Un vaccino per la comunicazione, una comunicazione per il vaccino

Un vaccino per la comunicazione, una comunicazione per il vaccino

A distanza di un anno, quali effetti ha avuto la “virocrazia” sull’informazione medico-scientifica?

La situazione emergenziale provocata dalla pandemia di COVID-19 ha portato, nel biennio scorso, all’irruzione sulla scena comunicativa e politica degli specialisti medico-scientifici di settore. Una salita alla ribalta che, un anno fa, spinse chi scrive ad analizzare per Policlic.it[1] lo stato dell’informazione scientifica in Italia, la comunicazione generalista sul tema COVID, il rapporto tra scienziato e TV, l’evoluzione in senso mediatico della figura del virologo e la sua percezione da parte dei mass media nazionali. Un anno dopo, quella “virocrazia” (termine da intendersi come affermazione del virus e delle categorie professionali ad esso connesse quali presenze dominanti nel dibattito pubblico, e non certo come instaurazione di un presunto regime tecnocratico) torna ad essere oggetto di studio per rilevare quali caratteristiche abbia assunto o si siano consolidate, quali reazioni abbia provocato nel resto della comunità scientifica e nell’opinione pubblica, quali effetti abbia avuto sulla comunicazione generalista e di settore.

Rispetto al precedente lavoro, stavolta non sarà preso in esame un parallelo con Tangentopoli. Se oggi restano valide diverse lezioni di quella stagione storica[2] – tra cui evitare una divisione manichea tra la politica e una specifica branca professionale (ieri giuridica, oggi scientifica) e soprattutto non abbandonare i rispettivi ruoli – le differenze tra i due periodi rilevate un anno fa si sono fatte più marcate. Una su tutte, la differenza nell’attenzione dei media che, all’opposto della narrazione condivisa negli anni di Mani Pulite, non lesinano critiche o ironie sui pareri discordanti e la litigiosità dei medici saliti alla ribalta mediatica. Un fattore comune, però, si conferma ed è perfettamente chiaro anche ai professionisti di settore: il mondo scientifico, come durante Tangentopoli quello giuridico, volente o nolente esprime oggi un’influenza politica mai vista prima. Il punto, e questo sarà il vero leitmotiv del presente articolo, sta nel modo in cui viene comunicativamente espressa questa influenza e quali effetti ha o potrà avere sull’opinione pubblica. Sintetizzando in una domanda: la comunicazione sulla COVID, considerata nel suo complesso e nell’arco di un anno, ha contribuito ad arricchire il dibattito sulla scienza, l’informazione di settore, la considerazione della comunità per il mondo scientifico?



La scienza della certezza

Per quanto concerne il tema della litigiosità tra quelli che i media definiscono “virologi star”, va fatta una precisazione. Il fatto che più medici esprimano opinioni diverse sulla medesima materia, ad esempio la COVID-19, è di per sé normale. Il famoso secondo parere[3] è, anzi, un diritto irrinunciabile del paziente. La ricerca di una certezza univoca da parte dei media è stata forse un errore concettuale, espresso in altre forme dallo stesso Ordine dei giornalisti, come si vedrà più avanti. Va anche detto che, l’inverno scorso, alcuni dei medici più noti al grande pubblico mostrarono timidi segni di concordanza su temi quali la chiusura delle scuole[4] o degli impianti sciistici[5], senza scordare l’ovvia concordia sull’importanza di vaccinarsi. Un errore a livello comunicativo, tuttavia, si può ravvisare a monte. Ovvero quello di non essere riusciti a canalizzare l’informazione sanitaria, in un periodo storico di eccezionale emergenza, in un flusso unico di comunicazioni promanate dalle sole autorità sanitarie e politiche. Si sarebbe così evitata, forse, quella divisione in mille rivoli tra altrettante figure professionali che hanno invece invaso la scena. Un altro errore, in questo caso dei singoli soggetti coinvolti, sono stati i toni che hanno caratterizzato tali discussioni con i colleghi, incarnanti le peggiori forme di comunicazione politica[6] agli occhi di giornali e pubblico.

Va anche detto che una pandemia di queste dimensioni ha colto di sorpresa tutti, inclusa la comunità medico-scientifica, non preparata a confrontarsi con una comunicazione massmediatica. Così “Quotidianosanità.it” scriveva il febbraio scorso:

Nei continui rapporti con un pubblico ed una stampa medica e laica resi pressanti dalla tragicità del momento, medici e scienziati hanno infatti dovuto far fronte ad un compito difficile ed a forte rischio di contraddizioni: ammettere la quasi totale assenza di informazioni scientificamente solide; evitare che ciò potesse creare ulteriore ansia, angoscia o panico; non venir meno ad un responsabile sostegno alle decisioni delle Istituzioni.[7]

La mancata ammissione della fallibilità insita nella ricerca scientifica, e del lungo tempo che essa richiede prima di poter dare risposte o soluzioni valide, testimonia un panorama culturale non adeguatamente curato, impreparato a concepire la vera natura della scienza e, per questo, disperatamente alla ricerca di guide e risposte nel momento in cui si è scatenata l’emergenza.

