Il concetto di Area Marina Protetta (AMP) nasce in assenza di un quadro internazionale unificato; ciò che unisce la pletora delle varie definizioni nei trattati internazionali è la classificazione come area definita temporalmente e geograficamente, nella quale è assicurato un grado più elevato di protezione dell’ecosistema e della biodiversità, diversamente dalle zone al di fuori dei propri confini[1]. Il mancato allineamento in questo senso comporta, ad esempio, che “le zone soggette a restrizioni della pesca” non siano incluse nella definizione di “area marina protetta” dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN)[2], che è accettata come definizione di riferimento dalla comunità internazionale.
Sebbene la prima area marina protetta nel mondo sia stata stabilita nel 1935 in Florida (Fort Jefferson National Monument), fu solo all’inizio degli anni Novanta che le aree marine protette furono poste al centro dell’attenzione dalla comunità internazionale come strumento fondamentale per gli Stati nella conservazione della biodiversità, come indicato dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) del 1992 e dal Codice di condotta della FAO per una pesca responsabile del 1995, per poi assumere maggiore importanza nel Plan of Implementation of the WSSD del 2002[3].
In questi anni, le AMP hanno dimostrato di possedere un ruolo centrale per molte ragioni. Innanzitutto, il ruolo da esse svolto nella conservazione della biodiversità risulta essenziale per permettere a una determinata specie in declino di rigenerarsi, soprattutto se parliamo di specie sovra-pescate, dal momento che le attività di pesca sono limitate all’interno dell’area e, in alcuni casi, interdette[4].
Tale discorso ha un maggiore impatto quando si parla di grandi predatori, quali squali e tonni, la cui cattura accessoria (by-catch) risulta essere un problema centrale in quasi tutto il mondo[5]. In relazione a questo, non ne beneficia soltanto la fauna marina ma anche le attività di pesca, dal momento che la fuoriuscita di vita animale dalla AMP sostiene o aumenta la cattura dei pesci nelle vicinanze della suddetta area[6].
La regolamentazione delle pratiche di pesca non sostenibili ha reso poi evidenti molti limiti al di fuori delle aree protette[7], in un mondo in cui dal 1974 al 2017 la percentuale di pesce pescato in modo non sostenibile è più che triplicata[8], e il coordinamento tra misure limitanti tali attività con la gestione di un’AMP ha dimostrato di essere molto più efficace.
Inoltre, la connettività tra i vari ecosistemi marini presenti all’interno dell’area, tra i quali le foreste di kelp e il mare aperto, permette alle varie comunità dei diversi habitat di entrare in relazione, oltre che garantire una protezione alle specie migratorie[9].
La protezione degli habitat per i pesci migratori all’interno delle AMP è pensata allo stesso modo delle piccole aree terrestri protette, le quali sono utilizzate a sostegno degli habitat chiave per il foraggiamento degli uccelli migratori o le spiagge di nidificazione per le tartarughe marine[10]. Le aree marine protette giocano un ruolo preminente anche nell’ambito del contrasto al cambiamento climatico attraverso la conservazione degli ambienti, come ad esempio quelli di posidonia che assorbono CO2 in quantità maggiore rispetto alle foreste temperate e tropicali, o quelli di coralligeno, o ancora le barriere coralline e le foreste di mangrovie, le quali sono in grado di creare barriere naturali contro le tempeste e l’innalzamento dei mari, oltre che contribuire al sequestro del carbonio[11]. Infine, i benefici economici derivanti dal turismo non sono indifferenti; il caso più emblematico in tal senso è rappresentato dall’AMP dell’isola hawaiana di Oahu (Hanauma Bay Nature Preserve) che, prima della pandemia da COVID-19, accoglieva fino a tremila visitatori al giorno, il che ne faceva una tra le spiagge più visitate del Paese[12].
La protezione di habitat come le barriere coralline può generare notevoli benefici per le comunità. Ad esempio, il beneficio per l’economia delle Hawaii è stato stimato intorno ai trecentosessanta milioni di dollari annui, e ciò può determinare investimenti nell’ambito della ricerca scientifica[13], come quello che dal 2005 ha visto oltre dieci milioni di dollari reinvestiti in ricerca a favore del Monumento Nazionale Marino Papahānaumokuākea, un’altra area protetta delle Hawaii[14].
Dal 2000, da un iniziale 0,8% si è arrivati a tutelare il 7,68% dell’oceano, per un totale di circa quindicimila aree marine protette sparse nel mondo (un’area grande all’incirca quanto gli Stati Uniti)[15]. Secondo il Marine Conservation Institute, però, nonostante ciò, solo il 2,7% delle aree interessate beneficia di uno “stato di alta protezione”, corrispondente a quello che in Italia è individuato nella zona A di un AMP, in cui ogni attività di pesca, di transito e ogni altra attività umana è interdetta, ad eccezione della ricerca scientifica[16].
