La lunga storia della battaglia dei sessi
Nel mondo contemporaneo è consueto dibattere su questioni quali la parità di genere, il femminismo, il patriarcato, il gender gap. Questi argomenti, estremamente recenti e ancora controversi, per gran parte della nostra storia non hanno avuto alcuna rilevanza: a differenza di oggi, il contrasto dicotomico tra uomo e donna[1], nonostante a volte potesse essere particolarmente aspro, risultava sempre subordinato alla dipendenza reciproca dei due sessi, tanto nella cooperazione a scopo riproduttivo quanto in quella per la gestione domestica.
La vita dei nostri avi era caratterizzata da incertezza, violenza, guerra e prevaricazione[2]. Considerando tali condizioni di vita, si può affermare – forse in modo un po’ semplicistico – che le dinamiche culturali, politiche e storiche hanno portato a una canonizzazione delle mansioni dei due sessi all’interno della famiglia, del lavoro e della sfera pubblica.
Oggigiorno è assodato che vi sia la necessità di pari libertà e pari opportunità per ambo i sessi e in tutti in campi, ma non è sempre stato così. Se da un lato la donna ha vissuto per millenni privata del diritto all’autodeterminazione, dall’altro lato l’uomo ha convissuto con lo spettro della guerra e di una esasperata virilità; se la donna infeconda, disinibita o acuta era ritenuta inutile e pericolosa, allo stesso modo l’uomo debole, storpio o stolto era considerato un peso per la società.
L’origine di questo conflitto non è tanto imputabile alla pura e semplice differenza biologica, quanto piuttosto allo sviluppo di una discriminazione di genere sulla base di essa. È noto che le società fortemente guerrafondaie accentrassero il potere nelle mani degli uomini; ma la prima elaborazione di un’identità femminile, ben distinta da quella maschile, affonda le sue radici nella Grecia antica: in quel contesto si gettarono le fondamenta dei sistemi discriminatori e patriarcali che ci hanno accompagnati fino alle soglie del III millennio. La netta separazione tra i sessi era giustificata dalla filosofia e dalla “biologia” del tempo, che sostenevano la connaturata inferiorità della donna rispetto all’uomo[3].
La società in cui ha preso corpo questo sistema patriarcale e misogino era di stampo fortemente guerriero e aveva sviluppato un sistema sociale che prevedeva uno stretto controllo sulla famiglia e sulla discendenza. Il paradigma secondo cui l’uomo esercitava il predominio era nato in modo autonomo nelle società nomadi e guerrafondaie, ma ha poi trovato sostentamento teorico e filosofico nella letteratura arcaica[4], proiettandosi nella storia. Tale modello, infatti, ha non solo attraversato la classicità, tra lo splendore delle poleis greche e la potenza dell’Impero romano, ma si è radicato anche nei sistemi successivi, da quello medievale fino ai nostri giorni[5].
Meccanismi di potere nel mondo medievale: la condizione maschile
Chi deteneva più potere nel mondo medievale? I re e le regine? Le signorie feudali e i cavalieri? La città e la borghesia? La Chiesa e le istituzioni della cristianità? La risposta che gli storici potrebbero dare non è né semplice né certa: in questo lungo periodo la cultura, la religione e le abitudini si sono modificate enormemente, mutando anche in modo sostanzioso le interazioni di genere, oltre agli equilibri di potere. L’uomo, nell’evolversi della società medievale, ha indubbiamente rivestito molti ruoli[6]; la sua vita si articolava tra i campi e tra i feudi, nei monasteri e nelle città, occupando una posizione irrimediabilmente pubblica. La donna, invece, esercitava il proprio potere nell’ambito domestico e privato. Queste erano le norme di massima che governavano i ruoli di genere, sebbene vi fossero molte eccezioni, specialmente per la donna, che dipendevano dalle articolate dinamiche della società medievale, perennemente divisa tra le complesse situazioni della realtà laica e le contraddizioni di una stringente religiosità[7].