Alcune voci autorevoli si sono levate per sottolineare come la raccolta di tali informazioni sarebbe stata lunga, complessa e caratterizzata da possibili (e per certi versi inevitabili) “errori di percorso”. Altre voci, più numerose, hanno invece preferito, probabilmente con un obiettivo di tipo consolatorio (e forse anche per evitare di alimentare la paura che sempre accompagna l’ignoto), disegnare uno scenario più favorevole.[8]

Superata la traumatica situazione dei primi mesi, le cose non sono tuttavia migliorate nel periodo successivo. Non solo non si è approntata una più efficace e corretta comunicazione, ma quella in atto è dilagata senza freni:

si può forse convenire sul fatto che l’atteggiamento più appropriato, sia per la stampa laica che per gli scienziati, si sarebbe dovuto basare sulla comunicazione scarna e precisa delle informazioni scientifiche disponibili e sull’altrettanto precisa ammissione della limitatezza della scienza in assenza di studi e dati concreti, evitando previsioni e note promissorie legate a studi futuri. Tale atteggiamento avrebbe evitato (ed eviterebbe) il discredito che parte del pubblico ha riversato sulla scienza, per dichiarazioni e previsioni azzardate e contraddittorie.[9]

Almeno due elementi qui evidenziati, di verso opposto tra loro, torneranno più volte nel corso della presente analisi: da una parte, la concezione irreale che l’opinione pubblica ha della scienza, della ricerca e, di conseguenza, della comunicazione scientifica; dall’altra parte, la cattiva comunicazione di parte del mondo scientifico e di quello giornalistico che rischia di causare danni oggi difficilmente calcolabili alla fiducia che la collettività, o parte di essa, ripone nella scienza.

L’articolo dello scorso anno rifletteva, tra gli altri aspetti, sulla questione del giornalismo scientifico, che negli anni ha visto una drastica riduzione, quando non un taglio netto, dello spazio concesso dalla stampa, mentre in parallelo la scienza in TV tendeva a farsi spettacolo. L’informazione al tempo della COVID ha evidenziato come questo stato dell’arte si sia tramutato in un’incapacità d’interpretare e filtrare la comunicazione degli scienziati e medici specialisti, nonché in una progressiva spettacolarizzazione della stessa. Fabio Turone, presidente di Science Writers in Italy e membro del direttivo della European Federation for Science Journalism, lo scorso dicembre pubblicava una dura riflessione personale, precedentemente diffusa tramite la newsletter della World Federation of Science Journalists, sulla comunicazione legata alla COVID in Italia:

a cacophony of incoherent messages from health institutions and from the academic community. A cacophony that was amplified by the media, unable to resist the temptation to capitalize on strong headlines, one day white and the next day black, with a hysterical attitude that is still there, after almost one year.[10]

Da una parte, una comunità scientifica giudicata da Turone cacofonica e incoerente. Dall’altra, i mezzi d’informazione, accusati di un’attitudine isterica ancora in essere dopo quasi un anno. La prova più evidente, sottolinea l’autore, che il giornalismo scientifico sia vitale per le società democratiche, come i divulgatori ripetono da tempo. L’articolo, però, va oltre e chiama in causa l’Ordine dei giornalisti:

To add insult to injury, the National Order of Journalists […] has just approved a small change in the code of ethics […]. According to the new official text, whenever “there is no certainty” on a scientific topic, the Italian journalist will “have the duty” to report on all existing positions and analyses. Since certainty does not belong in science, this is misinformation mandated by the professional order.[11]

È l’Ordine stesso a certificare e mettere per iscritto quella fiducia in una presunta certezza che la scienza garantirebbe, quando, nella realtà, “la certezza non appartiene alla scienza”. Una frase per nulla banale, perché ribalta una certa concezione dello scienziato o dell’esperto di settore, non estranea al mondo dell’informazione, quale custode di una verità scolpita nella pietra. Ma questo è dogmatismo, non scienza, la quale invece è sempre pronta – beninteso attraverso preparazione, studio, sperimentazione e rigorosa comprovazione dei fatti da parte dei professionisti che vi operano – a porre sotto verifica ogni conoscenza acquisita, al fine di raggiungere uno nuovo stadio di progresso.

L’equazione “scienza = certezza” fa parte dell’immaginario collettivo anche al di fuori del mondo massmediatico. Già nel 2014, citando uno studio di “Observa”, la giornalista Giuliana Bevilacqua scriveva per l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale:

Luoghi comuni e facili allarmismi sono, tuttavia, una minaccia sempre in agguato, pronta a farsi spazio sfruttando le incertezze insite nella Ricerca scientifica stessa: politica e opinione pubblica percepiscono la non sicurezza dell’esito come il segnale di qualcosa di dannoso per la società. Una “promessa mancata” che, invece di rappresentare un indice di trasparenza, diventa motivo fondante di sfiducia e discredito.[12]

La risposta a queste reazioni non può certo essere una promessa di sicuri risultati. Comunicare la scienza correttamente, sottolinea Bevilacqua, “significa, al contrario, sensibilizzare l’opinione pubblica anche sull’intrinseca fallibilità dell’impresa oltre che sulle potenzialità della stessa”[13].

