Quella tedesca è l’ultima tappa del processo cha ha dato il via allo sgretolamento del sistema dei partiti. Mentre in Europa qualsivoglia leader politico era costretto ad inchinarsi dinanzi l’altare della crisi, cedendo così parte dell’elettorato ai sempre più frequenti “partiti anti-sistema”, Angela Merkel era lì, intoccabile. Tra un’alleanza e l’altra (tutte condotte da una posizione di forza) galleggiava nel mare dell’instabilità costruendo trame politiche contingenti e “variopinte”. Mentre il “progressismo populista” seminava terrore nel vecchio continente, mentre l’eco di tempi andati si riverberava nelle città europee, lei era lì, intoccabile. Mentre la “nostalgia” sembrava bussare alle porte per far rimpiangere le gesta del recente passato, Angela Merkel era lì, intoccabile. Mentre altri leaders europei, costretti alla staffetta, si alternavano con frequenza, lei era ancora lì, intoccabile. Gli sconvolgimenti politici degli ultimi dodici anni, infatti, non sono bastati per destituire l’eterna “Cancelliera”.
Il giorno 24 settembre del 2017, a seguito della consultazione elettorale, si è consumata una “frattura” tra il popolo tedesco e la “Frau Merkel”. La CDU pur mantenendo il primato nella classifica dei partiti, vede ridimensionato, per la prima volta in maniera consistente, il suo elettorato. I tempi in cui il 41,5% della popolazione tedesca rispondeva all’appello della CDU/CSU sono lontani. Le urne hanno decretato con un 32,8% di consensi la fine dello strapotere “democristiano”.
Le avvisaglie di una possibile crepa si erano già manifestate circa un anno prima, quando, durante le votazioni per rinnovare i Parlamenti di tre Lander, aveva raccolto una sonora e schiacciante sconfitta. A raccogliere i frutti di questa debacle fu quel partito che avrebbe successivamente scardinato l’equilibrio politico “parsimoniosamente” costruito dalla Kanzlerin: Alternative Fur Deutschland (AFD).
Bisognerebbe interrogarsi sui motivi che hanno portato la CDU a limitare i propri standard elettorali. Certamente tra le cause vi è la nascita di AFD, il primo partito a collocarsi a destra della CDU in era post-bellica. Le battaglie condotte da AFD ricalcano gli ambiti in cui i cristiano-democratici sono stati ritenuti deficitari: immigrazione e terrorismo. La Cancelliera, consapevole della grande “Diaspora” diretta verso l’estremismo, ha dichiarato:
Abbiamo un nuovo compito, far tornare gli elettori che hanno votato per l’Afd. Faremo una accurata analisi: vogliamo che quegli elettori tornino a noi.
Comprendendo, inoltre, l’orientamento generale palesato dagli elettori nelle ultime elezioni, Angela Merkel è pronta a fare il primo passo:
Combatteremo l’immigrazione illegale”
La questione dell’immigrazione, oltre a creare dissenso al di fuori dei confini cristiano-democratici, alimenta una querelle all’interno della coalizione CDU/CSU. La Baviera, roccaforte dell’Unione Cristiano-Sociale, ha infatti avviato un “processo” al proprio leader, Horst Seehofer. Quest’ultimo, unico governatore a capo di una amministrazione federale monocolore, nonché primo ministro di Baviera, è accusato di aver leso gli interessi politici del suo Lander. L’adesione alle politiche di accoglienza dei profughi volute da Angela Merkel, infatti, potrebbero costargli il posto nelle elezioni bavaresi che si terranno il prossimo anno. Seehofer, ora che il partito è desto e intransigente sulla “questione immigrazione”, sarà meno morbido sulle questioni spinose che investono il Governo nazionale.
Tra le altre cause alberga certamente il malcontento dovuto a una profonda crisi di identità politica. Le contingenze politiche sfociate nella strategia della Groβe Koalition hanno sì mantenuto in vita la testa dell’esecutivo, ma hanno allo stesso tempo indebolito la carica ideologica della Base del Partito. Sebbene il partito non possa collocarsi realmente alla destra del sistema politico tedesco, non è escluso che i continui anni di condivisione del potere con la socialdemocrazia abbiano dato una luce più “rosea” al volto del leader cristiano-democratico. Tutto ciò, unito alla tendenza europea di “sdoganare” quella fascia conservatrice e xenofoba dormiente, ha aperto alla Germania le porte di una crisi nuova, sconosciuta finora allo stato tedesco.
Abituata a giganteggiare, a ridimensionare ogni aspirante leader politico, ora la cancelliera Merkel si appresta a giocare la partita più difficile della sua carriera. Il compito più arduo sarà quello di riconsegnare alla Germania quella stabilità ormai perduta. La coalizione che va profilandosi dovrebbe comprendere al suo interno tre partiti: la CDU/CSU (quest’ultima la variante bavarese della “Democrazia Cristiana” tedesca), i Verdi e infine i Liberali. Questa coalizione, denominata Giamaica (dai colori dei partiti che ne fanno parte), reca in sé, sin dalla prima formulazione, diverse contraddizioni. Nella questione Europea, ovvero la più cara alla “sempiterna” cancelliera, ma soprattutto nelle politiche ambientali, risiedono i semi della discordia. I liberali, puntano a una più stringente politica fiscale europea (è già stata chiesta la testa di Schauble), ma risultano “poco attenti” alle questioni ambientali. Argomento quest’ultimo che dà ragione d’esistere al partito dei Verdi. Si può notare come le dinamiche interne alla nascente Jamaika Koalition siano di difficili risoluzione.
Rimane solo da interrogarsi sulla salute dei partiti politici, e quindi della tenuta della democrazia rappresentativa, dal momento in cui Angela Merkel NON è più lì, intoccabile.
William De Carlo