La Chiesa, nel corso del periodo tardoantico, affermandosi attraverso il controllo di vaste aree di territorio[8], era riuscita a diventare un’istituzione che regolava ogni aspetto della vita del popolo, dalla nascita alla morte. Le sue precise e rigide istanze morali assumevano un’importanza smisurata per i credenti, in quanto erano le regole da rispettare per il raggiungimento dell’eterna beatitudine. Ovviamente, anche in questo caso si tratta di una generalizzazione, in quanto le persone trovavano spesso il modo di eludere alcune regole o, per varie ragioni, non ne venivano condizionati più di tanto; ciò che è importante comprendere da questi aspetti generali è come il concetto di ateismo non fosse minimamente considerato e, soprattutto, come la morte e l’immaginario ad essa collegato condizionassero le persone in un modo che per un greco o per un romano sarebbe stato inconcepibile[9].
Un’ulteriore differenza rispetto all’antichità era il ruolo che veniva attribuito alla guerra nella letteratura e nella società. Se per l’uomo antico era di cattivo gusto teorizzare l’ars bellum[10], così non era per il cavaliere, che oltretutto combatteva per mestiere. La figura del cavaliere era legata all’osservanza del codice d’onore[11], ma era anche investita da una forte dignità religiosa; i più autorevoli esponenti della cultura religiosa, tra cui Bernardo di Chiaravalle, esprimevano il proprio sostegno a favore degli ordini cavallereschi[12]. La cavalleria garantiva l’acquisizione di un potere sociale, politico ed economico, e la sua importanza era direttamente proporzionale alla frequenza delle guerre.
Il religioso rappresentava l’altro grande esempio di uomo nella cultura medievale. I monaci, in quanto detentori di conoscenza, occupavano un ruolo preminente e, in virtù di ciò, erano considerati alla stregua di un gruppo elitario. Il monaco viveva da eremita, seguendo i precetti dell’ora et labora, ma allo stesso tempo gestiva grandi patrimoni terrieri, influendo sulla politica e articolando il pensiero filosofico che permeava la cultura medievale. Vi erano altre eminenti cariche legate alla Chiesa: vescovi, cardinali, frati; tutte personalità che esercitavano il proprio potere in luoghi e in modi estremamente eterogenei.
Le fasce più basse della popolazione lavoravano per assicurare il cibo a quelle più alte (cavalieri, feudatari, monaci). I contadini[13], analfabeti e poveri, erano in primo luogo produttori; al lavoratore della terra spettava l’onere delle corvées[14], del versamento dei canoni in danaro e delle esazioni. Alla testa dell’ordine gerarchico delle campagne (e spesso dei regni) vi era tutta l’aristocrazia feudale. I signori e le loro famiglie erano altresì legati a delle convenzioni, che queste dipendessero dal nome della famiglia, dalla ricchezza delle terre, dal potere esercitato o dai rapporti con i reggenti. L’aristocrazia era inoltre la fascia sociale che aveva il potere di iniziare e vincere le guerre, rappresentava il supporto immancabile per qualunque regno del tempo ed era la classe sociale di cui bisognava curare gli interessi per il quieto vivere. Gli uomini feudali erano guerrieri, amministravano il territorio ed esercitavano un potere sconfinato sui loro sottoposti, tra cui specialmente i contadini, cercando di intessere una rete familiare quanto più vasta possibile, attraverso matrimoni e scambi di favori[15]. Altri modelli di uomo, infine, erano il cittadino, l’artigiano e il mercante, legati agli intricati e affollati sistemi urbani che cominciarono ad affermarsi a partire dall’XI secolo.
