Lo sviluppo sostenibile tra diritto ed ecologia

Lo sviluppo sostenibile tra diritto ed ecologia

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Una governance multilivello

Il diritto ambientale è un diritto globale. Tale concezione rimanda all’idea di un’interconnessione incontrollabile di ecosistemi e paesaggi, dove il cambiamento di una componente genera ripercussioni nelle altre[1]. Il livello di crisi ambientale attuale, e ogni qualsivoglia consequenziale piano di risanamento, non può interessare il recinto della mera pianificazione nazionale, ma richiede una regia comune tra gli Stati interconnessi orientata a valutazioni e scelte di contrasto.  Il termine “crisi” riguarda una situazione problematica, dinanzi alla quale occorre elaborare un giudizio e operare una scelta; di fronte alle minacce odierne che mettono in dubbio il futuro del pianeta e quindi dell’umanità[2], la crisi ambientale può configurare, dunque, un dovere urgente di scelta e di decisione.

La tutela ambientale e la percezione stessa della questione ambientale hanno subìto, nel tempo e nelle legislazioni, le influenze dettate da consapevolezze e contingenze altalenanti tra le priorità delle agende governative e le spinte critiche dell’opinione pubblica[3]. Richiamando alla memoria alcune tra le fonti del diritto internazionale maggiormente incisive in materia ambientale non possono non annoverarsi i trattati. Di maggior rilievo risultano essere la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (Stoccolma 1972); la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1985, firmata a Montego Bay; la Convenzione di Vienna del 1985; il Rapporto Brundtland del 1987 e nello stesso anno il Protocollo di Montreal; la Dichiarazione su ambiente e sviluppo e il Programma d’azione denominato “Agenda 21” o “Convenzione sulla Biodiversità”, approvati a Rio De Janeiro nel 1992; la Convenzione di Aarhus del 1992; il “Protocollo di Kyoto” del 1997[4].

Per mere esigenze di sintesi non si può in questa sede ripercorrere in dettaglio un processo inarrestabile e affascinante che ha visto sedimentarsi i più cari principi in materia ambientale tra diritto internazionale, comunitario e nazionale. Se i principi posti a fondamento possono considerarsi comuni e condivisi, differenziati e molteplici possono definirsi gli sviluppi e le percezioni nei diversi piani ordinamentali.

La legislazione ambientale italiana, al contrario delle normative sovranazionali, ha origini recenti. Si caratterizza per la sua natura disorganica derivante dal carattere eminentemente emergenziale della produzione normativa ­– concretizzatasi in atti aventi forza di legge, quali decreti legge e decreti legislativi, approvati dai Governi – e si sviluppa con continui rimandi in una miriade di leggi di settore. Mosso anche dalla volontà attuativa delle fonti sopranazionali, l’interesse del legislatore nazionale nell’organizzare una disciplina per l’ambiente si è manifestato a partire dagli anni Ottanta: ciò è avvenuto anche per merito della dottrina e della giurisprudenza che hanno contribuito a riconoscere, progressivamente, natura unitaria e rilevanza della materia ambientale.


Il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità in materia ambientale

Su tutti, emergono in particolare due principi fondamentali che consentono di comprendere come le competenze legislative in materia arrivino a distribuirsi tra i vari attori. L’esercizio delle competenze comunitarie in materia ambientale, oggetto di competenza concorrente tra Unione europea e Stati membri, è regolato dal principio di sussidiarietà, un criterio operativo di allocazione delle potestà legislative tra le istituzioni comunitarie e nazionali, rivolto all’individuazione del livello più appropriato di intervento[5]. Il duplice piano di riparto della politica ambientale è desumibile dal dettato iniziale dell’articolo 191 TFUE.  Si tratta di un principio posto a fondamento della politica ambientale dell’Unione, indispensabile nella definizione dell’organizzazione dei rapporti tra i diversi livelli decisionali, nonché orientato a realizzare un corretto bilanciamento tra le esigenze di interventi comunitari e il rispetto delle autonomie nazionali.  Ex articolo 5 TUE, l’esercizio di determinate competenze nazionali viene, in via sussidiaria, collocato sul piano europeo quando sia insufficiente l’intervento dei singoli Stati e quando sia maggiormente efficace, rispetto agli obiettivi da raggiungere, l’azione unionale[6].

