Questo articolo è estratto dalla rivista Policlic n. 1 pubblicata il 27 maggio.
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Lo scorso 5 maggio la Banca Centrale Europea (BCE), con una nota pubblicata sul proprio sito ufficiale, ha preso “atto della sentenza della Corte costituzionale federale tedesca [rimanendo] pienamente impegnata nel suo mandato”. In questa sentenza, la Corte di Karlsruhe si è espressa in merito al Programma di acquisto del settore pubblico (PSPP), ovvero il programma di acquisti di titoli di Stato avviato dalla BCE a guida Draghi sotto la logica del whatever it takes come risposta alla crisi finanziaria del 2008. La pronuncia appare storica e singolare poiché mette in dubbio il primato del diritto europeo rispetto agli ordinamenti nazionali e l’operato degli organi europei, ponendosi così in contrasto con la sentenza del dicembre 2018 della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale aveva ritenuto legittima l’azione della BCE finalizzata alla stabilità dei prezzi.
L’analisi del caso sollevato dai giudici tedeschi cercherà di mettere in evidenza le diverse sfaccettature del sovranismo, il quale può manifestarsi non soltanto a livello mediatico e politico, ma pure attraverso la penna dei giudici.
Prescindendo dal merito dell’analisi economica, saranno allora le coordinate costituzionali a fornire lo Zeitgeist, ovvero lo spirito del tempo che attraversa tutti gli strati della società moderna fino ai suoi organi giurisdizionali. Spirito del tempo che si manifesta nel “prima i risparmiatori tedeschi”, secondo quanto può desumersi dalla pronuncia in commento.
È necessario chiarire che il risultato della sentenza non va eccessivamente esagerato. Non è la prima volta che un tribunale nazionale ritiene che una sentenza della Corte di giustizia europea sia ultra vires (vada oltre la sua competenza), o che manchi di una solida base giuridica (ad esempio, il caso Dansk Industri della Corte suprema danese e il caso Landtová della Corte costituzionale ceca avevano raggiunto conclusioni altrettanto controverse). Tuttavia, questa è in assoluto la prima volta che a farlo sia un tribunale tedesco, per di più la Corte costituzionale federale della Germania (di seguito “la Corte”).
Prima di esaminare la pronuncia nel dettaglio, occorre osservare come essa costituisca l’approdo di un procedimento iniziato da privati cittadini. A differenza dell’Italia, dove il singolo non può ricorrere alla Corte costituzionale se non con la mediazione del giudice, nella Repubblica Federale Tedesca esiste l’istituto del ricorso diretto di “chiunque” ritenga di essere stato leso da una pubblica autorità in uno dei propri diritti fondamentali. A seguito di una denuncia, presentata dinanzi ai tribunali tedeschi da un gruppo di circa 1.750 persone nel 2015, la questione della legalità del programma di Quantitative Easing (l’acquisto diretto della BCE dei titoli di Stato) è stata sottoposta alla Corte di giustizia europea nel dicembre 2018 (sentenza Weiss), che lo ha ritenuto legittimo. Il caso è tornato alla Corte tedesca, che si è pronunciata il 5 maggio. Diversi cittadini tedeschi hanno lamentato che l’allora (e odierno) governo Merkel, in concorso con il Parlamento, avesse omesso di adottare opportuni provvedimenti contro le azioni della BCE per verificare se le decisioni assunte il 4 marzo 2015 in materia di Quantitative Easing fossero coerenti con il “principio di proporzionalità”, ossia uno dei criteri atti a delimitare, ex articolo 5 del Trattato sull’Unione Europea, le competenze dell’Unione. In virtù di tale principio, “l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”. Secondo il principio di proporzionalità, “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”.
Partendo da questo assunto, possono allora meglio comprendersi le statuizioni della Corte, la quale ha assunto, come anticipato, posizioni piuttosto sovraniste.