La condizione femminile
Parlando delle categorie predominanti nella società medievale, si evince facilmente la netta predominanza di un sesso rispetto all’altro; se all’uomo spettavano competenze e incarichi pubblici, la donna era relegata al ruolo di moglie, madre ed economa, a meno che non prendesse il velo:
A differenza dell’uomo, le donne di solito non vengono descritte da quello che fanno, ma dalla loro condizione coniugale. Così la mente medievale tende a classificare le donne come segue: fanciulle, mogli, suore e vedove.[16]
La figura della figlia[17] vergine era rilevante per intrecciare rapporti familiari con l’esterno. La donna era, infatti, la merce di scambio più comune per rafforzare le alleanze tra famiglie o per costruirne di nuove. Il ruolo strumentale che rivestiva ne oscurava il destino individuale e le aspirazioni personali. Le unioni avevano un carattere simbolico, sia nell’ambito economico che in quello sociale. La scelta del coniuge è stata oggetto di aspri conflitti tra il mondo laico e la Chiesa[18], dal momento che la famiglia, per ovvie ragioni patrimoniali, puntava al matrimonio tra parenti, mentre la Chiesa riteneva lecite le sole unioni tra membri di famiglie differenti. Questa disputa ebbe importanti conseguenze: per esempio, il rito smise gradualmente di essere celebrato in casa e iniziò a essere celebrato nelle chiese, al fine di garantire un maggiore controllo della Chiesa sul sacramento. Nonostante ciò, le famiglie cercavano di aggirare i veti e le limitazioni, e quelle facoltose e in vista continuavano a celebrare i riti in casa[19]. Nelle famiglie ricche, in particolare, il matrimonio aveva ripercussioni anche sul rango della donna, che difficilmente veniva rispettato; era infatti pratica comune che una figlia fosse data in sposa a un uomo di rango inferiore. Il fatto che questo avvenisse con una certa frequenza è confermato dal topos letterario medievale della donna che insulta e schernisce il marito, lamentandosi della propria sorte infelice.
La norma sociale esigeva che dei beni[20], per piccoli che fossero, venissero dati da una famiglia all’altra, così da sugellare il patto matrimoniale. Nell’Alto Medioevo, alcuni beni venivano ceduti dalla famiglia del marito a quella della moglie, per risarcire la perdita della figlia. La dote ha cambiato poi notevolmente significato nel corso dei secoli, andando a sfavorire la posizione della donna e ad aumentare il potere della famiglia e del marito. I beni venivano portati dalla moglie, ma nonostante venissero “dati” al marito, rappresentavano un tesoretto personale della neo sposa, la quale poteva avere un proprio patrimonio e una propria indipendenza alla morte del marito. A partire dal XII secolo, la dote divenne più cospicua, soprattutto in confronto ai doni del marito. Tra XIV e XV secolo, la donna perse progressivamente ogni diritto sul patrimonio che portava in dote e, dopo la morte del marito, conservava solo l’usufrutto, senza la facoltà di trasmettere i beni per via testamentaria.
Una volta contratto il vincolo matrimoniale, la moglie veniva assorbita all’interno di una nuova famiglia e relegata all’ambiente domestico. Il controllo maschile nella vita coniugale era primariamente legato alla sessualità e alla discendenza: nella procreazione, l’uomo contribuiva con la purezza del “sangue”, mentre la donna era declassata a ruolo di “contenitore” entro cui far maturare un erede sano e forte. Questa concezione, che non prevedeva un ruolo attivo della donna, portava l’uomo a temere una contaminazione della discendenza.
Nella vita di una donna le gravidanze erano frequentissime: si calcola infatti che l’intervallo medio tra due nascite fosse di circa ventuno mesi[21]. L’elevata frequenza delle nascite dava luogo a fenomeni molto diversi, in base al ceto di appartenenza. Le famiglie abbienti, che necessitavano di una discendenza per poter trasmettere le ricchezze e il titolo, cercavano di scongiurare l’alto tasso di mortalità infantile procreando il più possibile, con l’aiuto delle balie. Dall’altra parte vi erano le famiglie con poche risorse, che non potevano permettersi molti figli e che spesso ricorrevano all’infanticidio o all’abbandono negli ospedali degli innocenti[22].