Un’ammissione, lo si è visto in precedenza, perlopiù mancata a inizio pandemia. Indubbiamente, confessare a una popolazione spaventata e assetata di risposte che la scienza, quelle risposte, non avrebbe potuto fornirle per un tempo indefinibile avrebbe richiesto una notevole dose di coraggio, tanto da parte delle istituzioni quanto dei medici chiamati a parlare. Coraggio che forse avrebbe evitato quello stato di confusione e contraddizioni che ha poi caratterizzato l’intera comunicazione sulla COVID, o forse avrebbe davvero scatenato il panico generale. Non si può pretendere d’iniziare nel pieno di un’emergenza un lungo e approfondito lavoro di educazione a una più veritiera concezione della cosa scientifica. Si deve, tuttavia, trarre insegnamento da quanto accaduto per dare avvio a tale processo, non più rimandabile, non appena sarà possibile. Una visione dogmatica della scienza non è altro che un dannoso macigno psicologico e sociale.

Un linguaggio che miri a umiliare l’avversario, piuttosto che a correggerlo, rischia di radicalizzarne ulteriormente le idee.
Fonte: Parentinglogy/Wikimedia Commons

Va precisato, tuttavia, di quale dogmatismo si parli. Cesare Cislaghi, in passato presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia e dirigente della sezione monitoraggio dei LEA e della spesa sanitaria dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, affidava due anni fa questo pensiero a “Epidemiologia & Prevenzione”, rivista dell’Associazione Italiana di Epidemiologia:

Il primato della ragione e della logica è oggi per lo più indiscusso, o quasi. Esistono però anche dei dogmatismi che potremmo definire minori, ma non per questo meno pericolosi, e primo tra questi il dogmatismo corporativo che si manifesta quando una corporazione, ad esempio quella sanitaria, ritiene che una sua affermazione, in quanto condivisa dai più, non possa esser messa in discussione.[14]

Rispetto allo scritto di Turone, qui il monito non è più, o non è solo, rivolto al mondo dell’informazione e dei lettori, ma agli scienziati e ai medici stessi. Dunque, si dirà, l’alternativa sarebbe forse guardare con scetticismo a qualunque opinione espressa da un esperto? Arrogarsi il diritto di considerarsi al pari di uno scienziato o un medico, in nome del diritto all’incertezza? No di certo, poiché questo sarebbe l’estremo opposto, e Cislaghi non manca di sottolinearlo:

È autorevole colui cui viene riconosciuta una competenza in un determinato campo e la competenza è la minor probabilità di affermare o di commettere degli errori. Una delle definizioni di competenza che ci sembra accettabile è la seguente: Comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale.[15]

Autorevole, non autoritario. Come un bravo insegnante che, per vedere riconosciuta la sua competenza, non ribadisca il suo ruolo e la distanza che lo divide dall’uditorio, ma si confronti con esso, ribattendo con lucidità e pazienza a possibili critiche o antitesi, e adattando il suo linguaggio perché sia assimilabile da chiunque. Il verbo “blastare” – espressione gergale derivante da un’italianizzazione del verbo to blast, ormai sdoganata, per la sua crescente diffusione, anche dall’Accademia della Crusca[16] – caratterizza un linguaggio sprezzante che miri a ridicolizzare la parte avversa, più che a smentirla. Un linguaggio ampiamente utilizzato anche da volti noti di diverse professioni, incluso il virologo Roberto Burioni, capace di catturare le simpatie di chi ne condivide le idee. L’efficacia di un tale tipo di comunicazione, tuttavia, è discutibile, perché rischia altresì di allargare ulteriormente la distanza con chi sposi tesi opposte, per quanto strampalate possano essere, frustrando qualsiasi tentativo educativo. Il portale “Linkiesta”, rivolgendosi proprio a Burioni, nel febbraio 2018 invitava a

Non imporre, ma persuadere. Questo è il verbo della scienza. Ed è un verbo latino, composto della radice PER, che qui sta ad indicare il compimento di un’azione, e dal participio passato di SUADERE, SUASUS, che pare abbia origini sanscrite e sta per dolce, soave. Rendere soave, quindi, non il suo esatto contrario, che è quello che sta facendo i professor Burioni.[17]

Curare il linguaggio affinché non appaia arrogante può sembrare un esercizio inutile. È, invece, l’ultimo passaggio della catena informativa. Fondamentale perché, se trascurato o sottovalutato, rischia di mettere in crisi l’intero lavoro di costruzione della fiducia nei confronti del dichiarante, a prescindere dalla qualità delle tesi esposte[18]. Qualche dato, che verrà visionato più avanti, conferma la sostanziale inefficacia, almeno in tema vaccini, del linguaggio “blastante”. Un terribile spreco, nel momento in cui la scienza, la medicina in particolare, è forse al suo massimo grado d’influenza politica.



Grande potere, grandi responsabilità

Il desiderio del mondo scientifico di far sentire politicamente la propria voce o farsi persino opinion maker, pienamente legittimo, non è una novità. Se allora si prendeva in esame il “Patto trasversale per la scienza”[19], già nel 2003 si sarebbe potuto leggere il “Manifesto per una rinascita della ricerca scientifica in Italia”[20] pubblicato dal Gruppo 2003 per la ricerca scientifica, un’associazione di professionisti del mondo scientifico. La novità sta, ancora una volta, nelle condizioni emergenziali create dalla pandemia che rendono quel desiderio, mai come oggi, realizzabile.