In primis, essa ha messo in dubbio l’operato del giudice europeo – con riferimento alla suddetta sentenza del dicembre 2018 sulla legittimità dell’operato della BCE – il quale avrebbe apparentemente superato il proprio mandato giudiziario, così come determinato dalle funzioni conferitegli dall’articolo 19, paragrafo 1, TUE. Di conseguenza, le sue decisioni non sarebbero più coperte dal suddetto articolo 19 TUE, in combinato disposto con l’atto nazionale di approvazione.
In aggiunta, con riferimento in particolare alla Germania, queste decisioni mancano del minimo di legittimazione democratica necessaria ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 20, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 79, paragrafo 3, della Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz). Laddove una revisione ultra vires o una revisione dell’identità (azioni legittime della Corte di Lussemburgo al fine di una interpretazione uniforme dei trattati europei) sollevi questioni relative alla validità o all’interpretazione di una misura adottata da istituzioni, organi, uffici e agenzie dell’Unione Europea, la Corte costituzionale federale, in linea di principio, basa la propria revisione sulla comprensione e la valutazione di una misura proposta dalla Corte di giustizia europea. Tuttavia, il giudizio della Corte si poggia su un argomento fondamentale: quello secondo il quale le competenze degli Stati sovrani sono intoccabili. La Corte infatti ritiene che alla base della propria azione vi siano gli interessi fondamentali dello Stato, generalmente messi in discussione nell’interpretazione delle competenze conferite all’Unione nel quadro del suo programma di integrazione europea.
Inoltre, secondo la Corte, l’ampio potere discrezionale accordato alla BCE, in paio con lo standard limitato di revisione applicato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiaramente non riesce a dare un effetto sufficiente al principio di attribuzione e apre la strada a una continua erosione delle competenze degli Stati membri. Una lettura piuttosto conservatrice, poiché è presupposto dell’integrazione europea quello di trasferire i poteri sovrani degli Stati membri a istituzioni sovranazionali. Piuttosto che di diritto, si parla di autentiche posizioni politiche. Nonostante tutto, la Corte ritiene che, al fine di salvaguardare la democrazia, sia indispensabile rispettare le basi per la divisione delle competenze nell’Unione Europea. Infatti, la finalità dell’agenda europea sull’integrazione non è quella di minare il principio di attribuzione, uno dei dogmi fondanti l’Unione Europea. Secondo questa interpretazione, la democrazia e la sovranità del popolo sono imprescindibili e debbono essere scrutinate solo da una corte costituzionale di uno Stato membro dell’Unione.
Ritornando allora alla valutazione tecnico-giuridica della Corte, il programma per l’acquisto di titoli di Stato soddisfa il principio di proporzionalità nella misura in cui costituisce uno strumento adeguato e necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito. In altri termini, il principio di proporzionalità richiede che l’obiettivo di politica monetaria del programma e gli effetti di politica economica siano identificati, ponderati ed equilibrati l’uno rispetto all’altro. Laddove l’obiettivo della politica monetaria di un programma sia perseguito incondizionatamente e i suoi effetti di politica economica siano ignorati, esso viola manifestamente il principio di proporzionalità sancito dall’articolo 5, paragrafi 1 e 4, TUE. La valutazione di proporzionalità allora può essere fatta anche quando un organo europeo come la BCE non abbia un mandato per le decisioni di politica economica o sociale. I fattori che per i giudici tedeschi devono essere tenuti in considerazione nell’implementazione di tale programma di acquisto di titoli di Stato sono gli effetti che esso può avere su debito pubblico, risparmio personale, pensione e regimi pensionistici, prezzi degli immobili e mantenimento delle società economicamente non vitali. Questi dovrebbero essere i criteri individuati e da prendere in considerazione nella valutazione della proporzionalità ai sensi dell’articolo 5 TUE e, in una valutazione globale, da ponderare rispetto all’obiettivo di politica monetaria che il programma mira a raggiungere ed è in grado di raggiungere.