Le frequenti gravidanze erano in qualche modo legate alla comune credenza che la donna fosse incline a impulsi sessuali incontenibili, e che all’uomo spettasse il dovere di porle un freno e soddisfarla regolarmente[23]. Inoltre, una credenza popolare affermava che una donna, per poter concepire, dovesse provare piacere e raggiungere l’orgasmo. Si potrebbe pensare a un punto a favore della donna, ma non è così. In caso di stupro, l’uomo non sarebbe stato perseguibile: se la donna non fosse rimasta incinta, non avrebbe avuto prove; se fosse rimasta incinta, non avrebbe potuto dimostrare di non aver goduto durante l’atto e dunque di aver subìto violenza. Bisogna comunque sottolineare come la sessualità nel Medioevo fosse molto più libera di quanto normalmente si pensi: il piacere non era un tabù e persino le relazioni extraconiugali facevano parte di un immaginario comune, come riportato spesso dalla letteratura.
Il posto della donna era in casa: raramente le era consentito di uscire dal perimetro domestico e vagare per luoghi non concordati[24]. I timori maggiori dell’uomo erano la furbizia e la disonestà femminile; si temeva che una donna libera potesse incontrare altre donne e ordire raggiri ai danni del marito. Tuttavia, non possiamo attribuire integralmente la colpa all’uomo: la legge puniva gli uomini che non erano in grado di controllare le proprie donne, sia nel caso in cui li sfidassero, sia nel caso in cui li mettessero in ridicolo.
La vedovanza era una delle frequenti conseguenze della guerra. Le donne che dipendevano completamente dal lavoro maschile, come le contadine, sarebbero probabilmente morte di stenti, ma in tante beneficiavano della perdita; a trarre vantaggio da questa condizione erano le aristocratiche, le borghesi e le mogli di ricchi artigiani. La vedova possedeva l’intero usufrutto del patrimonio dell’uomo[25], e anche se non poteva ereditare poteva comunque gestire l’attività del marito. Inoltre, una ricca signora padrona di un feudo, una volta morto il marito, rimaneva per poco tempo “la moglie del signore” e poteva presto diventare l’amministratrice di terre e beni, rivestendo l’incarico in prima persona. Va aggiunto poi che la donna, se non moriva di parto, era solitamente più longeva dell’uomo, che invece moriva frequentemente in guerra o rimaneva vittima di crimini violenti. La longevità femminile era considerata dalla società un segno di forza e saggezza, mentre quella maschile era una vergogna e una manifestazione di debolezza[26].
La monaca era un’altra figura femminile di potere: poteva essere istruita, aveva voce in capitolo nelle questioni politiche e poteva amministrare ingenti patrimoni. Non tutte le religiose avevano la stessa fortuna e lo stesso potere, ma erano comunque sottoposte a un controllo diverso, per quanto stringente.
È chiaro che la donna – contadina, castellana o santa – è stata caratterizzata in base al suo corpo, al suo sesso e alle sue relazioni familiari: la personalità giuridica e l’etica quotidiana erano definite in funzione del rapporto con un uomo o con un gruppo di uomini. Nonostante ciò, le donne avevano delle funzioni nella vasta scacchiera sociale del Medioevo, e la complessità della dialettica tra i due sessi non merita di essere ridotta a una visione ristretta di una condizione femminile soggiogata o danneggiata[27].
Conclusione
La finestra che si apre sui secoli medievali è soltanto una parte della storia, un resoconto parziale di una società caratterizzata da una cultura e da dinamiche molto diverse dalle nostre. Nei secoli precedenti e successivi al Medioevo si è consumato un confronto, a volte più simile a un conflitto, che ha sicuramente penalizzato la figura femminile per molti versi, ma che ha in generale costretto uomini e donne dentro schemi comportamentali rigidi e spesso discriminatori.