Il 24 giugno scorso, su “Scienzainrete”, portale dell’agenzia editoriale Zadig condiviso con lo stesso Gruppo 2003 per la ricerca scientifica, il dottor Gaetano di Chiara prendeva spunto da un’intervista del “Corriere della Sera”[21] a Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, per analizzare l’informazione e la comunicazione al tempo della COVID. Nello specifico, si sottolineava una nuova tendenza, non solo in Italia[22], a pubblicare lavori non ancora sottoposti alla peer review, la revisione da parte dei pari:

Così, al tempo del Covid capita, più spesso che di norma, che siano gli stessi editori delle riviste scientifiche ad allentare il rigore con il quale vengono valutati i lavori, privilegiando la rapidità al rigore della pubblicazione.[23]

Persino le pubblicazioni scientifiche, dunque, non sono esenti dai pericoli insiti nell’informazione contemporanea: veloce, ma per questo a rischio di risultare frettolosa e imprecisa. L’articolo di Scienzainrete sottolinea come sia un fatto ancor più grave in quest’epoca storica, con una chiusura degna del compianto fumettista Stan Lee:

Questa condizione di relativo privilegio comporta anche maggiori responsabilità e la necessità, per tutti gli attori dell’informazione e della comunicazione scientifica, di tenere alta la guardia del rigore scientifico.[24]

Giudizi come quello di Di Chiara, o quello precedentemente visionato di Turone, suggeriscono due ulteriori considerazioni. La prima è che l’impressione di “bulimia” dell’informazione, o infodemia, riguardo alla COVID sia confermata, con toni critici, anche dagli addetti ai lavori. La seconda è che gli stessi siano perfettamente consapevoli dello straordinario livello d’influenza assunto dai virologi e dai colleghi impegnati nella lotta al virus. Perché è vero, questa è un’occasione irripetibile, per il mondo scientifico, di far sentire con efficacia la propria voce. La pandemia ha rivelato molteplici mancanze su più livelli (informazione scientifica, rapporto tra politica e scienza, supporto concreto alla ricerca e al sistema sanitario stesso, attenta vigilanza…), ma quantomeno le ha palesate all’opinione pubblica. Spetterà alla politica, di concerto con i professionisti del settore, mettere in azione correttivi adeguati. D’altra parte, il rischio è che tutta quest’attenzione, se non ben gestita, possa ritorcersi contro il mondo scientifico. I recenti episodi di violenze e minacce, uniti a un crescente sentimento di insofferenza, o persino di odio, nei confronti del mondo sanitario rendono necessario trattare con la massima serietà la questione del rapporto tra popolazione e scienza. Secondo le parole di Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità:

Siamo passati da una posizione di solidarietà e afflato nazionalistico della scorsa primavera, all’odio, al rancore e all’aggressione. Sono segnali ingiustificabili – aggiunge Locatelli – Chi ha responsabilità, di ogni livello, anche politico, dovrebbe trarre insegnamento da episodi come questi per richiamarsi a temperanza e sobrietà nelle affermazioni.[25]

Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è che sinora, considerata la natura dell’emergenza in corso, siano i soli specialisti ad aver monopolizzato la scena pubblica. Il paradosso è che tutto il resto dell’informazione sanitaria, e l’attenzione stessa a patologie di natura diversa, sia stato messo in secondo piano, quando non ignorato. Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, il febbraio scorso dichiarava all’agenzia “Adnkronos”:

C’è un dato molto preoccupante: secondo l’Istat, l’Italia nel 2020 ha avuto circa 30mila morti in più rispetto a quelli attribuiti a Covid e a quelli attesi per le altre patologie”.[26]

Con effetti che potrebbero propagarsi, a onda, nel prossimo futuro:

Ovviamente ci aspettiamo purtroppo per il futuro anche una riduzione dell’indice di sopravvivenza. Eravamo fra i Paesi più longevi al mondo anche se con disuguaglianze fra il centro e le ‘periferie’. Credo che l’impatto involontario della pandemia su queste patologie comprometterà un risultato brillante raggiunto. Con un risvolto negativo anche sulla qualità di vita, che sarà più compromessa per via delle conseguenze aggravate di alcune malattie e richiederà ulteriore impegno sul piano socio-assistenziale.[27]

Non è da meno il preoccupante aumento delle patologie psichiatriche[28], che va a sua volta trattato secondo un corretto metodo d’informazione. Il noto psicanalista e saggista Massimo Recalcati è recentemente intervenuto al programma di Rai 3 “Quante Storie”, ammonendo contro un doppio rischio di errore in cui si può incorrere:

Da una parte, sottovalutare gli effetti della perturbazione del Covid sulla vita psichica dei bambini e anche degli adolescenti. Dall’altra parte, enfatizzare questi effetti e parlare, per esempio, di “generazione Covid”. Che sarebbe come identificare questa generazione di figli come, diciamo, una generazione vittima irreversibile di un trauma indimenticabile.[29]

Quella condizione di relativo privilegio, citata in precedenza, di cui oggi godono alcuni protagonisti del mondo medico-scientifico può essere sfruttata per portare all’attenzione del grande pubblico anche problematiche e patologie non strettamente legate al solo virus. Di più, quegli stessi soggetti possono fungere da apripista per l’intero mondo scientifico, instaurando un canale di comunicazione che duri ben oltre la durata dell’emergenza sanitaria e che possa estendersi all’intero spettro delle diverse discipline. Non va, d’altra parte, escluso che proprio la loro notorietà abbia innescato un processo psicologico d’invidia[30] in parte della popolazione, minandone ai loro occhi la credibilità. Questo, tuttavia, è argomento che meriterebbe un’analisi a sé.



