Prendiamo ora in considerazione l’ultimo scenario coinvolto dalle elezioni politiche britanniche del 9 Giugno scorso, ovvero il conflittuale quadrante che coinvolge Londra, Belfast e Dublino.
A conclusione della serie di approfondimenti che Policlic.it ha avuto modo di curare in queste settimane, resta infatti da trattare l’esito che il voto nel Regno Unito ha portato nell’Irlanda del Nord, “regione irredenta” della Gran Bretagna dalla storia molto travagliata e di enorme complessità.
Una regione divisa tra nazioni, opposte forze politiche, diverse confessioni di fede e gruppi paramilitari ancora oggi dediti alla lotta armata per entrambe le fazioni in violazione del c.d. Good Friday Agreement siglato il 10 Aprile del 1998 dai rappresentanti dei governi precedentemente menzionati.
Una regione che a seguito dei risultati della Brexit e la vittoria del Leave nel 2016 (anche i nordirlandesi avevano votato per il Remain) si è ritrovata a poter sfruttare un’occasione più unica che rara dopo secoli di guerre e massacri: il poter anche soltanto parlare della possibilità di una riunificazione tra l’Èire e l’Irlanda del Nord dopo quasi cento anni dalla proclamazione dello Stato Libero d’Irlanda nel 1921 (senza l’Ulster, rimasta fedele alla Corona britannica).
Questo approfondimento tratterà in maniera marginale la lunga battaglia che vede scontrarsi da tempo immemore il Regno Unito e l’Irlanda per concentrarsi in particolar modo sugli sviluppi politici avvenuti negli ultimi mesi in quel di Belfast (con le annesse ripercussioni tra Londra,Dublino…e l’Unione Europea nel ruolo di “osservatore terzo” dalla discutibile imparzialità).
Esamineremo le ultime elezioni locali del Marzo 2017, che hanno visto la regione nord-irlandese ritrovarsi con uno stallo politico tra il Democratic Unionist Party (DUP, emanazione del governo centrale londinese nel territorio) e lo Sinn Féin (il partito delle istanze repubblicane irlandesi) e analizzeremo le mosse attuate dai due partiti nord-irlandesi dopo il 9 Giugno.
Se da una parte infatti il DUP guidato da Arlene Foster è sul punto di ottenere, dopo giorni di estenuanti trattative , un accordo di massima per divenire la “stampella” del governo di minoranza May con i propri dieci seggi ottenuti dalle elezioni (nonostante le vibranti “proteste” dei sostenitori del Partito Laburista) , lo Sinn Féin ha promesso nuovamente battaglia ed opposizione al governo Tory sia in ambito “nazionale” che in ambito “locale”, dando un’ulteriore spinta ai preparativi in corso per il primo referendum sulla riunificazione del Paese.
Le elezioni nord-irlandesi del 2 Marzo 2017 : “governo” bloccato e lo spettro del “direct rule”
Per avere una panoramica più chiara sulla questione nord-irlandese nei suoi ultimi sviluppi, si deve fare un piccolo passo indietro di qualche mese per arrivare al 2 Marzo 2017, ovvero il giorno in cui si sono tenute le elezioni anticipate per il rinnovo dell’Assemblea nord-irlandese di Stormont.
Prima domanda : come si è arrivati ad indire nuove elezioni nella regione?
Per via di un grave scandalo (“RHI scandal”) che ha coinvolto il DUP (partito di maggioranza) e la stessa Arlene Foster, colpevole di malversazione per aver ideato, al tempo in cui era Ministro per lo Sviluppo ed il Commercio, uno schema per dirottare i fondi pubblici sulle energie rinnovabili (una truffa per 500 milioni di sterline).
Uno scandalo che ha comportato la rottura insanabile all’interno dell’esecutivo nord-irlandese, al tempo gestito in coabitazione dalla Foster e dal recentemente deceduto Martin McGuinness (uomo di spicco dello Sinn Féin nonchè dell’Irish Repubblican Army).
Figura di enorme rilievo durante gli anni dei Troubles* sia nel periodo bellico che nell’ambito della riconciliazione (al punto di essere stato grande amico del Reverendo Ian Paisley, il leader politico, militare e spirituale degli Orangisti ulsteriani), McGuinness annunciò le proprie dimissioni nel Gennaio 2017 in segno di protesta per l’accaduto e dopo dieci anni di governo condiviso con la Foster, la quale ha sempre rifiutato di fare un passo indietro catalogando le accuse nei suoi confronti come “misogine”.
An all-island vision is crucial and the commitment to Irish unity by the government and all parties in the Dáil is fundamental.
Our efforts in this Dáil, even as we deal with the consequences of Brexit, must be to create the conditions where the people will opt for unity.