Ciò che appare più chiaro, guardando in generale il nostro passato e il nostro presente, è il modo in cui veniamo definiti dalla cultura e dalla società, le quali imprimono schemi comportamentali definendo la morale comune, i valori e il generale giudizio positivo o negativo su diversi aspetti. Questo condizionamento ci appare oggi sotto una luce diversa, in quanto la cultura e la società vengono plasmate da mezzi di propagazione molto più potenti di un pulpito di una chiesa, di un pamphlet o di una commedia satirica. Oggi i media fanno da padroni, ci bombardano di stimoli, spesso distorcendo la realtà e dando un’immagine sommaria delle informazioni, semplificata per una più rapida digestione. In questo panorama, che in certi casi ha assunto connotati distopici, l’uomo e la donna si trovano nuovamente guidati da linee invisibili che dettano i comportamenti più appropriati, le opinioni più giuste e che ancora portano in molti casi allo scontro.
Anche se nella contemporaneità possiamo sentirci più liberi, quanto meno in Occidente, grazie alle prospettive più aperte dell’opinione pubblica verso molte tematiche, non bisogna dimenticare che è facile venir trascinati in nuovi meccanismi di condizionamento, sempre più evoluti ed efficaci. Non è lontano dal nostro presente l’esempio americano descritto, in maniera cruda e puntuale, in The problem that has no name di Betty Friedan. Se da una parte le due guerre avevano imposto una riconfigurazione emergenziale del ruolo femminile, dall’altra parte, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, nelle città e nei sobborghi americani si era imposta una nuova forma di subordinazione, più subdola e velenosa. In quegli anni si attuò una vera e propria distorsione mediatica della vita domestica e dei ruoli di genere: bisognava sposarsi prestissimo – se non già al liceo, quanto meno al college; prima si iniziava la vita coniugale e familiare, prima si facevano figli e ci si legava al focolare, più la vita sarebbe stata perfetta. Tutte le ambizioni e i desideri di una ragazza venivano annullati in nome del “sogno americano”.
Anche gli uomini furono inquadrati in questo meccanismo: costretti a recitare il ruolo di marito perfetto, uomo di successo e padre integerrimo, erano impossibilitati ad avere un rapporto sano ed equilibrato. Le conseguenze di questo modello precostituito causarono seri problemi a intere generazioni di donne e alle famiglie, degenerando in alcolismo, depersonalizzazione, disturbi ossessivi.
Qual era questo problema senza nome? Quali erano le parole che le donne hanno provato ad usare cercando di esprimerlo? Qualche volta una donna diceva “Mi sento vuota… incompleta” […] “Mi sento come se non esistessi”. A volte sopprimeva la sensazione con un tranquillante […] andava da un medico con sintomi che riusciva a malapena a descrivere: “Una sensazione di stanchezza… mi arrabbio così tanto con i bambini che mi spaventa… mi viene da piangere senza nessuna ragione”.[28]
Anche se oggi in Occidente ci siamo lasciati in gran parte alle spalle questi scenari, bisogna ricordare che il lungo processo di emancipazione dai ruoli convenzionali di entrambi i sessi non è ancora concluso; è manifesto che le conflittualità sono ancora moltissime, alimentate da discriminazioni, lotte di genere e da una generalizzata diseducazione al rispetto reciproco. I nuovi concetti di genere[29], sessismo o radicalizzazione femminista[30] sono i più recenti schemi entro cui le persone si definiscono e rischiano di affondare, dimostrando quanto ancora si cerchi di creare rigide impostazioni culturali, che in un modo o nell’altro nuocciono a chi non vi si adegua.
Il futuro delle generazioni di oggi è probabilmente a un bivio e sarà sempre più influenzato dai nuovi metodi di comunicazione e dalle nuove tecnologie, attraverso cui la propaganda e le istanze culturali potranno essere sempre più incisive e frequenti. Ciò che dovremmo imparare dal passato, e in parte dal nostro presente, è che senza una visione critica e una tolleranza maggiore non possiamo sperare in un futuro migliore. Si deve auspicare che la società assuma posizioni sempre più aperte al confronto, allontanandosi dalle radicalizzazioni, oltre che da azioni di propaganda e di odio, per arrivare finalmente all’accettazione di tutte le diversità.