Vax populi
: vaccini e virologi nella percezione degli italiani

In parallelo al proseguimento della campagna vaccinale, va affrontata la questione della fiducia della popolazione nei confronti dei vaccini stessi.
Fonte: Flavio Vivorio Salles/Wikimedia Commons

In chiusura dell’articolo dello scorso anno, si prevedeva come la sintesi e la somministrazione di un vaccino per la COVID avrebbero riportato al centro del dibattito politico il virus stesso, i no vax e, naturalmente, i virologi, temporaneamente accantonati in favore di altre categorie dopo le progressive riaperture post lockdown. Alcuni numeri ne testimoniano la puntuale realizzazione. La società di analisi e gestione della reputazione Reputation Science ha confrontato dal 13 al 16 febbraio[31], nei giorni della formazione del governo Draghi, i volumi delle conversazioni online (social, news, blog, forum, ecc.) riferite ai principali leader politici e a virologi ed esperti di COVID-19. La ricerca constatò il pieno ritorno, tra i temi di discussione, dei più noti medici, studiosi e accademici della stagione della COVID, dodici dei quali figuravano in questa speciale classifica di share. Walter Ricciardi (5,1%) e Andrea Crisanti (3,8%) occupavano, rispettivamente, la quinta e la sesta posizione, davanti a un folto stuolo di noti volti della politica.

Un altro studio recente di Reputation Science ha osservato oltre 140mila contenuti web per trarne il sentiment degli italiani nei confronti dei vaccini contro la COVID-19. Il CEO aziendale Andrea Barchiesi ne ha tratto le seguenti conclusioni:

La nostra analisi, da dicembre a febbraio, ha dimostrato che il vaccino non può essere calato dall’alto, ma deve essere accettato […] Non a caso, nel periodo di analisi dicembre 2020-febbraio 2021, il 34% dei contenuti online sui vaccini è negativo. Una percentuale sulla quale influiscono le logiche di distribuzione, sperimentazione ed efficacia, ma anche la percezione dell’azienda produttrice è molto importante […]  il sentimento popolare penalizza le cosiddette ‘big pharma’, che partono da un debito reputazionale spesso fondato su false informazioni. Un fenomeno di grande complessità.[32]

Too big to trust; così si potrebbe sintetizzare tale sentimento di una parte della popolazione nei confronti delle grandi aziende. Da quest’analisi si possono trarre almeno altre due considerazioni. La prima, seguendo il filone del presente articolo, è che, nonostante l’attuale ruolo di preminenza della scienza nella discussione politica, l’opinione di una corposa fetta di popolazione nei confronti dei vaccini non sembra essere cambiata granché dal periodo 2016-2018. Triennio dell’esplosione della questione no vax, dell’ascesa mediatica di Roberto Burioni, archetipo del moderno virologo di fama, di una serie di elementi in fieri – la ricerca del singolo e di una verità monolitica da parte dei media, la spettacolarizzazione dell’informazione scientifica, la tendenza del pubblico a dividersi in schieramenti contrapposti, l’uso di un linguaggio autoritario che, come sottolineato in precedenza, genera un effetto boomerang – che avrebbero dovuto costituire un campanello d’allarme, a livello comunicativo, rispetto al successivo periodo pandemico.

Sempre da Reputation Science, il dicembre scorso, fu ripresa da una larga parte dell’editoria nazionale una “classifica dei virologi”[33] basata su presenzialismo, indice di allerta e indice di coerenza. Pur di non stretto interesse per il presente articolo, la massiccia condivisione da parte di quotidiani e agenzie, nazionali e locali, suggerisce un ulteriore esempio del tipo di attenzione riservato dagli organi di stampa alla tematica COVID: l’attenzione ai singoli commentatori, la tendenza a incasellarli e classificarli, un generale senso d’insofferenza per la loro onnipresenza mediatica e la cacofonia di pareri discordanti. Una passione per i ranking dei virologi, da parte dei grandi quotidiani, rimasta intatta a distanza di un anno. Se il maggio scorso si citava il controverso uso dell’h-index quale misura di valutazione, classifiche alternative sono periodicamente state pubblicate secondo gradi di popolarità o altri criteri di valutazione, stabiliti ora da società specializzate, ora dai giornali stessi[34].

Una seconda riflessione, tratta invece dall’analisi di Reputation Science qui riportata, riguarda la questione dell’obbligo vaccinale. Da sottolineare immediatamente come l’attuale situazione di emergenza non possa che richiedere misure immediate e intransigenti, specialmente in riferimento al personale sanitario, già allo studio del governo[35]. Da precisare, altresì, come una società di analisi delle opinioni della comunità web non basti, da sola, a suggerire eventuali politiche sanitarie. Tuttavia, anche dalla comunità medica più voci suggeriscono che l’obbligo vaccinale sia condizione sì necessaria, ma non più sufficiente a ripristinare la fiducia nei vaccini e a massimizzare la diffusione e l’efficacia delle campagne vaccinali.