In più, appare evidente la disparità nella distribuzione delle AMP nelle acque nazionali e in quelle internazionali.
Fuori dalla giurisdizione nazionale, la gestione dell’AMP non può essere affidata a un Ente di Gestione Nazionale ma, al contrario, l’elemento primo e necessario per la gestione di un’area marina protetta è la cooperazione internazionale tra gli Stati coinvolti, ossia gli Stati parte di un’Organizzazione, o Convezione o Accordo, o Protocollo annesso attraverso cui viene istituita l’AMP. Nel 1999 venne istituita, proprio nel Mediterraneo, la prima AMP comprendente parte delle acque internazionali: si tratta del Santuario dei Cetacei, nato dall’accordo tra Francia, Principato di Monaco e Italia, per tutelare le otto specie di cetacei che abitavano le acque dei tre Paesi nel mar Ligure[19].
La creazione del Santuario fu seguita, tra il 2010 e il 2021, dalla nascita di una rete di otto AMP nelle acque internazionali dell’Atlantico nord-orientale (OSPAR HSMPA Network) che vanno dal Portogallo fino alla punta settentrionale del Mare del Nord, tra Irlanda e Islanda; da quelle nell’Oceano Antartico di South Orkney Island nel 2009 e della Ross Sea AMP nel 2016 (quest’ultima è attualmente la più grande delle aree marine protette nelle acque internazionali); e la “descrizione” dell’area del mare dei Sargassi, di valore assoluto per accogliere la più grande foresta sommersa del mondo, quale area ecologicamente e biologicamente significativa, ma che non è considerata a tutti gli effetti come una nuova AMP. Nella speranza di ristrutturare un regime legale fallace e conseguentemente anche la gestione delle aree marine protette nell’alto mare, si erge la Conferenza Intergovernativa ONU su un Accordo Internazionale Giuridicamente Vincolante (ILBI – International Legally Binding Instrument) ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare sulla Conservazione e l’Uso Sostenibile della Biodiversità Marina di Aree al di fuori della giurisdizione nazionale, la cui ultima sessione si terrà nel 2022, dopo essere stata rimandata di un anno e mezzo a causa della crisi pandemica[20].
Le delegazioni nazionali, così come il mondo accademico, hanno presentato diverse ipotesi in questo senso, quale l’attivazione di un processo di cooperazione con l’Organizzazione Internazionale Marittima (OMI), così come l’ UNESCO, per la creazione di una rete di aree marine protette nelle acque internazionali, dove l’impegno delle organizzazioni sarebbe quello di watchdog delle aree istituite, compensando le poche risorse finanziarie e la presenza di battelli di controllo degli Stati, per contrastare il proliferare del fenomeno della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, oltre alle altre attività illecite compiute nell’area[21].
Più di settanta Paesi sostengono ora la richiesta di proteggere e conservare almeno il 30% dell’oceano globale entro il 2030, come parte dell’obiettivo di gestire in modo sostenibile il 100% dell’oceano. La maggior parte di questi Paesi sono membri della High Ambition Coalition guidata da Costa Rica e Francia, della Global Ocean Alliance guidata dal Regno Unito, della High-Level Ocean Panel guidata da Norvegia e Palau, e i Blue Leaders guidati dal Belgio[22].
In Italia l’Organizzazione a lanciare la campagna 30×30 è stata Worldrise, una ONLUS che sviluppa progetti di conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino[23]. Ma è realistico pensare a un incremento tale nel giro di nove anni a fronte di un oceano che è attualmente protetto in misura minore dell’8% e soggetto a un alto grado di protezione in misura minore del 3%? A questo proposito è emblematica la testimonianza rilasciata alla National Geographic da Enric Sala, un ex professore di Biologia Marina presso lo Scripps Institution of Oceanography, che lasciò nel 2007 perché – a sua detta – si diceva “stufo di scrivere il necrologio dell’oceano con sempre più precisione”[24].
Fu così che Sala decise di dedicarsi alla salvaguardia degli ultimi ambienti marini vergini, che rappresentano il manuale d’istruzione per capire quale potenziale possono avere i restanti oceani e avviare un piano di rigenerazione per il resto degli ambienti marini e oceanici nel mondo. È da qui che fu avviato il Pristine Seas Project nel 2008, che contribuì alla creazione di ventitré AMP nel mondo[25].