Silvia Curulli per www.policlic.it
Riferimenti Bibliografici
[1] Di recente, la società ha modificato questa visione, includendo il non binarismo di genere, la transessualità e altre condizioni in cui il sesso biologico non è coerente con l’identità dell’individuo: “Le ricerche, condotte su nuovi campi e in maniera sempre più analitica, sulla costruzione dell’identità di genere e sulle sue diverse conformazioni, hanno sollecitato il superamento di una più o meno tendenziale chiusura identitaria e autoreferenzialità dei movimenti femminista e omosessuale […] I Queer studies e i Transgender studies si sono rivelati più innovativi e propositivi, anche perché fanno riferimento a situazioni in cui la non coincidenza dell’identità di genere con il sesso biologico dispone a una serie di rapporti differenziati tra identità di genere e identità sessuale.” (Cfr. voce Gender/genere, in Enciclopedia online Treccani)
[2] Le condizioni di vita preindustriali non permettevano un affrancamento dei due generi dai propri ruoli; per una panoramica più dettagliata si veda Sistemi edilizi: antichi e nuovi equilibri tra comfort e consumo, in Policlic n. 7, gennaio 2021.
[3] U. Eco et al., L’Antichità, EM Publishers, Milano 2012, pp. 256-262.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] “Adalberone distingue tre componenti nella società cristiana: oratores, bellatores, laboratores, quelli che pregano, quelli che combattono, quelli che lavorano. Lo schema corrisponde al paesaggio sociale all’indomani dell’anno Mille. Ci sono in primo luogo i chierici e, più specialmente, i monaci […] la cui funzione è la preghiera che li mette in rapporto col mondo divino e dà loro un eminente potere spirituale sulla terra; poi i guerrieri e, più in particolare, quel nuovo strato sociale di combattenti a cavallo che diventerà una nuova nobiltà, la cavalleria che protegge con le armi gli altri due ordini; infine il mondo del lavoro, rappresentato essenzialmente dai contadini le cui condizioni giuridico-sociali tendono a unificarsi e che danno da vivere col prodotto del loro lavoro agli altri due ordini.” J. Le Goff et al., L’uomo medievale, Editori Laterza, Edizione digitale: 2014, p. 16.
[7] “In questa società, dominata, impregnata fino alle sue più intime fibre della religione, un tale modello, evidentemente, era definito dalla religione e, in primo luogo, dalla più alta espressione della scienza religiosa: la teologia. Se c’era un tipo umano da escludere dal panorama dell’uomo medievale era proprio quello di chi in modo assoluto non crede.” Ivi, p. 8.
[8] A. Augenti, Archeologia dell’Italia medievale, Editori Laterza, Bari 2016, pp. 60-68.
[9] La visione del concetto di aldilà è complessa e articolata; si può approfondire in J. Le Goff, La nascita del purgatorio, Einaudi, Torino 1996, pp. 23-60 oppure in U. Eco et al., op. cit., pp. 634-640.
[10] U. Eco et al., op. cit., p. 205.
[11] J. Le Goff et al., op. cit., pp. 79-117.
[12] “Nel 1128 interviene al concilio di Troyes (13 gennaio), ove fa da segretario e ispira la formazione della Militia Templi, i cosiddetti Templari, per combattere gl’infedeli in Terra Santa, scrivendo, per esaltarne lo spirito, il De Laudibus novae militiae.” R. Manselli, Bernardo di Chiaravalle, in Enciclopedia online Treccani.
[13] Si può approfondire in J. Le Goff et al., op. cit., pp. 118-144
[14] Giornate di lavoro gratuito dovute al signore del feudo.
[15] J. Le Goff et al., op. cit., pp. 79-117.
[16] “Unlike man, women are not usually described by what they do but by their marital condition. Thus the medieval mind tends to categorize women as follows: maidens, wives, nuns and widows.” I. Mortimer, The time traveller’s guide to medieval England, Vintage, London 2009, p. 53.