Così scriveva Antonio Cassione, membro dell’American Academy of Microbiology, nel maggio 2017 su Quotidianosanità.it:

Ecco perché l’obbligo vaccinale non può essere visto come una specie di toccasana che evita il costo e la fatica di informare, spiegare, far capire ed in sostanza offrire servizio utile a far accettare la vaccinazione. Non è una liberatoria dalla responsabilità […] Provare a persuadere tutti a vaccinare i propri bambini, senza costrizione diretta o indiretta, può risultare una dura esperienza, talvolta frustrante, ma insostituibile.[36]

Un anno dopo, il già citato Cesare Cislaghi, ancora una volta dalla rivista “Epidemiologia & Prevenzione”, scartava gli estremismi permissivisti o obbligazionisti e faceva un parallelo tra vaccinazioni e altre situazioni, come il fumo:

Impedire di fumare nei locali pubblici è un provvedimento oggi da tutti, o quasi, accettato e considerato opportuno. […] Ma questo provvedimento non è in grado di diminuire la frequenza di fumatori se non è anche un modo indiretto per convincere che la pratica del tabagismo comporta più danni che piaceri e le campagne antifumo, pur senza sanzioni, un certo effetto lo hanno ottenuto.[37]

O anche droghe e alcol:

la storia delle punizioni per chi fa uso di sostanze nocive è ben conosciuta e trova la sua stagione più esplosiva nel proibizionismo negli Stati Uniti all’inizio del ‘900. Stiamo attenti anche a non creare situazioni di proibizionismo per i giochi d’azzardo, proibizionismo che potrebbe avere come effetto quello di creare una maggiore attrattiva di natura trasgressiva.[38]

Pur ammettendo di non saper avanzare possibili soluzioni, Cislaghi mette in evidenza due fattori non trascurabili anche nel dibattito sull’obbligo vaccinale. Il primo è che va prevenuta la formazione dei processi mentali che portano alla formazione dell’ideologia no vax. Non basta limitarsi a oscurarli o combatterne le azioni. Il secondo è che iniziative proibizioniste possono, paradossalmente, generare un morboso fascino di ribellione.

Persino Burioni, che, come visto in precedenza, non lesina un linguaggio caustico, lo scorso agosto scriveva su Facebook, a proposito di un futuro vaccino per la COVID-19:

È giusto spendere miliardi per svilupparlo, ma è sciocco non spendere neanche un euro per spiegare bene alla gente quanto un vaccino potrebbe essere importante per vincere definitivamente la battaglia contro il coronavirus.[39]

Una scienza che sappia farsi ascoltare

Nella dichiarazione di Burioni si può scorgere un primo passo da compiere, se si vorrà davvero arrivare alla difficile risoluzione della questione no vax. La legislazione e la lotta alle fake news dovranno essere accompagnate da una duratura ed efficace campagna informativa. A tal fine, servono soldi ben investiti. Una quantità eccessiva d’informazioni non serve e anzi, come appurato nella presente analisi, crea ulteriore sfiducia. Si dovrà curare soprattutto la qualità del messaggio trasmesso, modulabile secondo forme e linguaggi adatti a raggiungere ogni fetta della popolazione. Social network e influencing non sono terreni d’azione riservati unicamente a fake news o comunicazione commerciale, ma formidabili opportunità per sperimentare la divulgazione scientifica sotto nuove forme, conquistare spazi sempre meno disponibili sui media tradizionali – esistono già esempi di divulgatori su YouTube[40] o Instagram[41] – e raggiungere quella fetta di popolazione, i più giovani, che più di chiunque necessita di una corretta opera informativa ed educatrice. Ma il mezzo che più di tutti, per caratteristiche intrinseche, si presta alla divulgazione è naturalmente il podcast[42], il cui già diffuso mercato è in costante espansione.

Il mondo scientifico deve oggi trovare tempo e risorse, pena il progressivo distacco dall’opinione pubblica, per dotarsi di una comunicazione che ne restituisca affidabilità, credibilità e sappia arrivare anche a chi oggi è sordo ai suoi appelli, tornando ad affascinare anziché imporre. Se necessario, dovrà affidarsi senza paura a professionisti del settore comunicativo. In uno scambio di ruoli, per una volta, tra esperti e uditorio. Alcuni temi, pur di grande respiro, oggi non sono considerati sul piano del loro legame intrinseco con la salute. Si pensi ad esempio allo sport che, in Italia, nella percezione dell’opinione pubblica viene spesso identificato con il solo agonismo, scordandone la matrice di benessere fisico nella vita di tutti i giorni. Andrebbe evidenziato, ad esempio, che gli investimenti nello sport si traducono in un netto risparmio della spesa pubblica nel settore sanitario, come illustrava al Coni l’economista Lanfranco Senn già nel 2012:

Grazie allo sport, agli attuali livelli di pratica agonistica, sono 25.580 le malattie evitate ogni anno. […] Il risparmio sulla spesa sanitaria con i livelli di pratica sportiva è stimabile in 1,5 miliardi di euro all’anno e il valore della vita salvaguardato è di 32 miliardi all’anno. Con l’aumento dell’1% di persone attive si risparmierebbero 80 milioni a livello di spesa sanitaria.[43]