Di fondamentale rilievo risulta essere il principio di proporzionalità, di cui all’articolo 5, comma 3, del TUE, alla stregua del quale l’intervento comunitario, ancorché indispensabile, non deve superare quanto stabilito per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

In riferimento all’attuazione dei principi sin qui esposti[7], occorre effettuare nei casi valutazioni di merito in riferimento alle diverse esigenze di tutela. Interventi comuni e uniformi non devono trascurare le peculiarità delle legislazioni ambientali nazionali – connotate da precise volontà politiche – o addirittura scontrarsi con realtà locali, ad esempio di grado e di sviluppo differente.

Può dirsi dunque che i principi di sussidiarietà e proporzionalità risultano funzionali a valutare, nel caso specifico, gli strumenti più adeguati ed efficaci per il raggiungimento degli obiettivi fissati, senza alterare il processo di integrazione, l’acquis e gli altri principi comunitari.

A tal fine, le istituzioni comunitarie ricorrono in prevalenza allo strumento delle direttive che, connotate dalla loro flessibilità, lasciano agli Stati ampia discrezionalità attuativa in modo da garantire un livello di tutela comune, senza ledere le competenze esecutive nazionali. Talvolta, però, le direttive vengono “paracadutate” nel nostro ordinamento senza prevedere e considerare i settori localmente privi di apparati logistici, di controllo e di organizzazione consoni e adeguati a una ricezione in linea con gli obiettivi. L’autonomia legislativa degli Stati si esprime anche nella facoltà di conservare o introdurre deroghe nazionali[8] più restrittive, per assicurare una protezione maggiore rispetto a quella predisposta dalle misure comunitarie di armonizzazione in materia ambientale e adottate, a seconda dell’obiettivo perseguito, sulla base giuridica dell’articolo 115 TFUE (sul ravvicinamento delle legislazioni per la realizzazione del mercato comune) o dell’articolo 192 TFUE (per attuare gli obiettivi propri della politica ambientale). Ulteriore possibilità di deroga alle misure di armonizzazione è consentita agli Stati membri attraverso il ricorso alle clausole di salvaguardia (art. 191, comma 2, TFUE) che consentono l’adozione di misure nazionali derogatorie di carattere eccezionale e provvisorio, fondate su motivi ambientali, a patto che non alterino il profilo della concorrenza e del mercato.

Ad ogni buon conto, quali che siano i settori d’interesse normativo[9], le scelte governative o le critiche mosse dall’opinione pubblica, l’odierna riflessione non può non soffermarsi sulla struttura e sull’impianto socioculturale sottostante il rapporto tra uomo e ambiente.


Il rapporto tra uomo e ambiente: la tutela ambientale come dovere di solidarietà

L’antropocentrica tendenza ad assumere e assoggettare la proprietà dell’ambiente e la gestione dello stesso ai desideri e ai capricci umani ha comportato l’adozione di molte decisioni discutibili in materia ambientale. Inoltre, va considerato che la tematica “ambiente” conosce, da sempre, forti resistenze politico-culturali che l’hanno relegata a una sorta di tabù intoccabile e quasi scomodo da affrontare. Il tema ambiente, o meglio, i risvolti in materia ambientale di scelte tutte umane, sono visti più come un vincolo e un peso da evitare anziché come una vera e propria risorsa e possibile volano per lo sviluppo socio-economico. Diventa dunque un problema culturale che affonda le sue radici in concetti noti e cari anche alla filosofia del diritto; da qui la sua trasversalità e la varietà di una tematica che non si lascia intrappolare in una sola disciplina ma, anzi, trova nella molteplicità dei settori che coinvolge e involge la sua portata innovativa, con impatti notevoli anche sul sistema delle fonti del diritto.

In merito al rapporto tra uomo e ambiente, molteplici sono stati gli apporti e le riflessioni filosofiche e sociologiche[10]. Il progressivo contributo del formante giurisprudenziale ha permesso altresì di sviluppare una considerazione dell’ambiente nella sua dimensione relazionale, in cui l’antropocentrismo dei diritti lascia il posto all’antropocentrismo dei doveri: l’uomo non è dominatore indiscusso del suo habitat e inquilino inerte della sua dimora, ma ne è esso stesso responsabile. Una responsabilità che si configura non soltanto nei confronti degli organismi viventi in questo dato contesto temporale, ma anche e soprattutto nei confronti delle generazioni future (c.d. dovere di responsabilità intergenerazionale)[11].