[17] L’età media delle ragazze da maritare era molto più bassa di quella degli uomini, i quali in media prendevano moglie alla soglia dei trent’anni. Questa differenza dipendeva dalla necessità maschile di raggiungere la solidità economica. J. Le Goff et al., op. cit., p. 302.
[18] “Forse, come ha sostenuto di recente l’antropologo Jack Goody, la Chiesa desiderava che si contraesse il minor numero possibile di unioni matrimoniali, espediente, come si è detto, destinato ad assicurare la sopravvivenza dell’umanità fino alla fine dei tempi, e che la maggior parte di esse rimanessero poco feconde, per moltiplicare le occasioni in cui i beni delle parti interessate le toccherebbero?” Ivi, p. 299.
[19] J. Le Goff et al., op. cit., pp. 289-316.
[20] “l’intento riposto di tali scambi di prestazioni e controprestazioni sta in altro: essi tendono a legare molto saldamente le due famiglie impegnate nel gioco di doni e di ricambi che, sapientemente graduati, significano la loro amicizia, mentre, al tempo stesso, specificano le rispettive posizioni sociali.” Ivi, p. 294.
[21] J. Le Goff et al., op. cit., p. 304.
[22] Se una donna povera aveva un figlio mentre ne stava ancora allattando un altro, la morte di uno dei due era certa, poiché non era in grado di sfamarli entrambi. La mortalità infantile, che essa dipendesse dalla scelta dei genitori o meno, era frequente proprio tra i ceti più poveri della popolazione. Anche se la linea di sangue era importantissima per qualsiasi famiglia, i bambini non erano ben visti: dovevano crescere rapidamente, e l’affetto dei loro genitori, seppur caldeggiato dalla Chiesa, era più simile all’indifferenza.
[23] L’appetito sessuale femminile era ritenuto talmente grande da prevedere delle prassi per le vergini che stavano aspettando troppo per sposarsi. Prima si tentava con le medicine; se queste non funzionavano, interveniva una levatrice, che doveva lubrificare le dita con olio e inserirle nella vagina della donna per stimolarla (“if this regimen does not work, and the lust brings on a fainting fit, a woman should find a midwife who should lubricate her fingers with oil, insert them into her vagina and move them vigorously about.” I. Mortimer, op. cit., p. 55).
[24] “Il cuore della casa medievale è la camera, dove la donna se ne sta, lavora, concepisce, partorisce, e dove morirà. Sappiamo ancora pochissimo sulla vita biologica della donna maritata, sugli effetti che hanno sul suo corpo e sul suo comportamento le funzioni che le vengono assegnate.” J. Le Goff et al., op. cit., p. 301.
[25] Nel momento in cui si fosse risposata avrebbe perso ogni diritto sul patrimonio, che sarebbe poi andato ai suoi eredi.
[26] I. Mortimer, op.cit., p. 57.
[27] J. Le Goff et al., op. cit, p. 289-316.
[28] “Just what was this problem that has no name? what were the words women used when they try to express it? Sometime a woman would say ‘I feel empty…incomplete’ […] ‘I feel as if I don’t exist’. Sometimes she blotted out the feeling with a tranquillizer […] she went to a doctor with symptoms she could hardly describes: ‘A tired feeling…I get so angry with the children it scares me…I feel like crying without any reason’.” B. Friedan, The problem that has no name, in The Feminine Mystique, W W Norton & Co, New York 1963.
[29] Con nuovi concetti di genere non ci si riferisce a definizioni come fluidità di genere, transessualità o cambio di sesso, ma piuttosto a una marcata contrapposizione tra uomo e donna, che sfocia sempre più frequentemente in misoginia o misandria. Un caso recentissimo ed emblematico di dibattito mediatico si è avuto sul libro Io odio gli uomini di Pauline Harmange.
[30] In riferimento, per esempio, alle femministe TERF, o ai movimenti femministi che con la radicalizzazione esprimono posizioni controverse contro il genere maschile.