(Gerry Adams, Presidente dello Sinn Féin, dichiarazione presso la Dáil Eireann di Dublino, 25 Gennaio 2017)
La “crisi”, divenuta di interesse primario anche per Londra, Dublino e l’opinione pubblica nell’Unione Europea (quest’ultima per via delle implicazioni post-Brexit) è stata risolta indicendo nuove elezioni per l’Assemblea di Stormont, il cui risultato del 2 Marzo è stato il seguente : su 90 seggi disponibile, il DUP ne ha ottenuti 28 mentre lo Sinn Féin si è confermato secondo partito…ottenendone 27.
Una vera e propria “vittoria morale” per il partito di Gerry Adams e per le proprie istanze storiche, (prima tra tutte, la riunificazione dell’Ulster alla “madre patria” irlandese) vittoria “dedicata” appunto a McGuinness (non ricandidatosi in quanto gravemente malato, sarebbe morto poche settimane dopo all’età di 66 anni, il 21 Marzo 2017).
Seconda ed ultima domanda : cosa hanno comportato le elezioni nord-irlandesi?
In pratica, l’ingovernabilità.
Dinnanzi infatti alla netta polarizzazione della composizione della nuova Assemblea nord-irlandese e all’incapacità ed intransigenza dei due partiti (DUP in particolar modo) a creare un governo di unità nazionale, Londra appare sempre più portata ad imporre il direct rule, ovvero l’amministrazione diretta del governo centrale britannico (un’opzione supportata anche dagli unionisti del DUP), con il rischio concreto di riportare la tensione mai definitivamente affievolita tra i cattolici repubblicani ed i protestanti unionisti.
Scontro al femminile : l’ascesa di Michelle O’Neill e le elezioni del 9 Giugno 2017
For me being a republican is a way of life, it’s something each and everyone of you are, something that we all know it’s something that we do everyday in the course of our everyday duties. [..]
For me to be selected to lead our party in the North is truly the biggest honour and privilege of my life.
(Michelle O’Neill, leader del Sinn Féin in Irlanda del Nord, estratto dal suo discorso di insediamento a Stormont, 24 Gennaio 2017)
Come precedentemente menzionato, è dunque dall’ “RHI scandal” che ha coinvolto Arlene Foster ed il partito unionista nordirlandese che ha inizio la nostra disamina sul voto : questo perchè è dai successivi eventi che è stato possibile arrivare all’inedita situazione attuale nell’Irlanda del Nord, quella che vede contrapposte due donne alla guida della regione e dei due partiti di punta che compongono la maggioranza dell’Assemblea di Stormont.
Le dimissioni di Martin McGuinness del Gennaio 2017 hanno infatti comportato un importante ricambio generazionale all’interno delle fila dello Sinn Féin, con la nomina della quarantenne Michelle O’Neill a nuova leader del partito in Irlanda del Nord.
Figlia di un consigliere dello stesso Sinn Féin e con alle spalle una famiglia legata alle attività dell’I.R.A. (il padre ed un cugino vennero arrestati dalle autorità britanniche), la O’Neill ha ricevuto il testimone della tradizione repubblicana irlandese dalla “leggendaria figura” di McGuinness, suo “mentore e maestro per tutta la propria attività militante”.
I have known him since I was a child but I am honoured to have worked alongside him for the past 20 years. He inspired me and many others in his commitment to the republican struggle and he led from the front down through the decades.
(Michelle O’Neill, estratto dalla commemorazione di Martin McGuinness, 21 Marzo 2017)
Un passaggio di consegne con il quale la O’Neill non solo ha cominciato a porsi come guida delle nuove generazioni non colpite direttamente dall’epoca dei Troubles ma ha dato un’ulteriore spinta al partito, con l’aiuto ed il sostegno sempre presente del veterano Gerry Adams, verso il nuovo millennio.
Le elezioni generali britanniche del 9 Giugno 2017 ne sono state una conferma : se rapportate infatti alla precedente tornata elettorale del 2015, la competizione tra i partiti nordirlandesi ha visto un’importante avanzata dello Sinn Féin (7 seggi di cui 3 guadagnati rispetto alla tornata del 2015) e del DUP (10 seggi di cui 2 guadagnati) a discapito dei partiti minori (tra i quali l’Ulster Unionist Party, storico partito – ancor prima del DUP – di tradizione protestante).
Significativo è stato, per il partito guidato dalla O’Neill, la conquista dei seggi di Foyle e South Down dall’SDLP e, soprattutto, la “riconquista” del seggio di Fermanagh and South Tyrone, quartier generale degli unionisti del DUP dal 2015.
Una “lotta a due” quindi che ha giovato, come detto all’inizio, ad entrambe le formazioni per motivazioni diverse, motivazioni che allo stesso tempo contribuiscono a creare ed alimentare lo stallo tra i repubblicani e gli unionisti.