Si configura in capo all’uomo un dovere di solidarietà di non pronta e agevole definizione; trattasi di un contenuto da definire di volta in volta, in riferimento agli obiettivi di tutela da raggiungere. Il concetto di solidarietà rimanda dunque al carattere di necessaria flessibilità dell’impegno richiesto all’uomo che, seppur orientato alla conservazione della specie, non è astrattamente definibile in maniera rigorosa. Saranno infatti le peculiarità dei contesti a definire i caratteri e la portata di questo impegno, differenziando e calibrando il grado di responsabilità che ne deriva dalle diverse scelte, perlopiù politiche. L’assenza di un “diritto assoluto dell’ambiente”, da perseguire nel suo presente, in capo all’uomo e, al contrario, la presenza di un vincolo solidaristico verso le generazioni future, hanno determinato l’emersione di un principio fondante la materia ambientale quale quello dello sviluppo sostenibile. Ciò ha portato autorevole dottrina a prospettare il passaggio da un “diritto dell’ambiente” a un “diritto dello sviluppo sostenibile[12].

La dimensione solidale dell’approccio relazionale coinvolge un “bene comune” con interessi generali, delineando al contempo un dovere individuale e collettivo; a tal riguardo autorevole dottrina rinviene, nell’articolo 2 della Costituzione, il fondamento costituzionale del dovere di solidarietà in materia di tutela ambientale. Il principio dello sviluppo sostenibile può considerarsi il fondamento concettuale del dovere di solidarietà in campo ambientale in quanto rappresenta il fascio di doveri in capo agli agenti nei confronti delle generazioni future[13].

Il principio dello sviluppo sostenibile trova dunque attuazione in un programma in fieri che guarda alla sopravvivenza del pianeta. A tal proposito, risulta indispensabile l’obbligo di conformare ogni attività umana all’implementazione di tale principio affinché “il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future”[14].


Verso la configurazione del concetto di sviluppo sostenibile: genesi e caratteri   

Il diritto alla salute dipende dal fondamentale e inviolabile diritto alla vita[15]: quest’ultimo, in quanto presupposto logico e ontologico di ogni altro bene oggetto di bilanciamento, si sottrae al bilanciamento stesso e non appare suscettibile di sacrificio in favore di altri diritti, come quello al lavoro o alla libera iniziativa economica.

Assumendo quale lente d’indagine la costruzione dogmatica che vede sistemi ecologici e sistemi sociali indissolubilmente interdipendenti e inseparabili, appare evidente che l’equilibrio perseguito in un giudizio di bilanciamento non possa più, in chiave antropocentrica[16], guardare al quantum d’invadenza delle attività umane nei “domini naturali”, né tantomeno lo “stato di salute” dell’ambiente può ritenersi adeguatamente considerato e misurato alla stregua della salute umana.

Al contrario, può affermarsi che la tutela di quest’ultima sia legata alla tutela dell’ambiente da un rapporto di continenza: solo un ambiente salubre può contenere vita. L’interesse gerarchicamente prevalente, e in ogni caso imprescindibile, risulta dunque essere quello alla difesa della vita nella sua dimensione ecologica. L’uomo, parte integrante del sistema ecologico, opera e agisce nei limiti di tale sistema e di concerto con gli altri meta-sistemi. Ciò determina una complessità di relazioni che, definendo i “circoli di competenza”, realizzano rapporti di “intersezione” o “continenza concentrica” generando la necessità di “ponti” imprescindibili, nel nostro caso, tra diritto ed ecologia.

“Un ponte verso il futuro” dunque; verso una concezione di sviluppo sostenibile di cui all’articolo 3-quater d.lgs. n.152/2006[17] che, concepita nel classico modello fondato sull’equiordinazione dei tre pilastri – ambientale, sociale ed economico – e sul concetto di bilanciamento tra i tre corrispondenti interessi, approda e guarda a un modello di “gerarchizzazione a cerchi concentrici”, in cui l’interesse gerarchicamente prevalente, però, diventi quello alla difesa della vita inteso nella sua dimensione ecologica, che a sua volta è precondizione indispensabile della vita nella dimensione biologica degli individui che operano all’interno degli ecosistemi. Ciò rappresenta il presupposto ontologico, la premessa indispensabile e la precondizione per qualsivoglia altra e futura pretesa[18]. Primum vivere, deinde philosophari.

Alessandra Costantini per www.policlic.it




Note e riferimenti bibliografici

[1] M. Monteduro, Per una “nuova alleanza” tra diritto ed ecologia: attraverso e oltre le aree naturali protette, in Giust.Amm.it, n. 6, p. 15 : “Sistemi ecologici e sistemi sociali si configurano, propriamente, come dei sub-sistemi i cui meccanismi di inscindibile interazione e reciproca influenza si svelano soltanto quando essi vengano integrati e studiati come ‘parti’ del ‘tutto’ rappresentato da super-sistemi che li includono, qualificabili appunto come sistemi socio-ecologici; in essi le società umane sono a pieno titolo ‘dentro’ gli ecosistemi e ‘convivono’ con i limiti di espansione che questi ultimi pongono alle condotte umane, ricevendone, per converso, i benefici rappresentati dai servizi ecosistemici, i quali in grande parte si ascrivono socialmente alla categoria dei commons”.