Altro esempio, il peso corporeo, cui i media dedicano spazio crescente per il pur importante argomento del body shaming, ma trascurando di contro la tematica dell’obesità. I due temi sono persino legati tra loro, in quanto il fat shaming stesso mette le vittime a rischio obesità, come denunciò lo scorso anno alla Camera il deputato Filippo Sensi.[44]

Su queste e molte altre materie, la scienza deve poter far sentire la sua voce, ma serve un cambiamento culturale che renda ricettiva la popolazione. Dev’essere un lavoro su più livelli, che coinvolga la politica, l’informazione, la scuola. Migliorare l’alfabetizzazione scientifica della popolazione, istruirla su come navigare in modo intelligente nella Rete, imparando a distinguere le fonti valide e a confrontarsi con più pareri, restituire spazi a un giornalismo scientifico preparato, supportato e capace di mediare tra scienza e utenza, educare i media generalisti a trattare la materia scientifica senza stereotipi e a riconoscere la presenza della scienza in diversi aspetti della vita di tutti i giorni, abituare politica e collettività alla necessità di tempo che richiede la ricerca e alla sua fallibilità. Dalla già citata ricerca di Giuliana Bevilacqua:

Un aspetto che spesso non viene considerato nelle speculazioni riguardanti la comunicazione scientifica è quello relativo al “quando”: i media tendono ad anticipare l’oggetto di alcune ricerche prima che siano disponibili risultati certi e validati. […] La mancata competenza del grande pubblico in materia scientifica altro non fa che alimentare la fiamma del clamore, condurre all’ipotesi di scenari spesso catastrofici e impedire quindi una visione lucida di ciò che viene realizzato in ambito scientifico.[45]

E la sua conclusione suona come un monito, per quello che dovrà essere il futuro post pandemico:

L’informazione scientifica, e soprattutto ambientale, non dovrebbero pertanto essere presenti nei media solo in situazioni di emergenza, sull’onda dell’emotività legata a qualche episodio particolarmente drammatico, ma fornire con regolarità gli strumenti per comprendere quanto accade senza sfociare in un voluto e ambiguo allarmismo che nuoce alla salute sia della scienza che della comunicazione stessa.[46]

Francesco Moscarella per www.policlic.it



Note e riferimenti bibliografici

[1] https://www.policlic.it/da-tangentopoli-a-virocrazia-una-nuova-politicizzazione/.

[2] https://www.lastampa.it/opinioni/editoriali/2016/05/05/news/la-democrazia-non-si-salva-con-le-manette-1.34998351 (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[3] https://www.airc.it/cancro/affronta-la-malattia/come-affrontare-la-malattia/diritto-secondo-parere-malato (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[4] https://www.ildubbio.news/2021/01/02/316989/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[5] https://www.agi.it/cronaca/news/2021-02-15/covid-lockdown-sci-variante-inglese-11410328/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[6] https://www.ildubbio.news/2020/02/24/divisi-e-rissosi-cosi-virologi-imitano-politici/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[7] Consulta Società Scientifiche riduzione rischio cardiovascolare, Covid. Tutti gli errori di una comunicazione fuori registro, in “Quotidianosanità.it”, https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=92670 (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] “una cacofonia di messaggi incoerenti da parte delle istituzioni sanitarie e della comunità accademica. Una cacofonia che è stata amplificata dai media, incapaci di resistere alla tentazione di capitalizzare su titoli forti, un giorno bianchi e il giorno dopo neri, con un’attitudine isterica ancora presente, dopo quasi un anno.” [trad. it. nostra] F. Turone. La disinformazione scientifica, e le colpe dell’Ordine dei giornalisti, in “Sciencewriters.it”, http://www.sciencewriters.it/wp/swimmers/la-disinformazione-scientifica-e-le-colpe-dellordine-dei-giornalisti/ (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[11] “Ad aggiungere insulto al danno, l’Ordine dei giornalisti […] ha da poco approvato un piccolo cambiamento nel codice etico […]. Secondo il nuovo testo ufficiale, ogniqualvolta “non vi sia certezza” su un tema scientifico, il giornalista italiano “avrà il dovere” di riportare tutte le posizioni e analisi esistenti. Poiché la certezza non appartiene alla scienza, questa è disinformazione imposta dall’ordine professionale” [trad. it. nostra]. Ibidem.

[12] G. Bevilacqua, La comunicazione scientifica: il delicato rapporto tra scienza, media e pubblico, in “Memorie descrittive della carta geologica d’Italia”, XCVI (2014), p. 389, https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/periodici-tecnici/memorie-descrittive-della-carta-geologica-ditalia/memdes_96_bevilacqua.pdf.

[13] Ibidem.

[14] C. Cislaghi, Dogmatismo & Incompetenza, in “Epidemiologia & Prevenzione”, https://www.ep.epiprev.it/blog/come-sta-la-sanita/dogmatismo-incompetenza (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[15] Ibidem.

