Paolo Gentiloni: “La diversificazione degli approvvigionamenti energetici è un interesse della nostra sicurezza nazionale”
Se l’affermazione del Presidente del Consiglio fosse vera, perché i cittadini sentono la necessità di contrastare l’opera?
I rischi del gasdotto
Come già è stato evidenziato nel precedente focus, il progetto Tap presenta innumerevoli problematiche, accompagnate anche da una serie di rischi di tipo ambientale e progettuale. Parlando di un’infrastruttura che trasporta gas naturale ad una rilevante velocità e pressione è impossibile escludere la possibilità di malfunzionamenti o, peggio, incidenti. Sicuramente il primo a risentirne è il territorio: mare e terra, protagonisti della struttura sociale e dell’economia salentina. Un inconveniente di qualsiasi portata (esplosioni, perdite…) sarebbe catastrofico per l’ecosistema, specialmente per una realtà che dalla natura trae beneficio e sostentamento.
Ad aggravare la questione è l’assenza, nel consorzio che realizza Tap, di società specializzate nella costruzione di gasdotti, dato che nessuna delle società coinvolte ha effettiva esperienza nel campo: probabilmente, anche a causa di ciò, il progetto prevede di far attraversare al “microtunnel” 8 km di terreno cedevole, costituito da sabbia, acqua e materiale friabile e incoerente. Basti pensare che le barriere jersey che circondano il cantiere sono sprofondate di diversi centimetri nell’arco di pochissimi mesi, mentre il gasdotto dovrebbe operare stabilmente per almeno 70 anni. Inoltre a brevissima distanza dal tubo sono presenti due importanti falde acquifere, rispettivamente a un metro e mezzo e a dodici metri di distanza, oltre alla palude di Cassano ad altissimo rischio idrogeologico.
Un altro possibile rischio, diventato ormai un problema tecnico-economico, è rappresentato dal punto di approdo in località San Basilio (San Foca). Come da prassi, i microtunnel come quelli di Tap si costruiscono necessariamente con condizioni geologiche favorevoli e Tap stessa – in una sua pubblicità – paragona il suo approdo con quello della spiaggia di Cala Gració ad Ibiza. Eppure, non considerando le irrisorie dimensioni del tunnel e del terminal delle Baleari, questi poggia in realtà non sulla spiaggia ma cinquecento metri più a nord su di una solida scogliera. Secondo noi, dunque, il termine di paragone non può assolutamente esistere anche se è ciò che Tap vuole far credere.
I pericoli della centrale
Dopo essere approdato a San Foca il gasdotto si allaccia alla rete SNAM attraverso un PRT (“Pressure Reduction Terminal”), una centrale di depressurizzazione, stoccaggio, misura fiscale e di controllo di circa dodici ettari che servirà come stazione di passaggio del gas. Dalla relazione dell’Ing. Alessandro Manuelli, autore di un approfondito e interessante studio a riguardo, è però emerso che “questa centrale non è equiparabile ad una semplice stazione di pompaggio. Inoltre sia per le dimensioni, sia per la quantità di sostanze altamente infiammabili trattate, risulta essere uno stabilimento altamente pericoloso”. Di parere contrario è però il Governo che ritiene il PRT in linea con la normativa SEVESO (normativa rischio incidenti rilevanti) nonostante l’Unione Europea non si sia, fino ad oggi, ancora espressa definitivamente in quanto ritiene che i progetti vadano analizzati caso per caso.
Ma quali sono i rischi effettivi?
Innanzitutto bisogna sottolineare il fatto che, al mondo, centrali come quella progettata da Tap non esistono ed in generale, dato che sono altamente pericolose, le centrali sono costruite esattamente nel punto di approdo del gasdotto, con il minimo tratto di tubo ad alta pressione dal mare al PRT. Nel caso di Tap, la distanza effettiva è invece di ben otto chilometri con 145 bar di pressione ad un metro e mezzo di profondità in mezzo a case, campagne e zone turistiche. L’unico esempio di centrale simile a quella di Tap si trova in Francia e dal suo concepimento nel 2011 sino ad oggi non ha mai funzionato, in quanto per il modo in cui è costruita causa puntualmente problematiche più o meno rilevanti, come perdite di gas.
Stando sempre alle analisi del dott. Manuelli, i pericoli si insidiano anche nelle “normali” attività dell’impianto: sono presenti, infatti, due torce fredde alte dieci metri l’una il cui utilizzo può variare da situazioni di emergenza a manutenzione ordinaria e che scaricano nell’aria il gas ad alta pressione e ad una velocità prossima a quella del suono. Nell’eventualità peggiori, il gas emesso genera delle nubi non confinate (UVC) con l’elevata possibilità di incendi o, ancora peggio, esplosioni che potrebbero verificarsi in un qualsiasi centro abitato nel raggio di sessanta chilometri. Non a caso, questi PRT vengono normalmente costruiti almeno a sette chilometri di distanza dalle prime case e non nel mezzo di quattro comuni che contano trentamila abitanti (la cittadina di Vernole si trova a soli ottocento metri di distanza, Melendugno milletrecento).
È stato calcolato che la peggiore delle esplosioni avrebbe una potenza di circa 1 kilotone, 1/15 della bomba” Little Boy” sganciata su Hiroshima. Ovviamente, se un’eventuale esplosione rappresenta un problema diretto ed immediato, non mancano certo le ripercussioni a lungo termine sulla salute già precaria dei salentini: la Lilt (Lega Italiana della Lotta ai Tumori) sostiene, infatti, che in un territorio martoriato da decenni dagli stabilimenti Ilva e Cerano, che producono circa il 90% delle diossine italiane, un ulteriore insediamento industriale sarebbe senza dubbio catastrofico per l’incolumità della popolazione. “È scientificamente ormai acquisito che il 90% dei casi di cancro è dovuto alla presenza nell’ambiente, inteso in senso lato, di fattori di rischio oncologico” afferma l’associazione, togliendo ogni dubbio su come degli ulteriori e regolari scarichi di gas nell’atmosfera siano altamente dannosi e insostenibili. Inoltre, in aggiunta ai danni alla salute, non bisogna naturalmente escludere i danni all’ambiente. È difatti noto che “il metano, principale componente del gas naturale, è un gas con potenziale climalterante 21 volte superiore al CO2, per cui il suo scarico in atmosfera andrebbe accuratamente evitato” conclude fermamente l’ingegnere Manuelli.
Infine, dopo aver analizzato ancora una volta la marea di problematiche che Tap porta con se ci sembrano sempre più annebbiati i motivi della sua realizzazione e la pressione che le istituzioni esercitano in merito alla sua costruzione. Ci domandiamo come questo progetto possa funzionare, come sia pensabile riuscire ad accendere una centrale che, senza dubbio, spegnerà il futuro di un territorio che già per metà “è al buio”. Il dio denaro vale davvero più della nostra salute, della nostra sicurezza e del nostro consenso? Noi quindi, senza peli sulla lingua, ribadiamo il nostro No ad un’opera dannosa, pericolosa ed inquinante, No ad un’opera speculativa e nell’interesse di pochi, No ad un’opera che non apporta nessun beneficio a territorio e comunità, No ad un’opera inutile e superflua, No ad un’opera imposta che vìola e violenta la democrazia ma diciamo Sì ad un futuro sostenibile e nel rispetto di salute e ambiente, nel vero interesse della comunità e di una più “sana” economia di sviluppo.
Francesco Longo, Luca Abatianni e Daniele Candido per Policlic.it