[2] H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, Einaudi, Torino 1991, p. 223: “Si tratta della tacita presupposizione che il fine proprio dell’attività umana è la sopravvivenza”. L’autore ha riconosciuto alla sopravvivenza il carattere di elemento vincolante il diritto.

[3] Si richiama alla memoria del lettore il movimento facente capo a Greta Thunberg che negli ultimi anni ha conosciuto notevole successo e condivisone.

[4] S. Nespor-A. De Cesaris (a cura di), Codice dell’Ambiente, Giuffrè, Milano 2009.

[5] A. Buonfrate, Codice dell’ambiente e normativa collegata, UTET Giuridica, Milano 2008.

[6] P. De Pasquale, Art. 5, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione Europea e della Comunità europea, Giuffrè, Milano 2004, pp. 200 sgg.

[7] Il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (n. 30), aggiunto dal Trattato di Amsterdam del 1997, delinea i criteri per la loro attuazione. Analogo protocollo era stato inizialmente allegato al progetto di Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, oggi confluito nel Protocollo (n. 2) omonimo allegato al recentissimo Trattato di Lisbona; da quest’ultimo emerge, in particolare, il coinvolgimento degli Stati nazionali nell’attività di controllo sui progetti di atti legislativi promanati dalla comunità e il relativo rispetto dei principi ivi menzionati.

[8] Le norme interne di protezione rafforzata possono pertanto ricondursi, a seconda dell’oggetto della deroga, alla disposizione dell’art. 193 del TFUE che impone conformità al Trattato e previa notifica alla Commissione europea, o all’art. 114, comma 3, del Trattato TFUE, che legittima le deroghe di carattere ambientale purché fondate su nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell’ambiente e giustificate da specifici problemi sopravvenuti, previa notifica, anche in questo caso, alla Commissione che in virtù del suo potere discrezionale può valutare la congruità della deroga nazionale.

[9] Le tematiche affrontate sono le più disparate: si va, a titolo esemplificativo per citarne alcune, dalla gestione dei rifiuti, alla tutela delle acque e dei parchi pubblici, dalle emissioni in atmosfera all’elettrosmog.

[10] M. Tallacchini, Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1996; J. Passmore, La nostra responsabilità per la natura, trad. it. di M. D’Alessandro, Feltrinelli, Milano 1991; F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale Scientifica, Napoli 2010.

[11] F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale Scientifica, Napoli 2010.

[12] F. Fracchia, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in “Il diritto dell’economia”, 2002, 2, pp. 215-259.

[13] Ibidem.

[14] Risulta pacificamente accettata la ricostruzione secondo la quale il concetto dello sviluppo sostenibile sia emerso per la prima volta nel Report of the World Commission on Environment and Development del 1987 (Rapporto Brundtland) che lo definisce a “development which meets the needs of the present generation without compromising the ability of the future generation to meet theirs own needs”.

[15] Appare doveroso precisare che la giurisprudenza maggioritaria, ancora oggi, è orientata nel senso di distinguere il diritto alla vita e il diritto alla salute sulla scia della storica sentenza della Corte Cost., sent. 27 luglio, 1994, n. 372. Ai fini della presente trattazione è risultato però essere di fondamentale importanza il contributo di una parte minoritaria della dottrina che rilegge il diritto alla salute in funzione del rapporto di stretta dipendenza e subordinazione che lo lega all’inviolabile diritto alla vita.

[16] “Il profondo paradosso del potere determinato dal sapere, che Bacone non poteva intuire, consiste nel fatto che esso, pur instaurando una sorta di «dominio» sulla natura […] ha portato però contemporaneamente alla più completa sottomissione a sé. […] Che consiste nel dettare al presunto detentore la sua utilizzazione, rendendolo esecutore passivo di capacità tecniche, e asservendo dunque l’uomo anziché liberarlo.” H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1990, p. 181.

[17] Si fa riferimento al più ben noto Codice dell’ambiente.

[18] M. Monteduro-S. Tommasi, Paradigmi giuridici di realizzazione del benessere umano in sistemi ecologici ad esistenza indisponibile e ad appartenenza necessaria, in Benessere e regole dei rapporti civili. Lo sviluppo oltre la crisi, Atti del 9° Convegno Nazionale SISDiC (Napoli, 8-9-10 maggio 2014), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2015, pp. 161 sgg.

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