In aggiunta, la suddetta analisi rileva che il programma elimini manifestamente il divieto di cui all’articolo 123, paragrafo 1, TFEU (i famosi aiuti di Stato al pubblico). Anche in questo caso, la Corte propone una sua valutazione sulla valutazione che non dipenda da un unico criterio; piuttosto, richiede un esame generale e una delle circostanze rilevanti. In particolare, il limite al 33% e la distribuzione degli acquisti secondo la chiave di capitale della BCE impediscono l’adozione di misure selettive nell’ambito del programma di acquisto del settore pubblico a vantaggio dei singoli Stati membri, con l’Eurosistema che diventa il creditore di maggioranza di uno Stato membro. Di conseguenza, se il regime di condivisione del rischio per gli acquisti di obbligazioni nell’ambito del programma fosse soggetto a modifiche (retroattive), ciò inciderebbe sui limiti stabiliti dalla responsabilità di bilancio del Bundestag tedesco e sarebbe incompatibile con l’articolo 79, paragrafo 3, della Legge fondamentale. Si tratterebbe essenzialmente di un’assunzione di responsabilità per le decisioni prese da terzi con conseguenze potenzialmente imprevedibili, inammissibile ai sensi della Legge fondamentale.
Infine, la Corte mette in riga tutte le maggiori istituzioni della Repubblica Tedesca. Sulla base della loro responsabilità per quanto riguarda l’integrazione europea Integrationsverantwortung, il governo federale e il Bundestag tedesco sono tenuti ad adottare misure volte a garantire che la Banca Centrale Europea effettui una valutazione della proporzionalità. In altri termini, essi devono comunicare chiaramente il loro punto di vista giuridico alla BCE o adottare altre misure per garantire il ripristino della conformità ai trattati. Gli organi costituzionali, gli organi amministrativi e i tribunali tedeschi non possono partecipare né allo sviluppo né all’attuazione, esecuzione o messa in atto di atti ultra vires. Ciò vale generalmente anche per la Bundesbank.
Quali sono i motivi di questo aperto contrasto tra la Corte tedesca e le maggiori istituzioni europee? Sicuramente questo atteggiamento per gli addetti ai lavori non è nuovo, in quanto è solo l’ultima pronuncia alla fine di un percorso iniziato da almeno trent’anni, le cui radici affondano in alcune tradizionali impostazioni teoriche della dottrina costituzionalistica tedesca. I tribunali tedeschi hanno sempre avuto una relazione difficile con il principio di primato del diritto europeo, in particolare con la sua versione assoluta e incondizionata, come enunciato nella famosa sentenza Costa vs ENEL e ulteriormente elaborata in (inter alia) Internationale Handelsgesellschaft, Simmenthal, INCOGE e Melloni. Non accettando mai il primato assoluto del diritto dell’Unione, la Corte tedesca ha mantenuto il diritto di rivedere le leggi dell’UE sulla base della protezione dei diritti fondamentali, della revisione ultra vires e dei blocchi di identità.
Tuttavia, negli ultimi decenni si è sviluppata una complessa danza giudiziaria in cui questo caso segna un vero conflitto aperto tra la Corte di giustizia europea e la Corte tedesca, definito un faux pas.
Uno studio molto critico pubblicato questo mese ritiene che alla radice della posizione tedesca ci siano due assunti (o pregiudizi): l’indissolubilità del rapporto tra Costituzione, Stato, democrazia e omogeneità del popolo; la permanente scarsa democraticità dei meccanismi istituzionali europei, che deriverebbe essenzialmente dall’inesistenza di un popolo europeo. L’autorevole contributo critica con valide argomentazioni giuridiche entrambi gli assunti, ritenendoli “espressione di pregiudizi ideologici che non tengono conto della realtà storica, fattuale e soprattutto giuridica per come essa è ormai acquisita, nei Trattati e nella prassi costituzionale delle istituzioni europee”. Pertanto, si ritiene che il comportamento della Corte appare ultra vires in quanto sconsiderato e indizio di una certa rivendicazione sovranista tutta tedesca. In casi simili, infatti, altre corti costituzionali di Stati membri messe di fronte a scelte politiche simili hanno preferito il dialogo con la Corte di Lussemburgo piuttosto che lo scontro. Un esempio è il caso italiano di Taricco che ha coinvolto la nostra Corte costituzionale. Questo atteggiamento ha sempre portato a un equilibrio tra il primato del diritto dell’Unione Europea e il rispetto delle tradizioni costituzionali comuni.
