Italia deve fare la sua parte assieme all’Unione Europea e alla comunità internazionale.
L’Africa è davanti a noi, ed è un interesse strategico primario italiano ancor prima che tedesco, austriaco o scandinavo; quindi, se l’Europa non agisce, l’Italia deve farlo tre volte: attivando relazioni diplomatiche stabili ed efficaci; rilanciando le relazioni commerciali, economiche e finanziare; ed essendo presenti nelle nazioni africane considerandole quasi come fossero altrettante regioni italiane, preoccupandoci quindi anche dello stato di salute e del benessere sociale di queste nazioni tramite i meccanismi della cooperazione internazionale e dello sviluppo. Questo deve portare a garantire l’unico vero diritto primario di un cittadino, che non è quello di emigrare, ma quello di restare a casa propria: se si emigra per libera scelta è un discorso, ma se questo avviene per costrizione, allora significa che qualcosa non funziona.
Ci dobbiamo impegnare, quindi, per garantire il diritto di ogni cittadino africano, e in senso più ampio di ogni cittadino del Terzo Mondo, di poter vivere e crescere nelle proprie società con le proprie famiglie, nel proprio contesto culturale e religioso, senza processi di sradicamento che in quanto tali sono sempre pericolosi.
Ci sono evidenti passi in avanti anche nell’ambito della sicurezza, pur dovendo constatare che si sarebbe potuto e dovuto fare di più; ma quello che non ha funzionato finora riguarda la politica economica del governo, anche per responsabilità della Lega Nord: l’emergenza economica nel nostro Paese riguarda tutti, non è quindi responsabilità unica del Movimento 5 Stelle come viene detto di solito. Non si può fare il furbo stando al governo e giustificandosi sulla mancata attuazione della “tassa piatta”, sul ritardo nell’attivazione dei processi di crescita e di sviluppo o sull’aver subito il devastante “reddito di cittadinanza” del Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo è l’esatto opposto delle teorie economiche ispiratrici del centrodestra, lontane tanto dall’assistenzialismo quanto dal rigorismo nord-europeo, e del programma elettorale sottoscritto dalla coalizione, Salvini incluso. Con il reddito di cittadinanza abbiamo consumato buona parte dei soldi investiti (quasi undici miliardi di euro) per distribuire soldi con politiche assistenziali come se ci trovassimo in una fase espansiva tale per potercelo permettere, ma questo non corrisponde al vero: dobbiamo creare ricchezza per poter distribuire soldi, ma se non c’è ricchezza non può esserci nulla da distribuire.
Tra lo scorso febbraio e gli ultimi giorni ci sono state delle importanti opposizioni leghiste alle proposte FdI tanto sul cosiddetto Global Compact (bloccato dal Suo partito) quanto alle proposte a favore del sostegno alle famiglie. Ritiene che siano state dettate da un “pragmatismo” della Lega nei confronti dell’alleato di coalizione?
Penso proprio di sì, [i due gruppi] sono molto attenti a non tirare troppo la cinghia nel rapporto tra Di Maio e Salvini, perché potrebbe spezzarsi e potrebbe attivarsi una crisi di governo dagli esiti molto negativi, non tanto per il nostro Paese ma proprio per quei due soggetti che compongono e animano il governo.
Temo che, nel caso in cui dovessero fallire questa parentesi di governo con la Lega Nord, il Movimento 5 Stelle avrebbe vita molto breve, con l’ultima speranza di un accordo in extremis con il Partito Democratico dopo averne detto peste e corna per dieci anni. Un fallimento anche in quest’ultima ipotesi farebbe sprofondare il Movimento nello spazio di poche settimane.
Ma a sua volta anche la Lega Nord non intende rompere l’alleanza con il Movimento 5 Stelle perché, mentre in ambito regionale la coalizione di centrodestra è sempre stata unita con risultati più che soddisfacenti, a livello nazionale pare che Matteo Salvini non voglia più avere l’ingombro della presenza di Silvio Berlusconi. Il sodalizio penta-leghista può essere interrotto solo da un rovescio elettorale e in questo momento, nella coalizione di centro-destra, sono Fratelli d’Italia e la Lega Nord a essere le forze in crescita; Forza Italia, invece, si trova avvinghiata in una crisi di funzione in quanto priva di una propria leadership in grado di coinvolgere l’elettorato.
Se i 5 Stelle continuassero nella propria decrescita a fronte di un’avanzata di Fratelli d’Italia e Lega Nord, si potrebbe effettivamente aprire una stagione nuova o si potrebbero indire delle elezioni politiche anticipate, qualora non ci dovessero essere i numeri per una diversa soluzione di governo; o addirittura arrivare all’estromissione del Movimento dal governo stesso e alla nascita di un governo di centro-destra.
Vorrei ricordare a questo riguardo che la coalizione di centro-destra, arrivata prima alle elezioni politiche di dieci mesi fa, non riuscì a formare un governo per pochi numeri; e che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella preferì conferire l’incarico esplorativo alla figura “poco nota” di Giuseppe Conte, che ha formato questo governo stravagante con molti punti di contrasto tra i due partiti che lo sostengono.