Per raggiungere quell’obiettivo e non ritrovarsi nello stato d’animo del professor Sala nel 2007 è realmente necessario uno sforzo cooperativo senza precedenti da parte della comunità internazionale. Il ruolo che svolgono le aree marine protette nella conservazione dell’ecosistema marino e della sua biodiversità non esaurisce da sola il compito. Gli incentivi alla ricerca scientifica, il trasferimento di tecnologia marina, la maggiore coordinazione nella condivisione di dati raccolti nella ricerca attraverso un Clearing House Mechanism, la coordinazione tra gli obblighi per una Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA)[26] e quelli per una Valutazione Ambientale Strategica (VAS)[27], sono alla base di questo processo di conservazione e protezione dell’ambiente marino e della sua biodiversità, come è evidente dalla struttura del testo provvisorio dell’Accordo ONU relativo alle acque internazionali, ma possono portare ai benefici auspicati da anni solo se figli di uno sforzo senza eguali dell’intera comunità internazionale[28].
Filippo Piluso per www.policlic.it
Note e riferimenti bibliografici
[1] Si rimanda alla definizione e alla spiegazione del concetto di Area Marina Protetta riportata sul sito ufficiale della FAO (ultima consultazione: 21 luglio 2021).
[2] J. Day, N. Dudley, M. Hockings, G. Holmes, D. Laffoley, S. Stolton, S. Wells e L. Wenzel, Guidelines for applying the IUCN Protected Area Management Categories to Marine Protected Areas, seconda edizione, Iucn, Gland 2012, p. 16.
[3] Il documento finale del World Summit on Sustainable Development può essere consultato sul sito internet delle Nazioni Unite.
[4] Si rimanda a M. Rand, The Case for Marine Protected Areas (PEW Charitable Trusts, ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[5] G. R. Russ e A. C. Alcala, Marine Reserves: Rates and Patterns of Recovery and Decline of Large Predatory, in “Fish Ecological Applications”, VI (1996), 3, pp. 947-61.
[6] F. R. Gell e C. M. Roberts, Benefits Beyond Boundaries: The Fishery Effects of Marine Reserves Trends in Ecology & Evolution, XVIII (2003), 9, pp. 448-55; H. B. Harrison et al., Larval Export From Marine Reserves and the Recruitment Benefit for Fish and Fisheries, in “Current Biology”, XXII (2012), 11, pp. 1023-28.
Si veda, a questo proposito, lo studio condotto in Ecuador nei pressi dell’AMP nelle Isole Galapagos (The Galapagos Marine Reserve) in K. Boerder, A. Bryndum-Buchholz e B. Worm, Interactions of Tuna Fisheries With the Galápagos Marine Reserve, in “Marine Ecology Progress Series”, DLXXXV (2017), pp. 1-15.
[7] G. J. Edgar, T. J. Ward e R. D. Stuart-Smith, Rapid Declines Across Australian Fishery Stocks Indicate Global Sustainability Targets Will Not Be Achieved Without an Expanded Network of ‘No-Fishing’ Reserves, in “Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems”, XXVIII (2018), p. 10244.
[8] Si rimanda ai dati resi noti dalla FAO all’interno del suo ultimo rapporto The State of World Fisheries and Aquaculture 2020 (2020) (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[9] M.H. Carr et al., The Central Importance of Ecological Spatial Connectivity to Effective Coastal Marine Protected Areas and to Meeting the Challenges of Climate Change in the Marine Environment, in “Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems”, XXVII (2017), 1, pp. 6-29.
[10] Si fa riferimento al precedente rapporto della FAO in The State of World Fisheries and Aquaculture 2018 (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[11] Per ulteriori informazioni, si rimanda allo studio pubblicato sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America). C. M. Roberts, B. C. O’Leary, D. J. McCauley, P. M. Cury, C. M. Duarte, J. Lubchenco, D. Pauly, A. Sáenz-Arroyo, U. R. Sumaila, R. W. Wilson, B. Worm e J. C. Castilla, Marine reserves can mitigate and promote adaptation to climate change, in “PNAS”, volume 114 numero 24 (13 giugno 2017) [ultima consultazione: 12 maggio 2021].
[12] Per ulteriori informazioni, si rimanda al sito governativo statunitense dedicato alla capitale dello Stato delle Hawaii Honolulu in City and country of Honolulu (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[13] S. J. Herman Cesar e J. H. Pieter van Beukering, Economic Valuation of the Coral Reefs of Hawai’I, in “Pacific Science”, LVIII (2004), 2, pp. 231-42.