Tuttavia, le reazioni delle istituzioni europee non si sono fatte attendere, a conferma dell’importanza dal punto di vista politico piuttosto che giuridico. Non sorprende che Eric Mamer, portavoce della Commissione europea, abbia rapidamente rilasciato la seguente dichiarazione: “Nonostante l’analisi dei dettagli della decisione della Corte costituzionale tedesca oggi, riaffermiamo il primato del diritto dell’UE e il fatto che le sentenze della Corte di giustizia europea sono vincolanti per tutti i tribunali nazionali”.
Da ultimo, si vuole evidenziare come la svolta sovranista sia avvenuta nel giro di quattro anni, considerando che la stessa “rosa” di giudici (sette su gli otto attuali) sotto la medesima presidenza Voßkuhle con sentenza del 21 giugno 2016 avevano respinto i rilievi degli stessi ricorrenti euroscettici tedeschi, allineandosi così alla sentenza resa in via pregiudiziale dalla Corte di giustizia (16 giugno 2015, C-62/14, Gauweiler) e stabilendo che i programmi della BCE di acquisto di titoli pubblici degli Stati membri (c.d. Outright Monetary Transactions) fossero conformi al Grundgesetz. I giudici tedeschi – dopo aver richiamato i principi della sentenza Gauweiler e i limiti costituzionali che presiedono alla partecipazione tedesca al processo di integrazione europea – avevano precisato che l’inerzia del Governo federale e del Bundestag rispetto ai programmi OMT non viola i diritti costituzionali dei ricorrenti di cui all’articolo 38, paragrafo 1, né il congiunto disposto degli articoli. 20, paragrafi 1 e 2, e 79, paragrafo 3, GG. Nonostante tutto, possono già cogliersi nel 2016 i segnali che la Corte tedesca aveva inviato ai propri colleghi a Lussemburgo e alla BCE. Partendo dal presupposto che la Corte di Karlsruhe accoglieva l’orientamento della Corte di giustizia secondo cui il programma OMT è in gran parte riconducibile alla politica monetaria dell’Unione (competenza esclusiva), i giudici hanno tuttavia affermato che la Banca federale tedesca potrebbe partecipare a un futuro programma OMT soltanto se i principi fissati in Gauweiler fossero rispettati[1]. In virtù di questi precedenti, sarebbe necessaria un’ulteriore analisi per valutare vincitori e vinti in questo dialogo: i risparmiatori tedeschi, l’Unione o la Corte di Karlsruhe.
In ogni caso, l’importanza della pronuncia potrebbe portare a una nuova era nelle relazioni tra la Corte tedesca e la Corte di giustizia europea, e quindi tra la sovranità degli Stati membri e la supremazia del diritto dell’UE. Ma il diritto dell’UE è pieno di sorprese, e questo giudizio potrebbe in pochi anni essere ricordato come eccentrico, anomalo, avulso dall’universo del diritto europeo. Sicuramente, se una pronuncia così articolata e tecnica ha fatto scalpore, facendo tremare le istituzioni europee e le corti di tutta Europa, significa che anche in Germania esiste una forma di sovranismo tutto alla tedesca, che si annida nei dettagli.
Francesco Spera per Policlic.it
Note
[1] A condizione, quindi, che gli acquisti non siano annunciati; il volume degli stessi sia previamente delimitato; sussista una differenza temporale minima tra l’emissione dei titoli pubblici e il loro acquisto; l’acquisto sia circoscritto ai titoli di Stati che hanno accesso ai mercati; i titoli siano detenuti fino alla loro scadenza solo in via eccezionale; gli acquisti cessino e i titoli siano rimessi sul mercato nel momento in cui l’intervento non sia più necessario.