Detto dell’accordo di massima vicino al raggiungimento tra il partito del Prime Minister Theresa May ed i nordirlandesi, con la Foster determinata “a garantire la stabilità al Paese e all’Irlanda del Nord con l’apporto, valutato caso per caso, dei propri rappresentanti”, nei giorni successivi al voto Gerry Adams e Michelle O’Neill hanno assunto una posizione che non lasciava spazio ad equivoci.
Rinnovando la tradizione repubblicana che vuole il rifiuto di prendere posto al Parlamento di Westminster, i due leader dello Sinn Féin irlandese e nordirlandese hanno dichiarato non solo che “un governo di minoranza Con+DUP risulterebbe una coalizione del caos” ma che la stessa “violerebbe gli accordi sanciti nel 1998 dal Good Friday Agreement“.
Il messaggio diretto a Londra e a Belfast pertanto, alla luce della Brexit e dell’esperienza referendaria scozzese (con i problemi dell’IndyRef 2 già trattati da Policlic.it in precedenza) “la necessità di un referendum per la riunificazione del Paese”.
La posizione dell’Unione Europea
Lo scenario nord-irlandese (al pari di quello scozzese) dopo la Brexit ha scaturito una reazione a catena tra gli altri paesi membri dell’Unione Europea, interessati a comprendere le dinamiche del Regno Unito sia a seguito della vittoria del Leave che a seguito dell’attivazione dell’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea (TUE) ad opera del governo di Londra.
L’interesse riguarda quelle regioni del Regno Unito che hanno votato per il Remain e che si professano legate all’Unione (la Scozia e, appunto, l’Irlanda/Èire).
A riguardo è interessante da riportare l’analisi compiuta da Lorenzo Vita per Gli Occhi della Guerra il 29 Aprile scorso.
Da quello che si evince dalle riunioni di Bruxelles negli ultimi mesi, infatti, potrebbe essere aggiunta una clausola per cui, in caso di referendum secessionista in Irlanda del Nord per diventare parte della Repubblica d’Irlanda, Belfast entrerebbe subito e di diritto nell’Unione Europea. L’esempio sarebbe quello della Germania dell’Est quando venne inglobata dalla Germania federale.
(Lorenzo Vita, “L’ Europa pensa all’Irlanda unita” per Gli Occhi della Guerra, 29 Aprile 2017)
A distanza di due mesi, la mossa proposta dall’ex Taoiseach Enda Kenny (recentemente sostituito da Leo Varadkar) e ben vista da Bruxelles è ancora molto attuale nelle politiche dell’Eire, dell’Irlanda del Nord e soprattutto del Regno Unito, i cui negoziati per la Brexit hanno ufficialmente avuto inizio oggi.
È però da considerarsi anche una pesante ingerenza di un soggetto terzo nell’ambito delle dinamiche tra Stati sovrani, nonchè un’ulteriore arma di ricatto a disposizione dell’Unione nei confronti del governo della May per avere maggior potere negoziale sulla Brexit.
Un’arma che potrebbe anche risultare controproducente se rapportata ad altri casi di regioni/nazioni che chiedono l’indipendenza : Vita infatti pone l’esempio lampante della Catalogna e dei suoi moti secessionistici nei confronti di Madrid (recentemente messi di nuovo in atto con la proclamazione di un referendum, reso non consultivo dal governo centrale spagnolo, per il 1 Ottobre).
“Il gioco”, per l’Unione Europea, “potrebbe non valere la candela” qualora si intendesse procedere secondo questa strada, una strada che darebbe vita ad un pericoloso precedente per le istanze unitarie di un’Unione Europea che al momento è alla ricerca di un periodo di stabilità nonchè delle istanze “europeiste” di molti dei suoi Stati membri.
Provocatoriamente concludo : non si dovrebbe lasciare che siano i popoli sovrani di Londra, Dublino e Belfast ad essere i soli artefici del proprio destino, europeista o meno che possa essere?
Guglielmo Vinci per www.policlic.it
“Troubles” = periodo storico con cui si cataloga il conflitto armato che ebbe luogo dagli anni Sessanta fino alla firma del “Good Friday Agreement” (1998) tra il Regno Unito e le forze protestanti dell’Ulster ed i gruppi paramilitari repubblicani ed i cattolici dell’Ulster.
Qui i link che completano il nostro focus sulle Elezioni britanniche
“MAYhem – UKIP : dal suicidio al “nuovo ruggito” del Leone Farage? —> http://www.policlic.it/pcwd/?p=294
“MAYhem – “You live by the sword, you die by the sword” ” —> http://www.policlic.it/pcwd/?p=263
“MAYhem – Il duro colpo allo Scottish National Party” —> http://www.policlic.it/pcwd/?p=228
“MAYhem – Analisi e processo contro la υβρις* dei Tories” —> http://www.policlic.it/pcwd/?p=217