Passando adesso alla situazione di Roma, da cittadino romano, come descriverebbe “in una parola” la situazione in cui verte la nostra città nonché Capitale d’Italia?
A me piace essere ottimista, però se lei mi chiede una parola soltanto io le posso solo rispondere: disperazione.
Roma è davvero allo sbando e ha anzitutto un problema di status giuridico: quando c’è stata la riforma costituzionale [nel 2001] è stato scritto, per la prima volta nella Costituzione, che Roma era la Capitale d’Italia; ma lì ci si è fermati.
Tutte le altre capitali europee, invece, sono state e sono ancora sorrette e fortemente sostenute dai rispettivi Stati nazionali, anche a causa delle trasformazioni urbanistiche, delle nuove tecnologie e dei sistemi interconnessi che hanno rilanciato le grandi città, “abbandonate” durante gli anni Ottanta per i prezzi inavvicinabili del mercato immobiliare, con il ritorno dei grandi investimenti nelle grandi capitali europee. Città come Parigi, Londra e Berlino hanno subito delle trasformazioni impressionanti, sorrette da investimenti multimiliardari portati avanti dai rispettivi Stati. Roma, invece, “non è né carne né pesce“, un Comune tra i tanti Comuni con poteri ordinari e non speciali a cui lo Stato non trasferisce risorse adeguate o beni, come quelli culturali.
Per fare un esempio specifico, spesso e volentieri cito il caso del Colosseo, che per Roma non è una risorsa, nonostante sia il suo simbolo e il suo biglietto da visita nel mondo, ma è un costo: gli incassi dei biglietti pagati dai milioni di turisti che lo visitano, stimabili attorno ai cinquanta milioni di euro all’anno, finiscono in parte nelle casse dell’Associazione temporanea d’impresa (ATI) composta dalla cooperativa rossa CoopCulture e da Mondadori Electa – associazione che vinse l’unica gara indetta nel 1997 e che usufruì di successive proroghe illegittime – e in parte al Ministero dei Beni Culturali.
Nel frattempo, la Capitale d’Italia deve provvedere all’erogazione dei servizi: i vigili urbani a Piazza del Colosseo, la manutenzione del verde, dei marciapiedi e delle strade, il trasporto pubblico su gomma e la Metropolitana, i taxi e il servizio della nettezza urbana. Il risultato finale? Roma dal Colosseo non guadagna ma perde decine di milioni di euro all’anno.
Un altro problema molto serio di cui si dovrebbe occupare questo governo – e in particolar modo Salvini se vuole essere credibile quando dice di aver fatto cessare la deriva secessionista della Lega Nord e di averla trasformata in una Lega nazionale, cosa su cui nutro qualche perplessità – riguarda le cosiddette “autonomie differenziate”: Salvini non deve partire dal Veneto o dalla Lombardia ma da Roma, perché Roma è nelle condizioni qui descritte. Condizioni peggiorate ulteriormente dal fatto che queste difficoltà operative hanno gradualmente sottratto funzioni a Roma: quella che un tempo era la Capitale del settore terziario ora lo sta vedendo fuggire verso Milano.
A Roma c’era la sede nazionale delle Assicurazioni Generali, ma da anni non c’è più.
A Roma c’erano le sedi nazionali di tre banche romane, tra cui la Banca di Roma, che in seguito si sarebbero unite in Unicredit, la cui attuale sede centrale e relativa governance è a Milano.
Roma era inoltre un importante polo industriale, soprattutto per l’eccellenza nelle tecnologie avanzate, tant’è che nei piani urbanistici era nato appositamente l’ancora oggi presente ma semivuoto Tecnopolo.
Lo scorso 29 marzo Lei ha partecipato al convegno “I Pensionati continuamente bersagliati”, organizzato dal gruppo dei Pensionati d’Italia presso la sala Nilde Iotti della Camera dei Deputati. In un paese con un tasso di natalità che decresce anno dopo anno e con una longevità dei cittadini che è tra le prime al mondo, quale deve essere il ruolo degli anziani tanto all’interno delle nostre famiglie quanto all’interno della nostra società?
Questa è una domanda in cui si rischia di apparire un po’ vintage nella risposta, ma è un rischio che bisogna correre.
Partendo dalla sua premessa, la prima questione che va detta è che noi, come centro-destra e come Fratelli d’Italia, abbiamo puntato con senso di responsabilità sul lancio di un piano straordinario per favorire la natalità, a dispetto del fatto che sia poco appetibile in termine di consensi elettorali, nel caso in cui fossimo andati al governo.
Ci saremmo voluti occupare seriamente, come si sarebbe detto qualche decennio fa, di “politiche demografiche” perché la demografia è una scienza; e chi, di fronte ai numeri che purtroppo vanta in negativo l’Italia ma anche buona parte dei paesi europei, si volta dall’altra parte è un irresponsabile.