[16] https://accademiadellacrusca.it/it/parole-nuove/blastare/18457 (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[17] Andrea Coccia, Burioni, stai sbagliando: la scienza non è democratica, ma dev’essere gentile, in “Linkiesta”, https://www.linkiesta.it/2018/02/burioni-stai-sbagliando-la-scienza-non-e-democratica-ma-devessere-gent/ (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[18] https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/in-virus-veritas/20928956/coronavirus_effetto_roberto_burioni_italia_previsto_tutto_somari_no_ascolto.html (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[19] https://www.pattoperlascienza.it/2019/01/14/patto-trasversale-per-la-scienza/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[20] https://www.gruppo2003.org/node/3 (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[21] https://www.corriere.it/cronache/20_giugno_19/coronavirus-remuzzi-nuovi-positivi-non-sono-contagiosi-stop-paura-bf24c59c-b199-11ea-842e-6a88f68d3e0a.shtml (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[22] https://www.ilpost.it/2020/06/05/studi-ritirati-lancet-nejm-coronavirus-covid/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[23] G. Di Chiara, La comunicazione e l’informazione scientifica ai tempi del Covid, in “Scienzainrete”, https://www.scienzainrete.it/articolo/comunicazione-e-linformazione-scientifica-ai-tempi-del-covid/gaetano-di-chiara/2020-06-24 (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[24] Ibidem.

[25] Franco Locatelli: “Troppi di noi minacciati”, in “Huffington Post”, https://www.huffingtonpost.it/entry/franco-locatelli-troppi-di-noi-minacciati_it_60695fe9c5b66c4ab6b38cf6?utm_hp_ref=it-homepage (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[26] Covid, “30mila morti per altre malattie trascurate”, in “Adnkronos”, https://www.adnkronos.com/covid-30mila-morti-per-altre-malattie-trascurate_2difOiSOAXHlHbkOCeX1H5?refresh_ce (data di ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[27] Ibidem.

[28] https://www.humanitas-care.it/news/covid-19-attenzione-anche-alla-dimensione-psicologica/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[29] Bambini nel tempo, “Quante Storie”, puntata del 31 marzo 2021, stagione 2020/21, https://www.raiplay.it/video/2021/03/Quante-storie-8dd935d5-2b7b-4144-8e9b-66689a9f3a11.html.

[30] https://psicoadvisor.com/disprezzare-successo-altrui-la-sindrome-procuste-10136.html (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[31] https://www.reputationscience.it/analisi-covid19-e-infodemia-con-la-crisi-di-governo-gli-esperti-tornano-a-invadere-la-scena-e-oscurano-i-politici/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[32] La percezione nei confronti dei vaccini contro il Covid-19, in “Reputationscience.it”, https://www.reputationscience.it/per-gli-italiani-i-vaccini-non-sono-tutti-uguali-distribuzione-ed-efficacia-influenzano-gli-orientamenti/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[33] https://www.reputationscience.it/analisi-dagli-esperti-italiani-sul-covid-19-sovraccarico-di-informazioni-e-indicazioni-incoerenti/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[34] Covid, spunta la classifica dei virologi: Ricciardi il più popolare, Crisanti e Galli sul podio. Le altre posizioni, in “Il Mattino”, https://www.ilmattino.it/primopiano/sanita/covid_classifica_virologi_chi_e_primo_posio_walter_ricciardi_top_flop_tv_pandemia_seconda_ondata-5565736.html; E. Fittipaldi, Il ritorno dei virologi: ecco di chi ci si può fidare. E chi ha sbagliato ogni previsione, in “Domani”, https://www.editorialedomani.it/politica/italia/il-ritorno-dei-virologi-ecco-di-chi-ci-si-pu-fidare-e-chi-ha-sbagliato-ogni-previsione-gsmong2u (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[35] https://www.ilmessaggero.it/politica/vaccino_obbligatorio_obbligo_medici_infermieri_dipendenti_ospedali_case_riposto_stipendi_sospeso_news_decreto-5866637.html (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[36] A. Cassione, Vaccini. Per vincere occorre convincere oltre che obbligare, in Quotidianosanità.it, https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=50902 (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[37] C. Cislaghi, Esortare, convincere, obbligare, sanzionare?, in “Epidemiologia & Prevenzione”, https://www.epiprev.it/esortare-convincere-obbligare-sanzionare?destination=node%2F4166 (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[38] Ibidem.

[39] https://www.facebook.com/robertoburioniMD/posts/3441994829359009 (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[40] https://www.unive.it/pag/26795/?tx_news_pi1%5Bnews%5D=7425&cHash=8ce92708f51a5546559b26d3c12d5ec1 (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[41] https://www.aircommunication.it/divulgatori-scientifici-instagram/ (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[42] https://tg24.sky.it/tecnologia/now/2021/01/06/podcast-italia-2021 (ultima consultazione: 28 aprile 2021).

[43] CONI: Presentata la seconda parte del Libro Bianco. Petrucci: “Investire nello sport fa risparmiare sulla sanità”. Pagnozzi: “Rafforzare e ampliare le discipline di punta per rimanere nella Top Ten olimpica”, in Coni.it, https://www.coni.it/it/news-ss/5745-coni-presentata-la-seconda-parte-del-libro-bianco-petrucci-investire-nello-sport-incide-sul-2-del-pil-e-fa-risparmiare-sulla-sanit%C3%A0-pagnozzi-rafforzare-e-ampliare-le-discipline-di-punta-per-rimanere-nella-top-ten-olimpica.html (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[44] Il discorso di Filippo Sensi alla Camera sull’obesità e il fatshaming, in “Il Post”, https://www.ilpost.it/flashes/filippo-sensi-obesita-fatshaming/ (ultima consultazione: 9 aprile 2021).

[45] G. Bevilacqua, op. cit., p. 390.

[46] Ibidem.

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