[14] Un’ampia descrizione del Monumento Nazionale Marino Papahānaumokuākea è contenuta nel sito governativo statunitense della National Oceanic & Atmospheric Administration (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[15] Si rimanda ai dati e alle stime indicate sul sito internet di Protected Planet, che digitalizza l’archivio dati internazionale nonché intergovernativo del World Database on Protected Areas/ WDPA attivo dal 1981 (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[16] Si rimanda a Marine Conservation Institute, The Marine Protection Atlas (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[17] Come previsto dall’Articolo 82(1) della Convenzione del Mare, nel caso in cui la piattaforma continentale si estenda oltre il limite minimo delle duecento mg lo Stato costiero è obbligato a versare all’Autorità internazionale dei fondi marini una percentuale variabile del ricavato dell’attività estrattiva, per la successiva distribuzione tra i Paesi meno sviluppati o privi delle risorse prodotte nella piattaforma continentale.
[18] V. nota 16 dedicata a Protected Planet.
[19] Si rimanda alla cronistoria della nascita del Santuario dei Cetacei contenuta sul sito Internet del Pelagos Sanctuary (ultima consultazione: 9 giugno 2021).
[20] In riferimento alla Conferenza Intergovernativa ONU inizialmente organizzata e prevista a New York dal 16 al 27 agosto 2021, si rimanda al sito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e alla voce a questa dedicata (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
La Conferenza è stata posticipata con un intervento durante la settantacinquesima sessione dell’Assemblea Generale ONU del 9 giugno 2021 per motivi legati al perdurare della pandemia globale da COVID-19.
[21] S. Guan, Enforcement of associated protected measures in Particularly Sensitive Sea Areas, in “Paper presented at the 22nd International Conference of the Coastal Society 2010”, (2010), p. 4.
[22] Si rimanda a M. Rand, L. Karan, A. Kavanagh, W. Roberts, J. Briggs, T. Hickey, M. Kalinina e A. O’Connor Villagomez, The Drive to Protect 30% of the Ocean by 2030 (PEW Charitable Trusts, ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[23] La campagna 30×30 ha visto l’adesione del governo italiano durante il precedente esecutivo, come testimoniato dalle parole dell’allora ministro dell’Ambiente (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[24] “When Enric Sala quit his job as a professor at Scripps Institution of Oceanography in 2007, it was because he was tired of writing death notices. ‘I found myself writing the obituary of the ocean with more and more precision,’ he says” (cfr. Kennedy Warne, How preserving pristine seas can help save fish and the climate feature, National Geographic, 13 agosto 2020); (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[25] Si rimanda alla consultazione del progetto Pristine Seas curato da Enric Sala e dalla National Geographic (ultima consultazione: 12 maggio 2021).
[26] Secondo l’articolo 1 paragrafo VI della Convenzione Espoo, adottata nel 1991 ed entrata in vigore sei anni dopo, la Valutazione di Impatto Ambientale è “una procedura a livello nazionale per la valutazione dell’impatto potenziale ambientale di una determinata attività”. La Convezione sulla Diversità biologica e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha integrato in questa definizione i principi di “uso sostenibile” e dell’ “approccio ecosistemico”, definendola come “un esame, analisi e valutazioni di attività pianificate per assicurare uno sviluppo sostenibile e il rispetto dell’ambiente”.
Per ulteriori informazioni, si rimanda alla lettura e consultazione del rapporto della quarantesima sessione dell’UNEP (United Nations Environment Programme) tenutasi a Nairobi (Kenya) tra l’8 ed il 19 giugno 1987.
[27] Rispetto alla VIA, la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) presenta un approccio più olistico, tenendo in considerazione una serie di fattori in più rispetto alla precedente. Venne definita dalla Sesta Conferenza delle Parti alla Convenzione sulla Diversità Biologica, tenutasi a L’Aja dal 7 al 19 aprile 2002, come un “processo globale formalizzato, sistematico e di identificazione e valutazione delle conseguenze ambientali di una proposta di piani o programmi, per garantire che queste siano pienamente incluse e adeguatamente affrontate nella prima fase possibile del processo decisionale, al pari delle considerazioni economiche e sociali”.
A riguardo, cfr. Convention on Biological Diversity, Decision VI/7 , sez. b, par. 1 (“Strategic environmental assessment is the formalized, systematic and comprehensive process of identifying and evaluating the environmental consequences of proposed policies, plans or programmes to ensure that they are fully included and appropriately addressed at the earliest possible stage of decision-making on a par with economic and social considerations”).
[28] Le aree marine protette sono lo strumento migliore che abbiamo per tutelare la biodiversità marina e garantire lo sviluppo sostenibile degli oceani nei prossimi anni. Il tempo a disposizione per azioni dal forte impatto sono pochi, ma i margini all’orizzonte ben auguranti e la campagna 30x 30 è un percorso fondamentale per assicurare il raggiungimento di questi obiettivi.