La sola Francia in questo senso è da considerarsi una nazione “quasi virtuosa”, ma il suo coefficiente di natalità, rapportato ai nuovi bambini nati, è inferiore rispetto alla cosiddetta “soglia di sostituzione” (tra 1,92 e 1,96 figli per famiglia rispetto a 2).
L’Italia ha un coefficiente di 1,2 e da vent’anni è sotto la soglia zero di natalità. Questa è un’emergenza e penso che sia indispensabile che qualcuno se ne occupi. La politica non è e non può essere demagogia e superficialità.
Ecco quindi il motivo di questo piano che è volto, oggi come nel futuro, a incoraggiare i ragazzi a mettere su famiglia aiutandoli a valutare elementi che prescindano dalle questioni economiche e/o materiali. Si tende infatti a giustificare questa situazione per via della mancanza di stabilità economica o per l’elevata disoccupazione e la mancanza di lavoro, tutti argomenti giustissimi ma se li dovessimo considerare rispetto ai nostri genitori e ai nostri nonni, noi saremmo stati a crescita zero da tre secoli!
I nostri avi hanno vissuto due Guerre Mondiali e la povertà sfrenata, eppure hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo e hanno fatto figli: fare un figlio era e resta la più alta forma di trasgressione a cui si possa protendere e a cui possa protendere, in particolar modo, un giovane.
Poi c’è il tema degli anziani: nella “società della solidarietà”, parola con cui troppo spesso si fanno i gargarismi, si è molto attenti alla scomparsa delle coccinelle della Paupasia, si fanno le più grandi campagne in favore degli animali abbandonati, ma si abbandonano gli anziani.
La struttura sociale della famiglia non solo si è modificata, sedimentandosi quindi negli anni e nei decenni successivi, ma ha addirittura influito sulla stessa urbanistica e sul fabbisogno abitativo: in passato le abitazioni erano molto più grandi perché all’interno della struttura sociale della famiglia si includeva anche la presenza dei nonni.
Oramai quasi nessuno si pone più questo problema, perché le nuove generazioni sono abituate a non avere più i nonni – come i genitori – tra le scatole, e così gli anziani si ritrovano a essere accuditi da badanti che in alcuni casi, con l’avanzare dell’età, ne fanno anche circonvenzione d’incapace o cercano di convolare a nozze con gli stessi nella speranza di poter assumerne l’eredità una volta deceduti. Dinamiche di questo tipo mostrano che in questa società che si definisce “solidale” c’è qualcosa che non funziona: se fossimo davvero solidali, dovremmo preoccuparci anzitutto di chi ci ha messi al mondo, ci ha allevato e ha fatto investimenti su di noi.
Sarebbe importante avviare una campagna volta a riassorbire gli anziani all’interno del nucleo familiare, facendo in modo che vengano curati e accuditi dai propri figli e, più in generale, che vengano loro restituiti quella centralità e quel protagonismo che di fatto sono stati loro tolti negli ultimi quarant’anni. Gli anziani infatti, aldilà dei concreti problemi di natura pensionistica, economica e sanitaria, soffrono soprattutto per la solitudine e la consapevolezza di non avere più una comunità intorno a loro.
Al termine di questa riflessione, vorrei soffermarmi, con le ultime due domande, sulla Sua lunga carriera politica: il ruolo che ricopre di Vice Presidente della Camera dei Deputati è un importante traguardo nel suo personale cursus honorum politico? Nel Suo ruolo istituzionale, la personale battaglia che sta portando avanti nella tutela e nella riscoperta della ricchezza della nostra lingua all’interno della dialettica parlamentare sta portando qualche frutto?
Il ruolo di Vice Presidente della Camera l’ho un po’ subito e quindi lo sto soffrendo, perché è un ruolo che rischia un po’ di irretire anche la personalità e il carattere di ciascuno, pieno com’è di impegni formali e di appuntamenti gestiti dal Cerimoniale della Camera dei Deputati.
Io cerco spesso di sottrarmi, perché non sono proprio avvezzo a benefici come le auto di servizio, e ho spiegato a tutti coloro i quali fanno questo per mestiere di non offendersi, perché è una mia personale forma di autodifesa.
Allo stesso tempo, devo dire che è un ruolo che piano piano ho cominciato ad apprezzare, perché comunque offre anche un punto d’osservazione diverso rispetto a quello di un semplice parlamentare.
Per quanto riguarda, invece, la battaglia per la difesa della lingua italiana, è volta sia a preservare le proprie tradizioni più profonde sia a manifestare un principio caro alla Destra, figlio del pensiero tradizionale legato alla cultura differenzialista.
Quando le città saranno uguali tra loro, ovunque nel mondo, avremo perso la nostra partita, perché la differenza è il sale del mondo: questo pianeta ci è stato dato diseguale e diseguale lo dobbiamo consegnare alle generazioni che verranno.
Guglielmo Vinci per www.policlic.it